giovedì 5 giugno 2008

Politica e religione. Il Pd, la Chiesa e la persona

l’Unità 3.6.08
Politica e religione. Il Pd, la Chiesa e la persona
di Livia Turco

Conviene ritornare sul tema del rapporto tra il sentimento religioso e la politica. Vorrei farlo a partire da una considerazione, svolta da Massimo D’Alema al seminario di ItalianiEuropei, secondo cui la destra avrebbe vinto perché la migliore interprete di quel che si muove nel fondo della società occidentale.
E perché capace di offrire una risposta che si basa sull’alleanza tra potere e religione. Questa affermazione, se collocata nel contesto della riflessione svolta, propone secondo me un terreno di discussione che va al di là del rapporto tra le gerarchie ecclesiastiche e la politica.
Propone una riflessione che riguarda il rapporto tra il sentimento religioso e il sentimento di solidarietà sociale, di spaesamento culturale e di paura rispetto al rischio di perdita dell’identità e del ruolo della nazione che investe l’Europa rispetto ai processi di globalizzazione. Di fronte a ciò il cattolicesimo per molti cittadini è vissuto come una risposta di ordine, di identità, di senso. Con la sua proposta di centralità della famiglia, di dignità della persona, di morale sessuale, di
dialogo tra interessi sociali diversi e di solidarietà.
Non è un fenomeno solo italiano. La religione torna alla ribalta della sfera pubblica internazionale anche per l’esigenza che c’è di valori sostantivi, di risorse simboliche, di istanze positive capaci di fondare il senso della presenza individuale e collettiva. Si potrebbe obiettare che non c’è nulla di nuovo in questa constatazione, dato che storicamente il cattolicesimo costituisce un ingrediente della nostra identità nazionale. Non è così. Non solo perché i processi di modernizzazione e secolarizzazione che hanno riguardato anche il nostro Paese avrebbero potuto portare ad una marginalizzazione e ad una perdita di influenza della Pastorale cattolica. E in effetti in taluni punti della morale spirituale il messaggio della gerarchie ecclesiastiche non ha un riscontro maggioritario nel Paese, come nel caso della legge 194. La novità risiede nella capacità della Chiesa di proporsi come portatrice di un ordine sociale e di un’identità nazionale. Una proposta non calata dall’alto o affidata solo alle prese di posizione o interferenze della gerarchia ma costruita attraverso un rapporto capillare nella società italiana e nella vita quotidiana delle persone. Una Chiesa popolare, tanto più attraverso il pluralismo del suo associazionismo, che tante volte riempie i vuoti delle istituzioni e della politica. Offre aiuto, presenza, conforto e senso. Questo riproporsi del cattolicesimo come religione civile nazionale è frutto di un lungo cammino che iniziò con il pontificato di Wojtyla e con la stagione del Cardinale Ruini che partì dall’intento di saldare i valori cattolici con l’identità nazionale. Una religione che incida nella vita nazionale, sintetizzata nell’affermazione di Giovanni Paolo II «I cattolici non devono essere solo il lievito della società ma impegnarsi direttamente nella testimonianza per il bene comune». Ma anche una religione che accetta la sfida della modernità e che l’affronta sul suo stesso terreno, quello della visione dell’uomo e della sua collocazione nel Mondo. È quella che viene chiamata la svolta antropologica. La Chiesa vede delinearsi un uomo nuovo, dotato di conoscenze tecniche senza precedenti, svincolato da qualsiasi autorità morale, portatore di un’etica relativista, edonista ed utilitaristica. Accompagnare quest’uomo moderno, proporgli un’autorità morale ed un ordine sociale dotato di senso è ciò che la Chiesa si propone. Con la convinzione che nel mondo cattolico vi sia un patrimonio di valori, di pensiero, di modelli di comportamento capace di rappresentare delle risorse irrinunciabili se si vuole tenere insieme il Paese e arricchire la convivenza sociale.
