venerdì 11 dicembre 2009

Ru486, Sacconi minaccia "Solo ricoveri in ospedale o interverrà il governo"

La Repubblica 11.12.09
Ru486, Sacconi minaccia "Solo ricoveri in ospedale o interverrà il governo"
di Michele Bocci

Ma sull´applicazione della norma le Regioni si dividono
Resta accesa la polemica politica Dorina Bianchi (ex Pd ora Udc): "Non è un aborto soft"

ROMA - Il governo tuona contro le Regioni: la Ru486 deve essere somministrata solo in ricovero ordinario. Dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della delibera Aifa che ammette il farmaco nel nostro sistema sanitario, il ministro al Welfare Sacconi avverte: «Prenderemo iniziative contro chi non rispetterà la 194, il ricovero dovrà essere effettivo». Il timore è quello che molte donne firmino per tornare a casa, visto che nessuno può essere obbligato a restare in ospedale contro la sua volontà salvo in casi particolari. Nella delibera dell´Aifa, pubblicata l´altroieri, si parla di ricovero «dal momento dell´assunzione del farmaco fino alla verifica dell´esplulsione del prodotto del concepimento». Secondo qualcuno la frase lascia aperta anche la possibilità del day-hospital, e infatti l´Agenzia è stata duramente criticata dallo stesso Sacconi, oltre che dal centrodestra e dal Vaticano, per non essere stata più esplicita. L´esecutivo potrebbe chiedere una riunione dello Stato-Regioni per disegnare le linee guida di somministrazione ma per ora non lo fa.
Dalla ditta Exelgyne, che produce la Ru486, spiegano che a febbraio saranno pronti per la distribuzione. Che succederà? In Italia ci sono Regioni che somministrano il farmaco ormai da 4 anni, acquistandolo all´estero caso per caso. Alcune prevedono il ricovero ordinario. Come la Toscana, dove non cambierà nulla. «A suo tempo - spiega l´assessore alla salute Enrico Rossi - prevedemmo il ricovero dopo aver sentito il consiglio sanitario regionale. Credo comunque che in questioni come queste resti fondamentale il rapporto medico-paziente». È un fatto che in Toscana la stragrande maggioranza delle donne fino ad oggi abbiano firmato dopo la somministrazione della pillola per tornare a casa, ripresentandosi il giorno dell´espulsione provocata dalle prostaglandine. Anche in Emilia Romagna il farmaco viene importato, ma si prevede il day hospital. «Andremo avanti, quello che stiamo facendo è perfettamente in linea con quanto previsto dall´Aifa - dice l´assessore alla salute Giovanni Bissoni - Le linee guida le hanno fatte i nostri professionisti». In Veneto la pillola fino ad ora non veniva somministrata. L´assessore Sandro Sandri annuncia che la Regione «si atterrà strettamente a quanto suggerito dal ministro Sacconi. Organizzeremo le nostre strutture per dare la pillola in regime di ricovero ordinario».
Ieri la senatrice Donatella Poretti (Radicali-Pd) ha ricordato come «Sacconi ha scritto nella relazione al Parlamento sulla 194 che, in alcuni casi, la pillola è stata data in regime di day hospital. Se pensa che una cosa del genere violi la legge poteva andare in procura». Il presidente della Pontificia accademia della Vita, monsignor Rino Fisichella, ha detto che «pensare che la Ru486 non sia un vero aborto è un inganno». Secondo Sacconi è «inequivoco il fatto che il processo farmacologico debba svolgersi sotto controllo medico ospedaliero». Il ministro annuncia controlli, così come il senatore Pdl Maurizio Gasparri. Dorina Bianchi, senatrice da poco passata dal Pd all´Udc, chiarisce: «Mi auguro che l´aborto farmacologico non venga considerato una procedura soft e indolore per la donna». Livia Turco del Pd parla della «fine di un tormentone. Ci potevano essere risparmiati mesi di scontri».

mercoledì 25 novembre 2009

Il Pd torna a spaccarsi sulla pillola abortiva

Il Pd torna a spaccarsi sulla pillola abortiva

Il Tempo del 25 novembre 2009

Sospendere la procedura che dovrebbe portare all`immissione in commercio in Italia della pillola abortiva Ru486 e chiedere una nuova istruttoria e deliberazione da parte dell`Emea. Il presidente della commissione Sanità di palazzo Madama, Antonio Tomassini, conferma le indiscrezioni uscite ieri e annuncia che nelle conclusioni del parere finale sull`indagine conoscitiva sulla pillola abortiva Ru486, che potrebbe arrivare già oggi o al massimo domani, chiederà uno stop precauzionale alla commercializzazione della pillola, in attesa di nuovi riscontri che attestino con certezza la sicurezza del farmaco abortivo. Una posizione, questa, condivisa, dai membri Pdl della commissione e più in generale dalla folta schiera di senatori di maggioranza, come spiega il capogruppo del Pdl, Maurizio Gasparri: «Non ci sono ancora sufficienti garanzie sulla compatibilità tra l`utilizzo della Ru486 e la legge 194». Per questo «occorre una nuova istruttoria per acquisire il parere del ministro». La tesi della maggioranza è quella dunque non di «uno stop pregiudiziale», ma della necessità di «saperne di più a tutela innanzitutto della salute delle donne». Tesi che non convince l`esponente radicale del partito Democratico, Donatella Poretti, secondo la quale «la procedura che ha dato il via libera all`immissione in commercio della pillola Ru486 ha subito uno stop politico». Non a caso nel corso dei lavori della commissione, questo pomeriggio, Poretti è stata l`unica a presentare un documento finale «alternativo», nel quale si chiede che «la commissione confermi che non era nelle proprie prerogative e neppure nelle proprie intenzioni rallentare, ostacolare o intervenire nel lavoro dell`Agenzia italiana per il farmaco». Un testo che non ha trovato la sponda del partito Democratico, visto che la capogruppo in commissione Dorina Bianchi ne ha subito preso le distanze. Resta da capire, però, quale sia rispetto alla posizione della maggioranza la posizione del partito Democratico, che domani mattina riunirà il gruppo per decidere la linea da tenere: «Ci sono delle incongruenze nella relazione di Tomassini - sì è limitata a dire Bianchi - che noi vogliamo discutere». Una dura critica alle conclusioni della Commissione arriva invece dal ginecologo Silvio Viale, che parla «di conclusioni sconclusionate e illegittime contro le donne». Parole dure, subito contraccambiate da Tomassini: «Trovo avventato e imprudente l`intervento di Silvio Viale, che mi pare soverchiato dal proprio ego».

giovedì 5 novembre 2009

Crocifisso, Berlusconi e la chiesa all'assalto dell'Europa

Crocifisso, Berlusconi e la chiesa all'assalto dell'Europa

Il manifesto del 5 novembre 2009
Iaia Vantaggiato

Una decisione inaccettabile per noi italiani, «una di quelle decisioni che ci fanno dubitare del buon senso dell`Europa». Così Silvio Berlusconi - nell`annunciare un imminente ricorso - commenta la sentenza, peraltro non definitiva, della corte di Strasburgo che obbligherebbe l`Italia a rimuovere i crocifissi dalle aule scolastiche. Parole un po` forti, soprattutto perché pronunciate dal premier di uno dei 27 paesi membri dell`Unione. Ma anche un attacco infondato all`Europa visto che - e Berlusconi non può non saperlo - la corte europea dei diritti dell`uomo non è un organismo dell`Ue ma un`istituzione nata, nel 1954, in seno al Consiglio d`Europa. Sta di fatto che la polemica sul crocifisso si trasforma, ieri, in una «iperidentitaria» crocifissione dell`Europa. Come sempre il più schietto è il ministro delle riforme Umberto Bossi che definisce la sentenza «una stronzata»: «L`Europa - dice - va bene per l`Economia ma per tante altre cose no anche perché è distante dalla gente e fa le cose contrarie a quelle che vogliono i cittadini». E non la manda a dire neanche il ministro della difesa Ignazio La Russa: «Il crocifisso? Possono morire, non lo toglieremo» mentre il ministro per lo sviluppo economico Claudio Scajola - quasi un fine esegeta rispetto agli altri - chiosa: «Se il Cristianesimo è un elemento di disturbo, vuol dire che trionfa di nuovo Pilato». Passi per tutti e passi pure per il capogruppo del Pdl al senato Maurizio Gasparri, strasicuro che l`unità d`Europa non si possa realizzare «soffocando ì diritti della maggioranza in nome di una integrazione di facciata». Gasparri non ha dubbi: è arrivato il momento di interrogarsi sull`utilità e la validità di tutto l`apparato burocratico dell`Unione europea. Un apparato del quale, però, la corte di Strasburgo non fa parte. Stupisce tuttavia che a lasciarsi trarre in inganno dall`equivoco sia il più equilibrato leader dell`Udc Pier Ferdinando Casini. che, nel paventare il rischio di una deriva integralista anti-Ue, dichiara: «Questa è una Europa laicista che non lascia spazio nè a Dio nè alla religione. E noi siamo invece per un`Europa laica che riconosca le proprie origini cristiane». E «noi» siamo anche in piena campagna elettorale così che a tutti fa piacere l`apprezzamento espresso dal segretario di stato vaticano per la scelta del governo italiano di fare ricorso contro la sentenza di Strasburgo. «Purtroppo questa Europa del Terzo Millennio - dichiara il cardinal Tarcisio Bertone ci lascia solo le zucche di Halloween e ci toglie i simboli più cari». Tutti contro, insomma, tranne Emma Bonino che nel pronunciamento di Strasburgo vede, al contrario; «un inno alla religiosità»

sabato 24 ottobre 2009

L’Agenzia del farmaco: sulla Ru486 nessuna pressione

l’Unità 22.10.09
L’Agenzia del farmaco: sulla Ru486 nessuna pressione
di Nedo Canetti

Guido Rasi ascoltato ieri nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla pillola abortiva. Il presidente dell’Aifa ha difeso l’operato dell’Agenzia: «Il via libera dopo un iter procedurale ineccepibile».

Il via libera alla commercializzazione in Italia della pillola abortiva RU486 è arrivato al termine di «un iter procedurale ineccepibile» da parte dell’Agenzia del farmaco. Lo ha affermato ieri il direttore generale dell’Aifa, Guido Rasi, nel corso di un’audizione alla commissione Sanità del Senato, nell’ambito dell’avviata indagine conoscitiva. «La pubblicazione sulla G.U. ha proseguito è un atto dovuto, non posso modificare di una virgola la delibera approvata». Ha poi sostenuto di non aver ricevuto alcuna pressione, tanto è vero che l’Aifa «non ha fermato di un giorno la propria macchina», stabilendo che la pillola è «teoricamente compatibile con la 194, essendo un metodo abortivo come un altro». «La lettera del sen. Tommasini, presidente della commissione (proponeva di attendere, per la decisione, la fine dell’indagine del Senato, ndr) ha precisato non imponeva lo stop dell’approvazione , ed infatti non è stata recepita». Il Pd, ha ricordato la senatrice Fiorenza Bassoli, aveva protestato per la lettera ed è «decisamente contrario alle motivazioni che la destra assegna alla commissione, ispirate a una volontà di controllo e di messa in discussione delle competenze dell’Aifa». «Come Pd ha sottolineato riteniamo che unico scopo dell’indagine sia quello di accertare quali siano le procedure e le pratiche cliniche migliori per la salute della donna e più coerenti con la legge 194». In merito alle procedure, il dr. Rasi ha affermato che non spetta alla sua Agenzia definire le modalità di somministrazione del farmaco. «È un atto medico ha detto e, nell’ambito ospedaliero, definire le modalità spetta a governo e regioni». E le «indicazioni e linee guida ha annunciato il sottosegretario Eugenia Rocella, presente all’audizione saranno emesse dal governo «in compatibilità con la 194» e «secondo la delibera dell’Aifa» (ricovero ospedaliero fino ad aborto avvenuto e intera procedura praticata in ospedale). Diverse regioni, come la Campania, il Veneto e l’Emilia Romagna hanno annunciato che stanno procedendo.

martedì 13 ottobre 2009

Altro stop del Governo Pillola Ru 486,

Liberazione 2.9.09
Altro stop del Governo Pillola Ru 486,
Sacconi: «Non in vendita dal 19 ottobre»

Non sarà nemmeno il 19 ottobre il giorno in cui la RU 486 entrerà in commercio. Ne è sicuro il ministro del wellfare Maurizio Sacconi, protagonista ieri di un'audizione in Commissione sanità. Dopo aver di fatto bloccato l'Aifa, l'agenzia indipendente che ha il compito di decidere sulla legittimità a meno della pillola, con l'invito ad aspettare l'esito dell'indagine conoscitiva parlamentare, adesso il ministro Sacconi pone un altro paletto all'orizzonte: la determina tecnica. Cos'è? «E' quella che contiene nel dettaglio il percorso secondo il quale si dovrebbe svolgere l'aborto farmacologico. E' molto importante» ha puntualizzato Sacconi. Sulle stesse posizioni si è messo anche il sottosegretario alla Salute, Ferruccio Fazio: «È giusta la decisione dell'Aifa di aspettare l'indagine conoscitiva del Senato prima di deliberare le modalità di vendita della RU 486. Mi sembra corretto che in presenza di un'inchiesta parlamentare si arrivi quanto meno a una pausa di riflessione, perchè una cosa sono le decisioni tecniche una cosa l'implementazione, una decisione politica».
Di tutto altro avviso l'Idv: «Ancora una volta, il Governo e la sua maggioranza tentano di intimidire un'agenzia indipendente come l'Aifa - ha commentato il senatore dell'Italia Giuseppe Astore, che ha abbandonato per protesta la commissione Sanità al termine dell'audizione di Sacconi - L'indagine conoscitiva doveva avere altri obiettivi. Certamente non quello di bloccare l'iter autorizzativo della RU 486, ruolo che non spetta ad un' indagine conoscitiva». Ma Sacconi insiste: «L'assunzione della pillola abortiva Ru486 potrebbe comportare dei rischi per la salute della donna, se non vengono rispettate tutte le regole di sicurezza. Se la donna si sottrae al ricovero ospedaliero, se gestisce da sola le possibili complicanze o addirittura il momento dell'espulsione, ci saranno problemi.Mi sembra che il Parlamento non abbia nessuna intenzione di prendere tempo, e nemmeno lo vuole fare il Governo». Non contento, Sacconi ha rincarato: «Ci sono dubbi che il servizio sanitario nazionale sia in grado di garantire la compatibilità tra il processo farmacologico e la 194». La radicale Donatella Poretti ha sottolineato che la legge «stabilisce che l'approvazione del farmaco spetti all'Aifa. Il ruolo del Parlamento è quello di fare le leggi e non di interferire con il lavoro di organismi che dovrebbero essere autonomi». In tutto questo, ieri mattina l'Aduc ha inviato alla Commissione Ue una denuncia contro l'Italia «per inadempienza del diritto comunitario sulla questione della commercializzazione della pillola abortiva Ru486». Una direttiva europea del 2001 prevede infatti che un farmaco autorizzato in uno Stato membro, qualora altro Stato membro faccia altrettanta richiesta di autorizzazione, quest'ultima debba rendere operativa la stessa entro 90 giorni.

lunedì 12 ottobre 2009

Questioni di vita e di morte

l’Unità 9.10.09
Questioni di vita e di morte
di Luigi Manconi

Il testamento biologico riguarda tutti Perché il Pd non prende l’iniziativa e lancia una grande manifestazione di massa?

Cari Franceschini, Bersani, Marino,
domani saranno esattamente sette giorni dalla manifestazione per la libertà di informazione di piazza del Popolo, a Roma. È stata una iniziativa importante, che ha risposto perfettamente al suo duplice scopo: quello di esprimere e quello di sensibilizzare. La manifestazione ha espresso la preoccupazione diffusa per l’attuale fragilità di quel fondamentale principio di democrazia che è il diritto di informarsi e di informare. E ha contribuito a sensibilizzare sul tema altri cittadini e altri gruppi sociali. Ciò ha confermato una tendenza classica del modello di manifestazione nell’Italia contemporanea. L’azione collettiva di strada, in altre parole, tende a coagularsi intorno a due gruppi essenziali di questioni: quelle economico-sociali (contratti, pensioni, diritti sindacali...) e quelle relative all’uso della forza in ambito nazionale e sovranazionale (la repressione interna, quella a opera di regimi dispotici, le guerre...). Un terzo gruppo di questioni comincia a emergere come oggetto di manifestazione (il razzismo per esempio). Ciò corrisponde puntualmente alle tematiche fondamentali della lotta politica, come si è sviluppata nell’ultimo mezzo secolo, che si articola su piani diversi e in sedi differenti e, infine, nella mobilitazione di massa nelle strade e nelle piazze. Ma quella stessa lotta politica conosce oggi profondi mutamenti.
Detta in breve, diventano oggetto di azione pubblica e di conflitto collettivo tematiche confinate, fino a qualche decennio fa, nella sfera privata e affidate alla capacità di autodeterminazione individuale. Le “questioni di vita e di morte” diventano la posta in gioco e il cuore pulsante di lotte culturali, ideologiche, ma anche direttamente politiche, che coinvolgono milioni di cittadini e investono il sistema politico in senso stretto. Si pensi alle problematiche dell’aborto e del Testamento biologico, delle coppie di fatto e della procreazione assistita.
Se è vero come è vero che quello sul Testamento biologico è diventato un conflitto squisitamente politico (oltre che filosofico, religioso, culturale), perché mai non dovrebbe costituire tema e obiettivo di una manifestazione di massa? La risposta è semplice: perché molti esitano a considerarlo tale. E, invece, proprio di conflitto politico si tratta: perché, a seconda della normativa che verrà adottata, si produrranno effetti concreti, corposamente materiali, sulla vita dei cittadini. Ne discenderanno conseguenze sullo stato di benessere o di sofferenza delle persone, sulle loro aspettative di vita e sulle loro relazioni private e sociali. In ultima analisi, sulla loro felicità o sulla loro infelicità: ovvero in altri, più concreti e modesti termini sulla capacità delle leggi degli uomini di ridurre la quota di dolore non necessario che tutti in un modo o nell’altro, prima o poi, rischiamo di subire.
Perché mai, dunque, non si dovrebbe poter manifestare collettivamente la propria opinione su tale questione? E c’è un ulteriore ragione che rende, quell’azione pubblica, quanto mai necessaria: il fatto che l’orientamento della maggioranza parlamentare corrisponde, nella società italiana, a quello di un’esigua minoranza. Insomma, la gran parte della società italiana ha un’opinione esattamente opposta, sul tema del Testamento biologico, a quella del centro destra. E questo rappresenta uno dei pochi motivi di speranza per quanto riguarda i rapporti di forza nell’Italia contemporanea: per giunta, su un tema a dir poco cruciale. Se diventasse legge il testo approvato al Senato, l’ordinamento giuridico del nostro Paese avrebbe subito una lesione pari solo a quella inferta dall’introduzione del reato di immigrazione clandestina. Quel disegno di legge, infatti, prevede che pur in presenza di un rifiuto esplicito, firmato e autenticato al paziente vengano imposte nutrizione e idratazione forzate. Si avrebbe, così, la più brutale negazione del diritto all’autodeterminazione individuale e l’imposizione di una volontà esterna, esercitata dallo stato, nella sfera più intima della persona. E nel momento estremo e più delicato: quello del fine vita.
Cari Franceschini, Bersani, Marino, temo che la sentenza della Consulta sul “Lodo Alfano” porti, tra l’altro, a una accelerazione e a un ulteriore irrigidimento della posizione del centro-destra in tale materia. Tutto ciò non vale una manifestazione a Piazza del Popolo? Una manifestazione che sottragga un tema tanto decisivo sia alle strettoie della discussione parlamentare che alle angustie del dibattito congressuale, e lo rimetta nelle mani e nelle voci dei cittadini.

giovedì 17 settembre 2009

Tutti i laici che ora vanno pazzi per la Cei

il Riformista 8.9.09
Tutti i laici che ora vanno pazzi per la Cei

Uno degli effetti collaterali e paradossali del caso Boffo è che ha un po' rimescolato le carte delle amicizie e inimicizie. Secondo la logica tribale che vige nel dibattito pubblico italiano, secondo la quale il nemico del mio nemico è mio amico, molti nemici di Boffo, e della Cei e della Chiesa cattolica italiana, sono diventati improvvisamente suoi amici.
Così in questi giorni stiamo vedendo fior di laici, e talvolta di laicisti, schierarsi come un sol uomo al fianco di colui che più di tanti altri ha interpretato per quindici anni la politica e la strategia della Cei di Ruini. Eugenio Scalfari, per esempio, nel suo fondo domenicale, accedendo alla tesi secondo la quale il segreterio di Stato vaticano Tarcisio Bertone avrebbe lasciato da solo Boffo per colpire la Cei di Ruini, ha simpatizzato con i vescovi condannati fino a ieri per il loro interventismo nel dibattito pubblico e legislativo. «È compito del clero combattere i peccati - ha scritto il fondatore di Repubblica - Denunciarli. Avvertire i fedeli affinché a loro volta non cadano in tentazione. Lo fanno. Lo ha fatto la stampa diocesana. L'ha fatto l'Avvenire. Con prudenza ma con chiarezza». Più che giusto, oggi che è riferito alla vita privata di Berlusconi. Ma forse era giusto anche quando i vescovi intervenivano in campi, come il biotestamento, altrettanto pubblici, dai quali invece Scalfari ha più volte intimato loro di tenersi alla larga.
Allo stesso tempo, fior di esponenti del movimento gay hanno trovato parole ferme e giuste per denunciare l'uso neanche tanto sottilmente omofobo che Feltri ha fatto della vicenda della condanna penale di Boffo, ma senza aggiungere una parola - con l'eccezione di Grillini - sulle accuse di omofobia che fino a ieri avevano rivolto proprio alla Cei e alla Chiesa italiana.