Il fatto nuovo di questi ultimi anni risiede nella diffusione di questa convinzione nel mondo laico e in quote crescenti di opinione pubblica, indipendentemente dal grado di adesione al cattolicesimo o a un altro credo religioso. È questo mutamento del cattolicesimo, che a sinistra abbiamo poco capito limitandoci ad una critica, talvolta difensiva, delle interferenze della Chiesa. Per esempio abbiamo poco discusso del documento preparatorio del centenario delle Settimane Sociali che ha il significativo titolo «Il bene comune oggi: un impegno che viene da lontano». Un tentativo efficace di proporre la Pastorale cattolica come ingrediente fondamentale per costruire una democrazia matura, da cui scaturisce una nuova e più impegnativa sfida per la politica e le istituzioni: la promozione del bene comune sollecita l’assunzione piena dell’etica della responsabilità dei diritti e dei doveri, valorizzando la dimensione relazione e della persona.
Ma c’è anche un rischio. In che misura la dimensione pubblica della religione e la sua ambizione a rispondere alla crisi dell’uomo moderno, non si trasformano, da parte delle gerarchie ecclesiastiche, in tentazione di autosufficienza e di chiusura al dialogo? Di una supplenza all’intervento pubblico che, se risponde a problemi concreti, può configurasi anche come occupazione di spazi e di potere? Se è vero che il 14 aprile non c’è stato uno spostamento del voto cattolico a favore del centro destra, tuttavia questo proporsi della Chiesa e della Pastorale cattolica, come riserva etica del Paese e fattore di guida e rassicurazione, si è più facilmente incontrato con il posizionamento culturale del centro destra. Quest’ultimo ha raccolto, seppure in modo frammentario e incoerente, i temi etici e soprattutto ha assunto l’istanza secondo la quale la cultura giudaico-cristiana è fondamento di un rilancio dell’Europa nel Mondo. L’identificazione tra radice giudaico-cristiana dell’Europa e rilancio dell’Occidente per riaffermare il primato dei valori dell’Occidente sul Mondo. Questa operazione è molto chiara nel libro di Tremonti «La paura e la speranza».
Non credo che il pensiero cattolico sia compatto nell’equazione «radici giudaico-cristiane, primato dell’Occidente, autosufficienza dei valori dell’Occidente». Anche nella forte dimensione universalistica della Chiesa. Ma quella saldatura è elaborata da un centro destra che vuole dotarsi di una coerente cultura politica.
C’è un altro aspetto su cui porre l’attenzione. La perdita di autorevolezza della politica e la pratica, in senso riduttivo, della laicità, là dove essa ha rinunciato troppo spesso a proporsi come spazio di dialogo e reciproco riconoscimento per la costruzione di nuove sintesi. In questo contesto il rapporto tra gerarchie cattoliche e politica ha assunto tante volte la forma dello scambio tra interessi cattolici e potere politico. Ed è evidente la simpatia con cui le gerarchie ecclesiastiche e il Vaticano guardano alla nuova stagione del governo Berlusconi. La questione che sta di fronte al Pd è duplice. Promuovere una qualità nuova della politica che sia capace di essere utile ma anche amorevole e rassicurante.
Attraverso la relazione con le persone. Per questo è importante non solo il radicamento nel territorio ma la costruzione di una forte relazione con tutti i mondi vitali e associativi che operano nella società. L’altra è la qualità del nostro progetto che deve essere di governo della società e capace di elaborare un nuovo umanesimo. Che assuma la persona umana quale fine e mezzo dello sviluppo economico e sociale.
Un nuovo umanesimo che ritrovi linfa dall’universalismo dei valori europei e rilanci la funzione dell’Europa nel Mondo dimostrando che l’apertura può comportare nuove opportunità e anche nuove sicurezze.
Un nuovo umanesimo radicato nel rispetto e nella fiducia della persona umana e nella consapevolezza che attraverso l’esercizio della responsabilità si possa coniugare sviluppo scientifico e tecnologico e cultura del limite. Questo nuovo umanesimo non potrà che avvalersi anche del contributo delle religioni, in particolare del messaggio cristiano che è di un umanesimo radicale.

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