Non azzerate la cultura laica

l’Unità 8.9.09
Non azzerate la cultura laica
Lettera aperta ai tre candidati del Pd: temi e protagonisti del riformismo liberal-democratico emarginati dal dibattito e dai gruppi dirigenti
di Stefano Passigli

Cari amici, Vi scrivo nella vostra veste di candidati alla se-
greteria del Pd. Sin dalla crisi della I Repubblica e dalla scelta di un sistema elettorale maggioritario si fece strada nel centrosinistra la convinzione che occorresse superare le precedenti appartenenze partitiche e unire in una casa comune le diverse tradizioni del riformismo italiano. Fu questo il principio ispiratore del progetto dell’Ulivo nel 1996, e della nascita dei Ds nel 1998 che segnò il definitivo incontro degli eredi del comunismo italiano con le varie espressioni del riformismo socialista, ambientalista, e azionista-repubblicano. Anche la nascita della Margherita segnò il superamento di una logica strettamente identitaria, unendo all’impegno politico dei cattolici quello di alcune componenti della cultura liberal-democratica.
Questo processo si è interrotto in questi ultimi 2-3 anni con la progressiva marginalizzazione di quella cultura “laica” che è stata tanta parte della storia unitaria del nostro paese; che con Gobetti, Croce, Amendola, i Rosselli, Salvemini, Spinelli ha fornito la più emblematica opposizione al Fascismo; che ha dato un contributo essenziale alla formulazione della nostra Costituzione; e infine che ha garantito le grandi scelte di politica estera (dall’alleanza atlantica all’Europa) e di politica economica (dal libero scambio alla politica dei redditi) che hanno assicurato all’Italia libertà, sicurezza e sviluppo economico.
Complici le liste bloccate introdotte dal porcellum e le scelte di un gruppo dirigente sempre più auto-referenziale, la cultura politica laica è stata insomma emarginata, come dimostra la progressiva esclusione dal Parlamento e da significative responsabilità di partito di personalità di origine socialista come Amato, Bassanini o Ruffolo, o azionista e repubblicana come per non autocitarmi Maccanico, Manzella o Ayala. Per non parlare di esponenti liberal-democratici come Zanone o Debenedetti.
Cari amici, vi siete candidati a guidare il futuro Pd e a rimediare ai tanti errori sinora compiuti dalla sua dirigenza, primo tra tutti l’aver contribuito ad accelerare la fine della scorsa legislatura senza aver prima corretto, se non le leggi ad personam e il conflitto di interessi garantendo la libertà dell’informazione, almeno la legge elettorale.
Tra errori così gravi l’emarginazione della cultura politica laica ancora largamente presente nell’università, nell’informazione, nell’imprenditoria e professioni: in breve nella classe dirigente potrebbe forse apparirvi una colpa minore. Non lo è. Il riformismo laico ha una matrice illuminista ed è legato alla storia del costituzionalismo liberal-democratico. È infatti con l’illuminismo che si apre la stagione dei diritti e si diffonde quel principio di tolleranza che è alla radice della laicità delle odierne società europee e ne rappresenta il tratto distintivo rispetto ai risorgenti fondamentalismi. Ed è con l’illuminismo che si consolida il principio dell’autonomia della scienza da ogni morale e la fiducia nella ricerca come fonte del benessere dell’individuo e della società.
È infine con il costituzionalismo liberal-democratico che si rafforza il principio della separazione e dell’equilibrio tra poteri; un principio che nell’Italia di oggi che vede un Governo sempre più onnipotente, un Parlamento esautorato e a rischio l’autonomia e indipendenza del Giudiziario impone una strenua difesa della forma parlamentare di Governo e degli equilibri sanciti dalla nostra Costituzione. Equilibri che anche l’eccessiva torsione maggioritaria della rappresentanza prodotta da un bipartitismo coatto porrebbe a rischio. Al di là di temi specifici (dalla scuola alla ricerca, dai Dico al testamento biologico) sono i principi fondamentali del riformismo laico che appaiono oggi negletti nel PD.
Mi auguro che condividiate le preoccupazioni che vi ho esposto e che vogliate con una risposta pubblica rassicurare i tanti che sperano che il congresso e le primarie segnino un deciso punto di svolta rispetto alla passata gestione del PD, ma temono che il confronto in atto tra voi possa risolversi solo in uno scontro tra schieramenti interni senza precise scelte di contenuto. In un momento in cui sembra riaprirsi la possibilità per le forze di opposizione di dar vita ad alleanze in grado di farle tornare ad essere maggioranza ciò sarebbe particolarmente grave. Con amicizia

Ora di religione il Vaticano vuole lo Stato catechista

La Repubblica 10.9.09
Ora di religione il Vaticano vuole lo Stato catechista
di Adriano Prosperi

Che fra i tanti problemi dell´Italia di oggi si debba porre in evidenza – ancora una volta – quello dell´ora di religione potrà sembrare un lusso da laicisti incalliti. E invece è probabile che proprio in questo dettaglio si trovi un bandolo dell´imbrogliata matassa italiana. Vediamo. Nel testo della lettera inviata dal prefetto della Congregazione vaticana per l´educazione cattolica ai presidenti delle conferenze episcopali si affermano punti secchi e precisi: 1. l´insegnamento della religione non può essere «limitato ad un´esposizione delle diverse religioni, in modo comparativo o neutro», ma deve concentrarsi nell´insegnamento della religione cattolica.
2. Il potere civile «deve riconoscere la vita religiosa dei cittadini e favorirla»; ma uscirebbe dai suoi limiti se presumesse di «dirigere o di impedire gli atti religiosi». Dunque «spetta alla Chiesa stabilire i contenuti autentici dell´insegnamento della religione cattolica nella scuola» garantendo così genitori e alunni che quello che viene insegnato è proprio il cattolicesimo.
Questa direttiva può essere letta da molti punti di vista: se ne ricava intanto un´idea di quanto scarsa sia l´autonomia dei vescovi e delle loro conferenze nazionali nel governo religioso dei fedeli cattolici. Il Concilio Vaticano II aveva segnato un momento di svolta rispetto all´avanzata del potere delle congregazioni vaticane, veri ministeri centralizzati capaci di ridurre i vescovi a obbedienti impiegati di concetto. Ma poi la Curia ha ripreso la sua marcia. Con qualche vittima e con evidenti conflitti tra figure dell´episcopato e mondo vaticano, come quelli intravisti nell´episodio dell´aggressione al direttore di «Avvenire» e delle sue dimissioni.
Oggi il capo del governo italiano si prepara a pagare alla dirigenza vaticana della Chiesa un prezzo tanto più salato in termini di limitazione o erosione dei diritti costituzionali quanto più logora appare la sua rappresentatività allo sguardo non offuscato dalla propaganda mediatica: dichiarare – come ha fatto Berlusconi – che quelle relazioni sono «eccellenti» significa solo che il debitore si impegna a pagare qualunque prezzo. Oltre al testamento biologico avremo dunque sempre più uno Stato catechista, anzi uno Stato chierichetto. Perché una cosa di cui il cardinale Grocholewski sembra non rendersi conto è questa: che quel pericolo di uno Stato che presuma di dirigere o di impedire atti religiosi è proprio ciò che la sua lettera tende a realizzare e che in Italia già esiste.
Non potremmo definire altrimenti lo Stato obbediente che a) impone nelle sue scuole pubbliche l´insegnamento di una sola e specifica religione; b) fa svolgere quell´insegnamento da persone scelte dall´autorità ecclesiastica; c) si prepara a garantire a quell´insegnamento la stessa autorevolezza delle altre discipline scolastiche e la stessa remunerazione in crediti, in barba alla sentenza del Tar del Lazio, assicurando che questa ora di religione ha «la stessa esigenza di sistematicità e di rigore che hanno le altre discipline». Noi non vogliamo negare che lo studio delle dottrine cattoliche possa avere sistematicità e rigore. In popoli che il caso geografico e le svolte storiche hanno lasciato più lontani di noi da Piazza San Pietro ci sono eccellenti facoltà di teologia cattoliche sorte per emulazione accanto a quelle protestanti. Qui, come ben sa l´attuale pontefice che ne è stato un docente, le questioni dottrinali dell´intricato sistema di segni e di concetti elaborato nel corso di millenni vengono dottamente discusse seguendo le regole della ricerca intellettuale: conoscenza critica dei testi, rigore di analisi. Ma nell´insegnamento scolastico di cui qui si tratta abbiamo solo la distribuzione di verità in pillole per lottare contro i pericoli sommi evocati dalla lettera cardinalizia di cui sopra: «creare confusione o generare relativismo o indifferentismo religioso».
Tra l´esercizio dell´intelligenza aperta e ancora fresca delle menti giovanili e l´obbligo di inculcare certezze, tra la libera ricerca del vero e l´apologetica di una religione c´è un abisso. Quale sia poi l´effetto di questa dimensione catechistica sulla vita religiosa di un popolo è la storia a dircelo. Da secoli, in un modo o nell´altro, con una breve parentesi di scuola laica nell´Italia dello Statuto albertino, gli italiani imparano il catechismo cattolico, da quello di San Roberto Bellarmino in poi. Ebbene, quale sia lo stato della religione degli italiani è sotto gli occhi di tutti. Non parliamo solo di conoscenza: ché qui l´abisso è grande come sanno i pochi volenterosi che tentano ogni tanto di diffondere la conoscenza della Bibbia. Parliamo di morale, quella dei Vangeli cristiani e del decalogo ebraico. Parliamo della capacità cristiana di testimoniare la fede in faccia al potere. L´Italia non ha conosciuto martiri se non quelli creati dal potere ecclesiastico. Ha conosciuto ipocriti, eredi di di ser Ciappelletto e di Tartufo. Nel paese dove un tempo fiorivano i marxisti immaginari, oggi pullulano i convertiti religiosi. «Franza o Spagna, purchè se magna», si diceva nel ‘600.

venerdì 4 settembre 2009

"Fine vita", non servono le scorciatoie retoriche

"Fine vita", non servono le scorciatoie retoriche

Secolo d'Italia del 1 settembre 2009, pag. 6

Agostino Carrino

Giù le mani del governo dal mio Medicare: così un gruppo di critici di Obama, nella Carolina del Sud, hanno protestato con il loro deputato Bob Inglis, repubblicano. Il progetto democratico di riforma sanitaria sta infatti suscitando negli Stati Uniti un dibattito aspro, purtroppo privo di coerenza, di raziocinio e di qualsivoglia senso della prudenza. Si protesta senza conoscere i termini reali della questione, dal rischio di un (ulteriore) indebitamento catastrofico per il governo federale alla mancanza di copertura sanitaria per un numero crescente di nuovi e vecchi poveri (si è già raggiunta la cifra di 46 milioni); emblematico di tutto ciò è la su citata protesta, perché Medicare è già gestita dal governo, anche se qualcuno finge di ignorarlo. E così si diffondono le interpretazioni più balorde sugli effetti della riforma, dalla impossibilità di farsi curare al diritto di aborto e di eutanasia a spese del governo al dispendio di denari per cure agli immigrati illegali (in America questi sono già tutelati dalla legge). Chi fa le spese di questo circo della fantasia è Obama, descritto a seconda dei casi come un nuovo Hitler (Glenn Beck di Fox News) o un detestabile filo-europeo che amerebbe essere il Presidente degli «Stati Uniti di Francia» (Rush Limbaugh in una sua seguitissima trasmissione radiofonica). Come ha giustamente osservato Fareed Zakaria (Newsweek) il dibattito politico in argomento è diventato «surreale, coni conservatori che sostengono che Obama è a favore dell’eutanasia e dei "comitati di assassinio" e che sta trasformando l’America nella Russia (scommetto che non si sono accorti che la Russia non è più comunista)». E ciò proprio nel momento in cui occorrerebbero delle critiche serie per evidenziare, tra l’altro, anche ciò che effettivamente andrebbe corretto nelle proposte di legge dei Democratici. Le polemiche sul disegno di legge in materia di testamento biologico che hanno increspato in Italia - insieme con la solita (pseudo) bagattella leghista a proposito dell’insegnamento dei dialetti e la "scoperta" di Feltri sul direttore di Avvenire - le onde tranquille dei mari d’agosto sono qualcosa di molto simile a quanto sta accadendo in America, il risultato di una incomprensibile svista che se non corretta in tempi rapidi rischia di produrre disastri a catena. Non ci si è ancora accorti, almeno in certi ambienti, sia di destra sia di sinistra, che il mondo è cambiato e sta cambiando e che nel XXI. secolo i riferimenti intellettuali, concettuali, morali devono essere ripensati e riformulati. Si continuano a usare armamentari superati, da guerra fredda, con i cavalli cosacchi alle porte di San Pietro e capitalisti dal cuore duro e insensibili alla libertà di stampa pronti a tutto. Il dibattito sulle dichiarazioni di Gianfranco Fini alla festa del Pd e la questione del direttore di Avvenire sono solo due esempi. Anche nel merito delle dichiarazioni di Fini c’è stata molta ideologia e poca sostanza intellettuale, esattamente come in America, dove anche lì la riforma di Obama si sta impantanando in una serie di menzogne e di invenzioni sulla questione del "fine vita". Si tratta di un tema che non può essere affrontato con contrapposizioni pregiudiziali, perché nessuno è in possesso di una verità assoluta e sicura, nemmeno la Chiesa cattolica. Chi ha ragione, per esempio, su un altro tema altrettanto sensibile, quello dell’aborto, chi sostiene che il concepito è già persona all’atto del concepimento (le gerarchie ecclesiastiche attuali) o un santo della Chiesa, non proprio l’ultimo, Tommaso d’Aquino, per il quale si diventa persona (cioè si riceve l’anima) al quarantesimo giorno dal concepimento? E quale può essere il fondamento di verità di una organizzazione religiosa che nega i sacramenti al divorziato incolpevole, che ha semplicemente subito la volontà altrui? E che tuttavia vuole affermare le sue verità con una legge dello Stato? Come dire che su questi temi, e specificamente sul "fine vita", chi parla in maniera apodittica rischia facilmente di sbagliare. Sicché la proposta di Fini - semplicemente la riproposizione di tesi già prima manifestate e ora reiterate non nella sua veste di Presidente della Camera, ma di co-fondatore del Pdl -, di lasciare che il Parlamento e non la Chiesa cattolica discuta, rifletta e poi decida in autonomia e coscienza, è un invito al buon senso, una dichiarazione di sana laicità, che in qualunque altro Paese europeo sarebbe stata accolto come un normale invito a far ben funzionare sia le istituzioni sia i cervelli nel rispetto dei propri obblighi; mentre in Italia assume quasi il sapore di una dichiarazione rivoluzionaria ed eversiva, sol perché prende atto che il tempo delle ideologie è finito, con tutto quello che di buono e di cattivo (molto) portavano con sé. Oggi la laicità dello Stato è anche un’ovvia conseguenza della fine delle ideologie, che in Italia arriva in ritardo a causa della peculiarità del nostro Paese, che ospita (croce e delizia) il centro della cristianità. Nessun cattolico tedesco o francese è talmente lacerato nella sua coscienza come quello italiano, diviso quotidianamente dal suo voler essere un buon cittadino e dal suo sentirsi cattolico. In Germania la Chiesa aiuta i cattolici a ricomporre ogni frattura del genere, ma in realtà lo stesso catechismo della Chiesa cattolica, valido per tutti, prevede ipotesi di fine vita senza accanimento terapeutico che sono un modello di razionalità: al paragrafo 2278 infatti si legge: «L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’accanimento terapeutico». In Francia e in Germania questo è il protocollo di base accettato quasi da tutti (un caso Englaro li non sarebbe mai sorto); in Italia non si riesce a superare la soglia di prese di posizione pregiudiziali. Al di là della destra e della sinistra, è questa l’esigenza prioritaria: cercare di affrontare i problemi con la aristotelica della prudenza, che vuol dire lasciarsi orientare da un sano senso delle cose e della loro realtà, non dai propri pregiudizi.

La biopolitica non ammette libertà di coscienza

La biopolitica non ammette libertà di coscienza

Il Secolo XIX del 1 settembre 2009, pag. 17

Paolo Becchi

Che la bioetica sia diventata biopolitica sta ormai sotto gli occhi di tutti. La politica si è divisa su una legge riguardante la fecondazione assistita, una legge che approvata dal Parlamento e confermata dal popolo, il quale per via referendaria ne ha impedito l'abrogazione, viene ora - in parte - rimessa in discussione dai giudici della Corte Costituzionale. La politica si è divisa sul caso Englaro a tal punto da spingere il governo (unanime!) a una decretazione d'urgenza per impedire che una sentenza di morte pronunciata da altri giudici venisse eseguita. La politica continua a dividersi sul testamento biologico di cui è prossima la discussione alla Camera.

In questa situazione di aspro, ma sano conflitto politico, che pone un freno al governo dei giudici, è abbastanza sorprendente che chi aspira naturalmente alla successione di Silvio Berlusconi nella guida del più grande partito italiano - Gianfranco Fini - non perda l'occasione per smarcarsi. Ieri la fecondazione assistita, oggi il testamento biologico, domani - chissà - l'eutanasia. Parole grosse sono riecheggiate: la legge sulla fecondazione assistita e quella in itinere sul testamento biologico sarebbero il frutto dell'invadenza della Chiesa cattolica nell'ambito dello Stato laico. Si è scambiato lo spazio pubblico che la religione ha ormai di fatto planetariamente riacquistato nella società postsecolarizzata per una pretesa ingerenza del Vaticano nella politica italiana. il fatto epocale è un altro. La religione non riguarda più soltanto la sfera privata, la fede, ma è ritornata ad esprimere delle ragioni, occupa uno spazio nella sfera pubblica.

Dal punto di vista politico un dato va comunque registrato: non solo Fini si è posto al di fuori dello schieramento politico cui appartiene, ma ha assunto posizioni radicali, neppure condivise da una parte consistente dell'opposizione. La legge sulla fecondazione assistita è uscita dal Parlamento italiano e non dal Vaticano e anzi, credo, che per un cattolico doc gran parte delle tecniche di fecondazione assistita ammesse dalla legge sarebbero di per sé peccaminose: quella legge non è cattolica, è soltanto una legge che tiene conto dei diversi soggetti coinvolti nella fecondazione assistita, anche degli embrioni.

Sul versante del fine vita il discorso è aperto e c'è sicuramente da augurarsi che il lavoro parlamentare possa modificare radicalmente il disegno di legge approvato dal Senato, riparando notevoli guasti. Ma questo richiede impegno e non dichiarazioni a effetto che mirano in anticipo a gettare discredito su qualcosa che invece si può (anzi si deve!) modificare.

Si dirà: opinioni diverse. E su questioni eticamente sensibili è alla libertà di coscienza che bisogna fare appello. Ma proprio qui casca l'asino. Nel momento in cui la bioetica si è trasformata in biopolitica e la discussione non avviene più nell'ambito di un comitato di bioetica, ma nei congressi di partito e nelle aule parlamentari, non è più possibile affrontare la cosa ricorrendo a superati cliché liberali. Nell'epoca della riproducibilità tecnica della vita e del differimento tecnologico della morte naturale un movimento politico deve avere una sua precisa linea politica anche su questi temi d'importanza decisiva. Stiamo invece assistendo a qualcosa di paradossale: Berlusconi viene fatto passare per un fautore dello Stato etico di gentiliana memoria, mentre Fini aspira a presentarsi come un vecchio liberale alla Constant. In realtà entrambi i modelli sono oggi obsoleti: né di Gentile, né di Constant abbiamo bisogno, ma di qualcosa di meglio di entrambi.

Ora un pezzo di Cei è pronto alla guerra vera col Governo

il Riformista 4.9.09
Ora un pezzo di Cei è pronto alla guerra vera col Governo
Scenari. Il compromesso tra Santa Sede ed episcopato che ha portato alle dimissioni di Boffo non ha chiuso le ostilità nella Chiesa. Berlusconi punta al canale privilegiato con Bertone. Oltretevere si confida nel ruolo del Colle. Bossi incontra Bagnasco. Ma il nuovo Avvenire non sarà più indulgente col Cavaliere.
di Stefano Cappellini

«Non è detto che chi ride oggi continuerà a farlo domani». Così dice al Riformista una fonte vicina alla Cei. Come dire: oggi hanno vinto i nemici di Boffo, dentro e fuori la Chiesa. Ma le conseguenze sul lungo periodo di questa vicenda sono ancora tutte da decifrare, sia nei rapporti tra Santa Sede e Conferenza episcopale, sia in quelli tra la politica e le gerarchie cattoliche. Del resto, nel caso Boffo poco è come appare: vinti e vincitori, congiurati e vittime, testimoni e complici.
I vincitori di giornata, Silvio Berlusconi e Vittorio Feltri, sono nell'imbarazzo di non poter celebrare il successo. Non solo per le ovvie ragioni di opportunità e prudenza, ma perché il risultato ottenuto è andato oltre le previsioni: Boffo si è dimesso - e questo era certo messo in preventivo nella campagna stampa contro di lui - ma il terremoto che ha investito la Chiesa italiana è troppo forte per pensare che questa vicenda possa chiudersi con l'uscita di scena del direttore di Avvenire. Non solo: chiunque sia il successore di Boffo al giornale, si può fin d'ora prevedere che non sarà troppo indulgente con il presidente del Consiglio. Perché il vertice dei vescovi italiani può accettare di sacrificare un proprio uomo, sebbene centrale nelle traiettorie di potere degli ultimi tre lustri, ma non si può certo pensare che adesso avalli una linea rinunciataria verso il Governo, trasmettendo l'idea di una resa incondizionata al potere dei media e della politica. Sarebbe la liquidazione definitiva dei tre lustri in cui il cardinale Camillo Ruini ha rifondato il ruolo e l'influenza della Chiesa italiana orfana del partito unico dei cattolici. Ruini ha difeso Boffo con orgoglio e forza. E Bagnasco è ormai esposto quanto il suo predecessore. La principale preoccupazione della Cei sarà di qui in avanti non lasciare che la sconfitta si trasformi in disfatta. Le tensioni con maggioranza e Governo potrebbero addirittura intensificarsi. E, non a caso, dopo aver aperto più di un fronte polemico con la Chiesa, ieri il leader della Lega Nord Umberto Bossi e il ministro Roberto Calderoli si sono precipitati a incontrare Bagnasco. Un'ora di colloquio, a quanto si apprende, per stemperare i toni delle polemiche e provare a siglare una tregua.
Berlusconi, per parte sua, è concentrato a ripartire da dove tutto è iniziato, quando Tarcisio Bertone annullò la cena della Perdonanza per via delle uscite di Feltri. Il premier può ora tornare a concentrarsi sull'obiettivo di una interlocuzione privilegiata con la Segreteria di stato vaticana. Questo, del resto, era anche dall'altra parte un obiettivo di Bertone fin dall'insediamento: semplificare i canali di comunicazione con le istituzioni italiane, centrandoli sul rapporto con le figure del presidente del Consiglio e del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che sopra tutti è considerato Oltretevere il garante degli equilibri tra Stato italiano e Santa sede.
Ieri - dopo i tuoni e fulmini di padre Lombardi in sala stampa vaticana («Feltri fomenta il caos») - è prevalso Oltretevere un circospetto silenzio. «Il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Angelo Bagnasco prende atto, con rammarico, delle dimissioni irrevocabili del dottor Dino Boffo dalla direzione di Avvenire, Sat2000 e RadioInblu». Così l'Osservatore Romano ha dato ieri la notizia delle dimissioni di Boffo, senza aggiungere altri commenti. Una asciuttezza non certo inedita per il quotidiano vaticano, ma che nel turbine di ricostruzioni legate al caso ha contribuito ad avvalorare la tesi secondo cui la Santa Sede ha ottenuto ciò che voleva: un passo indietro del direttore di Avvenire, per fermare il flusso di indiscrezioni e notizie sulla sua vecchia condanna per molestie e sottrarre la Chiesa a una situazione sempre più imbarazzante.
C'era già due giorni fa un accordo tra segreteria di Stato vaticana e Cei per chiudere la partita con un compromesso? Ovvero da una parte la disponibilità del pontefice a dare solidarietà all'istituzione e dall'altra l'impegno dell'episcopato a convincere Boffo della necessità di dimettersi? Questo è ciò che si sussurra, portando a suffragio della tesi una interpretazione più sottile della solidarietà che Benedetto XVI ha offerto a Bagnasco con la telefonata resa nota martedì scorso dall'ufficio comunicazione della Cei: Boffo non era mai citato nel resoconto della telefonata, mentre si dava conto della volontà di Benedetto XVI di avere informazioni sulla vicenda. Un modo, sottolineano gli esegeti delle liturgie vaticane, per separare il destino della singola persona (e i suoi eventuali errori personali, non troppo eventuali, in questo caso) da quello dell'istituzione.
Pure in Vaticano, comunque, non mancano motivi di preoccupazione. Perché, com'è evidente, questa vicenda è stata gestita senza un piano razionale e meditato. E i suoi esiti sono il frutto di compromessi e scontri ovattati, ma non per questo meno forti. La verità è che l'onda d'urto provocata dagli articoli del Giornale sui trascorsi giudiziari di Boffo ha colto di sorpresa tutti, sia gli amici di Boffo nella Chiesa sia i suoi detrattori. Paradossale, visto che numerosi e consistenti indizi testimoniano del fatto che veleni e veline sul conto del direttore di Avvenire erano a conoscenza di decine e decine di ecclesiastici (e non solo) e che quindi sarebbe stata logica una reazione pronta. Ma, evidentemente, regnava la convinzione generale che le carte - il certificato del casellario giudiziario e il cosiddetto lato B con il dossier sulle inclinazioni sessuali del giornalista - non avrebbero mai visto la luce. Convinzione non priva di qualche speranza dato che il documento, certamente anteriore al marzo 2007 (e cioè al cambio di guardia tra Ruini e Bagnasco alla guida della Cei), era stato diffuso e offerto a molti, ben prima che sul finire della primavera scorsa fosse inviato a decine di vescovi.

Nel duello Bertone-Bagnasco spunta il "Piano Esterno" per il "Nuovo Centro"

La Repubblica 4.9.09
Nel duello Bertone-Bagnasco spunta il "Piano Esterno" per il "Nuovo Centro"
di Massimo Giannini

«E adesso niente sarà più come prima...». Non è un anatema. Piuttosto è una presa d´atto, dura ma netta, quella che si raccoglie Oltre Tevere in queste ore difficili e amare.
La solidarietà tardiva a Boffo e un progetto politico con Casini e Montezemolo

Se è vero che Dino Boffo è «l´ultima vittima di Berlusconi», come scrive persino il New York Times, è chiaro che questa vicenda apre una doppia, profonda ferita. Sul corpo della Chiesa, già attraversato da divisioni latenti. E nel rapporto tra Santa Sede e governo, già destabilizzato da incomprensioni crescenti.
Per la Chiesa, il doloroso sacrificio di Boffo nasconde la frattura che si è aperta tra Segreteria di Stato e Conferenza Episcopale. Per rendersene conto basta ricostruire le tappe che hanno portato alla drammatica uscita di scena del direttore di Avvenire. Venerdì scorso si consuma il primo atto, con l´operazione di killeraggio del Giornale e il conseguente annullamento della Cena della Perdonanza tra Bertone e Berlusconi. Un colpo a freddo, che nelle alte gerarchie nessuno si aspettava, ma che innesca reazioni differenti. Nel fine settimana Boffo comincia a meditare sull´ipotesi delle dimissioni. L´idea prende materialmente corpo lunedì mattina, quando sul Corriere della Sera esce un´intervista al direttore dell´Osservatore Romano. Una sortita altrettanto inaspettata, quella di Gian Maria Vian, che giudica «imprudente ed esagerato» un certo modo di fare giornalismo dell´Avvenire e conclude con un sibillino «noi non ci occupiamo di polemiche politiche contingenti».
Per l´intera mattinata Boffo aspetta una correzione di tiro della Segreteria di Stato. Ma non arriva nulla. Oltre Tevere si racconta di una telefonata di Bagnasco: «Scusate, ma quell´intervista è cosa vostra?», avrebbe chiesto a Bertone. «Non lo è - sarebbe stata la risposta - e ci siamo anche lamentati con Vian, che ha impropriamente parlato in prima persona plurale». Ma questo è tutto. Dalla Segreteria di Stato non esce nulla di pubblico. Così, lunedì pomeriggio Boffo va personalmente da Bagnasco, e gli consegna la sua lettera di dimissioni. Mentre il direttore parla con il cardinale, arriva la telefonata di Ratzinger, che chiede: «Il dottor Boffo come sta? Mi raccomando, deve andare avanti...». Il presidente della Cei riferisce a Boffo, che di fronte al Papa non può certo tirarsi indietro.
Martedì mattina lo scenario in parte cambia. Repubblica dà la notizia: solidarietà del Pontefice a Boffo. Solo a quel punto, molte ore dopo, il direttore della Sala Stampa Vaticana padre Lombardi annuncia che Bertone ha effettivamente telefonato al direttore di Avvenire, per offrirgli il suo sostegno. Ma sono passati ben cinque giorni dal siluro di Feltri, prima che la Segreteria di Stato muovesse un passo ufficiale. Intanto Boffo è rimasto sulla graticola. E nel frattempo persino monsignor Fisichella, nel silenzio della Curia, contesta apertamente il quotidiano per le critiche al governo sull´immigrazione.
Mercoledì Feltri torna all´attacco, e sostiene che la «nota informativa» che getta fango sulla vita privata di Boffo è una velina uscita dal Vaticano. Padre Lombardi smentisce. E aggiunge l´ultima novità: papa Ratzinger ha chiamato il cardinal Bagnasco, per avere notizie «sulla situazione in atto». Ma dalla Segreteria di Stato ancora silenzio. Così si arriva al colpo di scena di ieri: dopo una settimana di fuoco incrociato, il direttore di Avvenire getta la spugna e se ne va.
Ma perché all´offensiva volgare e violenta del Giornale la Santa Sede ha fatto scudo in modo così discontinuo e frammentato? «Qui - secondo la ricostruzione che si raccoglie negli ambienti della Cei - si apre la frattura con l´episcopato». Il cardinal Bertone, due anni fa, aveva lanciato la candidatura di Bagnasco alla Conferenza episcopale con una convinzione, che la realtà dei fatti ha presto svilito in pia illusione: trasformare la conferenza dei vescovi in una «cinghia di trasmissione» della Santa Sede, dopo la stagione troppo lunga dell´autoreferenzialità ruiniana. Il tentativo è fallito, ben prima che scoppiasse il caso Avvenire e che scattasse l´imboscata mediatica ordita dal Cavaliere e dai suoi giornali ai danni del direttore. «Lo stesso Bertone lo ha riconosciuto - raccontano Oltre Tevere - quando qualche settimana fa si è lasciato scappare che la nomina di Bagnasco è stato il suo errore più grave. E certe cose, in questi palazzi, si vengono a sapere molto presto...».
Secondo questa stessa ricostruzione, il caso Boffo precipita proprio in questa faglia, che divide Bertone da Bagnasco. E in questa faglia si inserisce anche l´ultima, clamorosa indiscrezione di queste ore: cioè quello che Oltre Tevere qualcuno definisce «il Piano Esterno». Contrariamente a quello che si pensa - raccontano - «il Segretario di Stato non vuole una Cei schierata con Berlusconi, che considera ormai già fuori dai giochi. Il vero progetto che sta a cuore alla Santa Sede riguarda la nuova aggregazione di centro, che ora avrebbe Pierferdinando Casini come perno politico, e che in futuro vedrebbe Luca di Montezemolo come punto di riferimento finale». A questo «Piano Esterno» si starebbe lavorando da tempo, tra Segreteria di Stato e una piccola, ristretta cerchia di intellettuali esterni, laici e cattolici, che orbitano intorno al Vaticano e allo stesso direttore dell´Osservatore Vian.
Vera o falsa che sia, questa ipotesi spiega molto di quello che è accaduto e può ancora accadere. Bertone - sostengono ambienti vicini alla Cei - potrebbe aver gestito il caso Boffo proprio in questa logica: usare l´aggressione al direttore di Avvenire prima per rimettere in riga l´episcopato, e poi per assestare il colpo finale contro il presidente del Consiglio, aprendo le porte del paradiso alla Cosa Bianca di Casini e Montezemolo. Di qui, fino a ieri, la difesa intermittente e quasi forzata a Boffo. Di qui, da domani in poi, la rottura definitiva e irrimediabile con Berlusconi. «Niente sarà più come prima», appunto. Vale per la Chiesa di Roma, ma vale anche per il Cavaliere di Arcore.

venerdì 28 agosto 2009

Dio perdona, Fini no Guerra aperta nel Pdl

il Riformista 28.8.09
Il piano di Fini per fermare la balena bianca del Pdl
Sul bio-testamento prepara la trappola del voto segreto
Dio perdona, Fini no Guerra aperta nel Pdl
Nel giorno della Perdonanza per Berlusconi, si apre un conflitto senza precedenti sul rapporto con la Chiesa. I capigruppo del Senato replicano al presidente della Camera.
di Alessandro De Angelis

Biotestamento. Pronta la strategia: i suoi proveranno a stravolgerlo in commissione, mentre con il ddl Granata sulla cittadinanza aprono al dialogo coi cattolici. A quel punto si tratta. Sacconi ha già dato segnali di apertura. Ma Gianfranco alza il tiro e prepara l'arma finale: il voto segreto. Ieri un altra picconata: «No a un partito populista».

Che il suo affondo sul biotestamento alla festa del Pd («Quando il testo arriverà alla Camera farò di tutto per correggerlo anche perché sul fine vita spetta al parlamento decidere e non alla Chiesa») potesse produrre un salto di qualità dello scontro all'interno del Pdl, Fini lo aveva già previsto. Tanto che aveva già pronto un altro colpo in canna. Proprio sul partito: «Il Pdl - ha detto all'Espresso - non può essere strutturalmente un partito populista. È obbligato a esprimere una avanzata cultura di governo». Quale? «Quella liberale, laica e modernizzatrice». Già, liberale e laica. Altro colpo, visto che ieri è insorto mezzo Pdl (quello cattolico) sul biotestamento. Del resto sono giorni che Fini sta mettendo a punto con i suoi fedelissimi la sua trappola autunnale al governo.
Di reazioni, alla picconata sul biotestamento, ce ne sono state eccome, da parte chi, nel Pdl, ha in mente una nuova balena azzurra. Come Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello, che ieri hanno vergato un durissimo comunicato verso il presidente della Camera: «Auspichiamo che il dibattito alla Camera possa migliorare ulteriormente il testo della legge, ma non possiamo accettare lezioni di laicità». Tutto secondo copione, per Gianfranco. L'obiettivo resta far saltare la legge sul testamento biologico.
Il piano è stato già messo punto nei particolari. Si parte dalla discussione in commissione Affari sociali della Camera, dove il presidente è Giuseppe Palombo - un medico che pur essendo vicino a Berlusconi non gradisce il testo licenziato dal Senato - e il capogruppo del Pdl è Lucio Barani, un ex socialista che va in giro col garofano nel taschino. Due, insomma, che dovrebbero favorire la discussione. E che comunque non pensano, per dirla con un ex aennino di matrice cattolica, che «per compensare qualche trasgressione di Berlusconi serve una legge senza senso sul testamento biologico». In quella sede, visto che si possono iscrivere a parlare anche parlamentari che fanno parte di altre commissioni, Fini ha dato l'ordine di scuderia di tirarla per le lunghe, di far circolare le opinioni, di far innervosire chi vuole chiudere in fretta la questione, come i teocon del Pdl. Marcello De Angelis, Benedetto della Vedova, Fabio Granata e gli altri spareranno ad alzo zero sui punti principali del testo licenziato dal Senato. Uno dopo l'altro: l'obbligo di alimentazione e nutrizione; le disposizioni che mettono la volontà del mandatario e della famiglia sotto il magistrato; tutti i rimandi lessicali con cui si ribadisce, a ogni paragrafo del testo attuale, che «si vieta ogni forma di eutanasia» visto che disposizioni in tal senso sono già nel codice penale.
La convinzione del presidente della Camera è che sul provvedimento si giochi una partita non solo di civiltà ma che anche necessaria per costruire un Pdl né monarchico né democristiano. Per questo Fini ha scelto una manovra complicata, ma tutta politica. Perché se con una mano ha dato uno stop alle ingerenze vaticane, con l'altra ha offerto (al Vaticano) un segno di pace. A Genova ha bollato come «razziste» le politiche della Lega (schierandosi implicitamente con quel mondo cattolico che da giorni sostiene la stessa tesi). Ma il segnale vero è parlamentare. Fabio Granata ha messo a punto un disegno di legge - cofirmatario Andrea Sarubbi del Pd - per favorire la cittadinanza dei nuovi italiani. Spiega Granata: «La Chiesa non può essere ascoltata solo sul tema della vita e ignorata su quello della solidarietà. E il ddl riguarda l'integrazione della cosiddetta generazione Balotelli attaverso il principio dello ius soli temperato. Non solo introduciamo il passaggio dai dieci ai cinque anni per ottenere la cittadinanza italiana ma anche requisiti di volontà politica come il giuramento sulla Costituzione».
Ricapitolando. Mentre, a fine settembre, in commissione Affari sociali il Pdl si scontrerà sul biotestamento la proposta Granata potrebbe produrre qualche effetto in una parte del mondo cattolico, parlamentare e non. A quel punto, si tratta. In tal senso Fini ha apprezzato il tentativo si Sacconi di arrivare a una fuoriuscita soft dal pantano in cui si è incanalata la discussione: «Sulla fine vita - ha detto il ministro - il governo si è espresso a favore del diritto inalienabile all'alimentazione e all'idratazione per chi non è autosufficiente. Per attenuare la conflittualità parlamentare potremmo ipotizzare l'immediata approvazione di queste norme rinviando a soluzioni più condivise quelle relative alle dichiarazioni anticipate di trattamento». E non è un caso che a una riunione svoltasi un paio di settimane fa con un folto gruppo di parlamentari azzurri che vogliono ammorbidire il testo del Senato, da Beatrice Lorenzin a Giorgio Stracquadanio, il presidente della Camera abbia mandato il suo Silvano Moffa. Il percorso in due tempi ipotizzato da Sacconi - una leggina sul modello Eluana subito e sul testamento si vedrà - per Fini è un passo in avanti. Ma non basta. La leggina - pur riguardando un numero limitato di casi - fa comunque passare un principio che Fini contesta radicalmente: «Non si tratta di favorire la morte ma di prendere atto dell'impossibilità di impedirla e far decidere la persona, i familiari, il medico» ha detto a Genova. Praticamente quella norma sarebbe la consacrazione dell'accanimento terapeutico. Meglio di una soluzione del genere - dicono gli uomini del presidente - sarebbe affidate il tutto a regolamenti varati dal ministero.
Per Fini non c'è fretta. Anche perché, e qui siamo al secondo tempo della sua strategia, il dibattito parlamentare, qualora in commissione non si dovessero incassare risultati consistenti, è davvero una partita aperta. E al quartier generale dell'ex capo di An ostentato ottimismo. Innanzitutto perché sui temi eticamente sensibili, che riguardano la coscienza e che non fanno parte del programma di governo, la fiducia non si può mettere. Ma soprattutto perché su molti articoli i parlamentari potrebbero chiedere il voto segreto. E il presidente lo concederebbe volentieri. Anzi ha già in mente di farlo. Del resto il precedente c'è stato già al Senato. Alla Camera però i numeri sono diversi. E c'è molto più trasversalismo tra i poli. Non è un dettaglio, visto che statisticamente il voto segreto in questa legislatura non ha portato fortuna all'esecutivo (un caso su tutti: la norma sui medici spia). A conti fatti, tra socialisti non sacconiani, laici di Forza Italia, ex aennini vicini al presidente della Camera, radicali e Pd su nessun provvedimento ci possono essere certezza matematiche. Col voto segreto. E nella trappola di Gianfranco né il governo né la segreteria di Stato vaticana hanno interesse a cadere.

"Ma ha i numeri per bloccare una legge"

La Repubblica 28.8.09
Gianfranco tradito dagli ex colonnelli "Ma ha i numeri per bloccare una legge"
L’ira dei fedelissimi: non è un alieno, con lui si deve trattare
Ronchi: i capigruppo non dovevano permettersi un documento simile
di Alessandra Longo

ROMA - Ma chi si crede di essere Gianfranco Fini che si permette di dare «lezioni di laicità» a quelli del Pdl? Faccia il suo mestiere e non disturbi il manovratore... Maurizio Gasparri era un suo colonnello ma da tempo si è trovato un altro generale. Gaetano Quagliariello era considerato un liberal-radical che ora risponde ad altre logiche. Si sono buttati a corpo morto contro le esternazioni del presidente della Camera, quasi fosse un avversario politico, un agente provocatore. Fini che sente odore di clericalismo nelle scelte del Senato, Fini che riceve i gay e si preoccupa dell´integrazione della «generazione Balotelli», Fini che inorridisce di fronte ai respingimenti in mare di ispirazione leghista e, adesso, anche Fini ricevuto con tutti gli onori alla festa del Pd. Cova da tempo l´incomunicabilità con l´ex leader di An e, parallelamente, il disegno di farne un personaggio solitario e fuori dal coro, quello che gli inglesi chiamano «odd man out», cioè uno che, «per la stranezza dei suoi comportamenti e dei suoi credi, sta da solo sia che sia fuori sia che sia dentro un gruppo».
Ieri l´attacco più duro, più diretto, quello dell´ex missino Gasparri firmato a quattro mani con il collega Quagliariello. Un attacco che spacca, divide, imbarazza. Italo Bocchino, per esempio, vicecapogruppo alla Camera, ex ragazzo di bottega di Pinuccio Tatarella, non avrebbe mai fatto un comunicato così, pur considerando il testo Calabrò «un buon testo»: «Non avrei mai usato quell´espressione "non accettiamo lezioni di laicità". E, anzi, darei un consiglio a Berlusconi e ai coordinatori del partito. Devono discutere del testamento biologico con Fini anche in sede politica, non considerandolo esclusivamente il presidente della Camera». Ecco il punto. Quanti vivono ancora Fini come un grande capo organico al Pdl? «Nessuno può pensare – dice Bocchino – che il suo attuale ruolo istituzionale lo costringa all´imbalsamazione. Lui è il coleader del Pdl, sta lavorando alla destra del futuro, con un approccio molto simile a quello di Sarkozy e Cameron. Starei attento ad avvalorare la tesi di un Fini politicamente isolato. Fini ha i numeri all´interno del gruppo Pdl, anche per mettere la legge su un binario morto. Conosco i 270 deputati del partito e so quel che dico. Dentro gli ex di Forza Italia c´è un filone liberale cui va aggiunto un filone lealista di ex aennini. Numeri abbondanti. Sconsiglio lo scontro».
Un «socio fondatore» del Pdl: così lo aveva definito, all´indomani del congresso, il ministro Andrea Ronchi polemizzando con il suo collega di governo Altero Matteoli, convinto che il Capo ormai fosse uno solo, e cioè Berlusconi. Adesso anche Ronchi va dicendo ai suoi che «non ci si doveva permettere di fare un documento come quello diffuso dai capigruppo al Senato».
Palese mancanza di rispetto, crisi di rigetto per "l´alieno", quasi Fini fosse un abusivo, un "clandestino". Già lo vivevano così, del resto, parecchi dei suoi nell´ultimo, terremotato periodo di An. Marcello Veneziani, dal suo osservatorio esterno, pensa che il presidente della Camera sia colpevolmente finito «in un altrove imprecisato». L´onorevole Fabio Granata s´indigna invece per il trattamento che gli viene riservato: «Ci manca che introducano il reato di clandestinità dentro il partito e poi lo cacciano! A questo punto con Gasparri mi sento unito da un´unica fede: quella romanista».
Qualcuno tira fuori la storia, familiare anche nel Pd, delle «diversità di opinioni che sono una ricchezza: «Il Pdl non è un monolite, è votato da milioni di persone, è comprensibile che ci siano approcci diversi...». Basta che Fini, dice Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera, «ammetta, come sa, di essere minoritario, rispetti laicamente le posizioni degli altri sul testamento biologico e, soprattutto, non scenda in campo».
Guai a toccare il nervo sensibile della dignità dell´uomo, della laicità dello Stato, dei rapporti con il Vaticano. S´incrina «il partito-monolite». Inizia la conta del chi sta con chi. «Almeno 50, 60 deputati del Pdl sarebbero pronti a non votare il testo del Senato», assicura Benedetto Della Vedova, ritenuto ascoltatissimo interlocutore di Fini sui temi eticamente sensibili». Il documento Gasparri/Quagliariello è dedicato proprio a loro, ai possibili dissidenti e al loro Capo, numero due fuori linea: la smettano di sparigliare, vadano altrove a dar lezioni.

La prima battaglia, sul biotestamento, ha due obiettivi.

l’Unità 28.8.09
La «campagna» di Gianfranco che punta al partito
La prima battaglia, sul biotestamento, ha due obiettivi. Dare un profilo laico allo schieramento e contare tra pidiellini di varia natura (da Della Vedova a Granata) chi sta con lui
di Susanna Turco

Uno strappo nello strappo, se è possibile. Una presa di posizione che più netta non si può, proprio alla vigilia dell’incontro sperabilmente pacificatorio, almeno nell’ottica dell’ala lettiana di Palazzo Chigi, tra il premier Berlusconi e il cardinal Bertone oggi all’Aquila. È ciò che si legge nella determinazione con la quale, l’ultima volta ufficialmente alla festa del Pd, Gianfranco Fini va ripetendo – da mesi in realtà, ai parlamentari a lui più vicini – che il testo sul fine vita deve essere modificato alla Camera. Ma, soprattutto, rifulge nel sorprendente dettaglio che, almeno in privato, la terza carica dello Stato ha preso in considerazione l’ipotesi di votare personalmente contro quella legge. Di alzarsi e schiacciare il bottone, insomma.
Una mossa davvero estrema, del tutto irrituale. Che nessun predecessore ha mai azzardato, come ha avuto modo di verificare lo stesso Fini. Quantomeno irrealizzabile, insomma. Ma utile, anche solo come dichiarazione messa sul piatto, a capire fino a che punto l’ex leader di An sia determinato a portare avanti una battaglia che chi lo conosce bene definisce «frutto non solo di una scelta politica, ma anche di una forte convinzione personale». Non a caso, i cosiddetti finiani non esitano a definire quella sul biotestamento «la campagna d’autunno» del loro leader. Della quale nelle segrete stanze si ricomincerà a parlare al più presto. Per tentare di modificare la legge prima, per dare se necessario voto contrario poi. Con il doppio obiettivo di tentare di dare una fisionomia più «laica» al Pdl e di definire concretamente su quali forze si può contare.
Proprio nella battaglia sul fine vita, infatti, rischia seriamente di prendere corpo quella che il presidente della Camera rifiuta di chiamare corrente, ma che di fatto tale sarebbe: un gruppo a ispirazione unitaria, formato non tanto da ex aennini, e men che meno da ex colonnelli, quanto da pidiellini di varia fattura – dai Della Vedova alle Bongiorno passando per le Perina e i Granata. Nelle prossime settimane c’è da attendersi che costoro prendano posizione, come e più di quanto abbiano già iniziato a fare ieri Bocchino e Urso, fino all’atto finale del voto in Aula.
Il disegno finiano è comunque ormai più che esplicito. Tanto che i cattolici, da monsignor Fisichella al ciellino Lupi, richiamano il presidente della Camera al suo «ruolo super partes».
D’altra parte, dentro il Pdl il fermento sui temi etici è accentuato proprio dalle prese di posizione di Fini e finiani. Con insospettati smottamenti. Ne è la riprova la proposta rilanciata ieri da Gasparri di una indagine conoscitiva contro la Ru486. Una replica tardiva rispetto al Fini di venti giorni fa, che aveva giudicato «bizzarro chiedere che il Parlamento si occupi di un farmaco».

giovedì 27 agosto 2009

Fioroni e Gelmini, fatevene una ragione

Liberazione 26.8.09
Fioroni e Gelmini, fatevene una ragione
di Corrado Mauceri Per la Scuola della Repubblica

Il regolamento pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 19 agosto 2009 (Dpr n. 122/09) ed entrato in vigore il giorno successivo (era stato però adottato in data 22 giugno 2009 ed in merito al credito scolastico recepiva le ordinanze ministeriali recentemente annullate dal Tar) contrariamente a quanto afferma "Il Giornale" in modo trionfalistico, non solo non inficia le sentenze del Tar, ma non avendo valore di legge (i redattori del giornale dovrebbero prima informarsi!) è, al pari delle ordinanze ministeriali già annullate, illegittimo. Il regolamento difatti è anteriore alla sentenza del Tar del Lazio, che come noto ha dichiarato illegittima la valutazione dell'insegnamento della religione cattolica e all'art. 6 ripete le norme dichiarate illegittime dal Tar - e cioè che il consiglio di classe con la presenza degli insegnanti di religione attribuisce agli alunni il credito scolastico. In questo modo, la scelta di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica comporta il vantaggio di avere ai fini del credito scolastico un ulteriore elemento di valutazione che gli altri alunni non possono avere; la scelta di avvalersi è quindi in qualche modo incoraggiata e può non essere una scelta libera e disinteressata; può essere una scelta di convenienza al fine di avere un vantaggio nella valutazione del credito scolastico. Tale diverso trattamento scolastico degli alunni però è palesemente discriminatorio nei confronti degli alunni che non si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica, ma soprattutto è diseducativo. Lo Stato offre alla chiesa cattolica l'opportunità dell'insegnamento della religione cattolica a spese della collettività; è inaccettabile che si presti anche a favorire la scelta di tale insegnamento con la prospettiva di un vantaggio nella valutazione scolastica. La Corte costituzionale l'ha affermato chiaramente; la scelta di avvalersi deli questo insegnamento deve essere assolutamente libera e senza alcun condizionamento. Bene hanno fatto i giudici del Tar ad annullare le ordinanze del ministro Fioroni. Per queste stesse ragioni ora sarà impugnato anche il regolamento della ministra Gelmini. Fioroni e Gelmini devono farsene una ragione la Costituzione repubblicana ha affermato il principio di laicità dello Stato.

venerdì 31 luglio 2009

Ru486, l'Aifa dà via libera alla pillola

Ru486, l'Aifa dà via libera alla pillola

La Repubblica del 31 luglio 2009, pag. 11

Michele Bocci

La Ru486 entra nel prontuario farmaceutico italiano e tra pochi giorni, dopo che la registrazione sarà pubblicata dalla Gazzetta Ufficiale, potrà essere somministrata negli ospedali italiani. Ieri il Cda dell’Agenzia italiana per il farmaco ha dato il via libera all’ammissione nel nostro sistema sanitario della pillola abortiva prodotta dalla Exelgyn, al centro negli ultimi anni di violenti scontri ideologici. Si è trattato dell’ultimo atto ed era largamente atteso, essendo stato preceduto da una serie di pareri positivi dei tecnici dell’Aifa. Non è mai successo che un farmaco fosse bloccato dal Cda all’ultimo momento. Il Consiglio di amministrazione si è espresso a maggioranza di quattro contro uno dopo una riunione fiume, oltre 6 ore, in cui si sarebbe anche valutata la possibilità un rinvio della decisione a settembre. L’ipotesi poi è tramontata ed è arrivato il via libera con il solo voto contrario di Romano Colozzi, assessore alle Finanze della Regione Lombardia. È stata decisa anche una modifica al regolamento che detta la somministrazione: la pillola andrà presa entro la settima settimana di gestazione.

Da giorni i nemici della Ru486 si erano schierati compatti per convincere i cinque membri del Consiglio di amministrazione a bloccare l’approvazione, magari a rimandarla. Anche ieri pomeriggio, quando la riunione era già in corso, sono arrivati gli strali del sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella, del presidente emerito della Pontificia Accademia della Vita, monsignor Elio Sgreccia, del Movimento per la vita e di Scienza e Vita. «La pillola uccide», «Fa soffrire le donne», «Aumenterà il numero degli aborti», «Chi la usa e chi la somministra sarà scomunicato». Nei giorni scorsi il direttore generale dell’Aifa, Guido Rasi, aveva promesso che il Cda non si sarebbe fatto condizionare. Già da alcuni mesi il Comitato tecnico dell’Agenzia aveva dato il via libera al farmaco ed era arrivata anche la fissazione del prezzo per il servizio pubblico: 14,28 euro per la confezione da una compressa, 42,80 per quella da tre.

Ieri pomeriggio è stato particolarmente duro monsignor Sgreccia, che ha minacciato la scomunica per chi dovesse prescrivere e per chi dovesse prendere la pillola: «Mi auguro che il Governo e i ministri competenti intervengano, questo non è un farmaco ma un veleno letale» ha aggiunto. In tarda serata, quando è arrivata la decisione, il deputato dell’Unione di centro Luca Volonté ha commentato: «Con la commercializzazione della pillola assassina trionfa la cultura della morte. Altro che ‘estremamente sicura’: la Ru486 non è un’aspirina per il mal di testa». Grande soddisfazione ha invece espresso L’Associazione italiana per l’educazione demografica (Aied), da dove si commenta: «Ci si allinea con i paesi europei, recuperando un ritardo che ha penalizzato le donne italiane». Dello stesso tenore la reazione di Silvio Viale, il ginecologo che per primo a sperimentato, a Torino, la Ru486: «Finalmente. Prima di tutto è una vittoria per le donne italiane, che da oggi sono più libere e hanno un’opportunità in più. Sono però dispiaciuto che la decisione sia arrivata, i politici per questo dovrebbero chiedere scusa. Adesso bisogna lottare per offrire l’aborto medico in tutta Italia».

La Ru486, utilizzata in Francia dall’88 e in gran parte degli altri paesi europei dalla fine degli anni Novanta, è un farmaco abortivo che blocca l’azione del progesterone, cioè l’ormone che sostiene l’evoluzione della gravidanza. In Italia si usa dal 2005, cioè da quando Viale, esponente dei Radicali, avviò una sperimentazione del farmaco al Sant’Anna di Torino. Altre regioni seguirono quell’esperienza, acquistando direttamente dalla casa produttrice il farmaco per il singolo caso.

venerdì 24 luglio 2009

Mina Welby si tessera al Pd per il "terzo uomo"

Mina Welby si tessera al Pd per il "terzo uomo"

L'Unità del 10 luglio 2009, pag. 21

Sulla scia della candidatura di Marino, anche Mina Welby si è iscritta al Pd, nel circolo di Subaugusta, a Roma. Una iscrizione che sa di «disobbedienza civile», visto che Mina ha già la tessera radicale. «Spero che tanti nuovi iscritti sosterranno la sua candidatura e che questo possa scuotere il Pd», spiega a l’Unità, invitando altri a fare lo stesso. «È incredibile che qualcuno scambi Marino per un estremista: la sua caratteristica è l’equilibrio,ma il suo partito l’ha lasciato solo», dice Mina, che ricorda quando Marino volle far visita a suo marito, Piergiorgio, poco prima che si facesse staccare la spina. Era il 17 dicembre 2006, una settimana dopo, ai funerali, negati dalla Chiesa, Marino fu l’unico parlamentare de l’Ulivo a prendere la parola.

domenica 19 luglio 2009

La «mozione» Marino

l’Unità 8.7.09
Laicità /3
La «mozione» Marino
«Finora è stata la battaglia solo di una minoranza»
Intervista a Stefano Rodotà di Mariagrazia Gerina

Il Pd sulla laicità deve chiarirsi le idee, fin qui è stata la battaglia di una minoranza, che Marino ha condotto anche quando è stato messo da parte dal suo stesso partito», spiega il costituzionalista Stefano Rodotà, convinto che la candidatura di Marino possa far bene: «È nuova in senso serio, viene da una esperienza politica importante, è tutta di contenuti e non di schieramento». La sua però è una «valutazione esterna», spiega: «Interverrò, seguirò, ma non prenderò la tessera del Pd».
Non la convince la posizione degli altri candidati sui temi della laicità?
«La critica che ho rivolto è molto netta: su queste cose su cui è necessaria chiarezza le persone che come Marino hanno preso posizione sono molto poche. Adesso vedo che c’è un ritorno del tema laicità. E penso che questa sia una cosa buona, ma è il risultato di una battaglia che è stata patrimonio di una minoranza nel Pd come nel paese. Se la laicità è entrata nell’agenda del Pd non è per i vecchi dirigenti che adesso ne prendono atto ma per i pochissimi che hanno portato avanti quelle istanze in parlamento. E Marino lo ha fatto anche quando è stato messo da parte dal suo stesso partito, che nel fuoco della battaglia lo ha sostituito in commissione».
Dorina Bianchi, che ha preso il suo posto, nega un problema laicità.
«Hanno paura anche delle parole. Ma in un sistema democratico ci sono valori non negoziabili che vanno difesi, come il diritto all’autodeterminazione della persona. E lasciamo perdere i giochi di parole. Anche la libertà di coscienza non è dei parlamentari ma dei cittadini. Un partito deve dire se queste sono materie che vanno affidate alla legge dello Stato o se la legge deve tutelare la libertà di scelta secondo coscienza delle persone, che deve essere aiutata. Questa è la prima decisione da prendere. Marino, per esempio aveva proposto investimenti sulle terapie del dolore e sugli hospice. Cose concrete che una consentono alle persone di decidere».
C’è chi dice che un candidato «monotematico» non è adatto a guidare un partito.
«Ma la laicità è un modo di leggere la Costituzione ed è una delle componenti della logica costituzionale. Significa: rispetto delle regole democratiche, dialogo, tolleranza nei confronti degli altri fuori da ogni fondamentalismo, rispetto dei diritti fondamentali che si tratti delle materie che riguardano la vita, la sicurezza, l’immigrazione».

Odifreddi riprende la tessera: il chirurgo è un credente, può farcela. "Torno e voto per Ignazio se vince lui addio Binetti"

La Repubblica 16.7.09
Odifreddi riprende la tessera: il chirurgo è un credente, può farcela. "Torno e voto per Ignazio se vince lui addio Binetti"

Al centro del suo programma due temi cruciali: laicità e battaglia contro la nomenklatura

ROMA - Piergiorgio Odifreddi rientra nel Pd per sostenere Ignazio Marino. Il matematico e filosofo era stato chiamato nella commissione sui valori del Pd. Ma non firmò il manifesto. «Non faccio la foglia di fico laica», disse. Lasciò il Pd prima ancora di iscriversi prevedendo che il pasticcio sui valori avrebbe prodotto risse a non finire.
E adesso, professore, ci riprova con Marino. Perché?
«Perché al centro del suo programma ci sono due questioni fondamentali. La laicità e la battaglia anti-nomenclatura, anti-burocrazia. Due cose che avrebbe dovuto fare Veltroni, sull´esempio di Zapatero. Purtroppo non le ha fatte».
Perché Marino dovrebbe farcela?
«Ha un vantaggio: è credente. Forse per questo può riuscire: come Nixon che in forza del suo anticomunismo aprì il dialogo con Russia e Cina».
Quante chance dà, come matematico, a Marino?
«Una su tre, se ai candidati non si aggiungerà Grillo».
Lo vorrebbe?
«Parafrasando Brecht direi "sfortunati i tempi in cui la politica ha bisogno dei comici". Effettivamente Grillo non è credibile. Ma Marino è una cosa diversa».
Non considera il chirurgo un outsider?
«Forse. Ma ha una serie di punti di forza. Franceschini e Bersani, per quanto relativamente nuovi, non sono trascina-popolo. Non hanno carisma. Marino inoltre ha una professione, è un fior di chirurgo, e anche nel Pd sta crescendo la schiera chi non sopporta più gli uomini di apparato».
E se Marino perde, lei lascia di nuovo il Pd?
«Dipende. C´è modo e modo di perdere. Se una posizione laica dovesse essere nettamente minoritaria... da non credente potrei sempre ricorre al divorzio. Ma può finire diversamente. Se vince Marino, ha detto Paola Binetti, me ne vado. Già questo mi basta».
(l.n.)

martedì 7 luglio 2009

Marino e la scalata alle nuove tessere del Pd

Marino e la scalata alle nuove tessere del Pd

Liberazione del 7 luglio 2009, pag. 8

Angela Mauro

Di lui D’Alema ha detto che è «serio ma non adatto a garantire un rilancio robusto del Pd». In molti hanno detto che è «serio ma sa solo di laicità». Franceschini ha fatto lo sportivo augurandogli «in bocca al lupo». A due giorni dall’ufficializzazione della candidatura alla segreteria del Pd, il senatore Ignazio Marino fa innanzitutto il pieno dei commenti. Normale per un «terzo uomo» con il suo profilo: medico, cattolico, impegnato sui temi della laicità, esperienza professionale all’estero, sensibile alle piaghe di questo paese, tra meritocrazia e "gerontocrazia" in tutte le professioni. Gli arrivano commenti anche ultra-positivi, come quello di Emma Bonino: «La candidatura di Marino è una bella notizia per il Pd. Trovo del tutto affrettati i giudizi di chi lo descrive come troppo sbilanciato sulla laicità. Anche di Obama molti politologi dicevano che non aveva l’esperienza e che non ce l’avrebbe mai fatta...» . Senza osare paragoni altisonanti, la squadra di Marino va avanti, ci prova, «per vincere», come hanno chiarito all’inizio di questa avventura. Nelle ultime 48 ore, oltre al pieno di commenti politici, hanno accumulato «migliaia di messaggi di solidarietà e appoggio», spiegano dal suo entourage. Naturalmente resta da vedere se tutte queste dichiarazioni d’affetto e stima politica diventeranno altrettante tessere del Pd per fortificare la candidatura Marino e metterla sui binari giusti per partecipare alle primarie. Ci si aspetta una sorta di "guerra" dagli eserciti schierati a fianco degli altri due candidati, Bersani e Franceschini, soprattutto dal primo, il cui bacino di voti è più vulnerabile alle truppe del senatore. Per il momento però siamo al livello di aspettative, di "aria fiutata". E gli ostacoli che rallentano il tesseramento sembrerebbero più di ordine pratico. C’è, per esempio, il problema che molti circoli sono sforniti di tessere nuove da assegnare. E c’è anche un problema di ordine più politico, segnalano dalla squadra Marino: e cioè il fatto che questa fase di delusione, di partito sfinito dalla sua stessa crisi presenta uno strascico di circoli poco attivi, poco frequentati e quindi aperti solo per poche ore al giorno o solo per pochi giorni a settimana. Il che rende difficile tesserarsi, soprattutto nelle grosse città dove è più complicato trovare il tempo per sbrigare la pratica dell’iscrizione se non si esaurisce in una puntata al circolo e via. Si vedrà. Anche tra i nomi noti del Pd e dintorni, comunque, la candidatura Marino continua a far proseliti. Con lui fin dal primo giorno, Beppino Englaro, il padre di Eluana, la ragazza morta a febbraio al centro delle battaglie del senatore sulla bioetica. Englaro ha deciso di prendere la tessera del Pd. In squadra anche il sindaco della sua Genova, Marta Vincenzi. Il chirurgo candidato può contare sull’ex pm Felice Casson. C’è un giallo Goffredo Bettini, ex veltroniano devoto del «terzo uomo» che ora però si ritira dalla squadra, annunciando di volersi dedicare a «un lavoro culturale e intellettuale. Il mio impegno di direzione sul campo finisce qui - dice - Ora Marino costruisca una squadra aperta. Io troverò altri modi per sostenerlo nella battaglia congressuale». L’equipe Marino è stata contattata anche da Stefano Rodotà e da diversi parlamentari, che magari non hanno ancora ufficializzato il loro appoggio. Difficile - si sapeva smuovere le appartenenze interne, ma non si tratta di una missione impossibile. Ci sono per esempio gruppi organizzati di "bindiani" arrabbiati con Rosi che ha dato l’appoggio a Bersani «senza consultarli» e propensi a schierarsi con Marino, che dalla sua ha anche il fatto di essere cattolico. E ci sono naturalmente i «lingottini», i quarantenni del Pd che l’11 luglio lanciano la loro giornata del tesseramento, in appoggio alla candidatura Marino. Il senatore sarà presente in uno dei circoli del Pd di Venezia. Intorno al 20 luglio poi, allo scadere della presentazione di candidati e programmi (fissato dalla commissione congressuale per il 23 luglio) è in programma una kermesse di respiro nazionale probabilmente a Milano. Si vedrà, lo ripetiamo. Certo è che, rispetto alle battute iniziali, alcuni commenti si sono ammorbiditi. «Le uniche due candidature nuove in campo sono quelle di Bersani e Marino», dice un D’Alema evidentemente impegnato soprattutto nella "guerra" contro Franceschini, la cui candidatura «non regge», gli ha mandato a dire domenica sera dalla festa del Pd a Roma. Perchè, dopo due sconfitte del gruppo dirigente che lo sostiene, Franceschini avrebbe potuto al massimo lanciare una sua candidatura «all’insegna dell’unità, ma non contro». D’Alema gli ricorda di essersi dimesso dopo aver perso le Regionali da capo del governo e si dice «colpito» a leggere che «si fa un congresso con l’obiettivo di distruggere D’Alema». Non lo ingoia quel «non riconsegnerò il partito a chi c’era prima di me», pronunciato da Franceschini. «Ma tutti "quelli di prima", a parte me, stanno con lui...», ironizza, attaccando le primarie, «regola assurda», figlia di una concezione che ha portato la società civile a «invadere, occupare il partito». Ieri gli ha risposto uno di "quelli di prima": Piero Fassino, coordinatore della mozione Franceschini. «Sconcertante Massimo. Nessuno e tanto meno Dario ha mai pensato di fargli la guerra...». Intanto, un sondaggio di Sky, il primo mai pubblicato sui tre candidati alla segreteria del Pd, assegna il 45 per cento delle preferenze a Marino, il 37 per cento a Bersani, il 18 per cento a Franceschini.

domenica 14 giugno 2009

I radicali sono fuori e i vescovi esultano

il Riformista 9.6.09
I radicali sono fuori e i vescovi esultano
di Paolo Rodari

VOTO CATTOLICO. Difficile dire se il caso Noemi abbia spostato i credenti dal Pdl alla Lega e all'Udc. La Chiesa non commenta ma osserva (senza dispiacersene) l'esclusione della lista Bonino-Pannella.

La Chiesa italiana, tanto più il Vaticano, ha tenuto rispetto alle elezioni europee un profilo bassissimo. Nessun commento, nessuna indicazione, non soltanto di voto ma pure d'indirizzo generale. Lo stesso presidente dei vescovi italiani, il cardinale Angelo Bagnasco, ha fatto la propria parte, durante l'assemblea generale dell'episcopato chiusasi pochi giorni fa, per smorzare ogni polemica attorno alle politiche sulla sicurezza portate avanti dal governo e, insieme, circa la questione morale e il caso Noemi: niente battute fuori luogo, niente spinte per questo o quel partito.
Un profilo, quello della Chiesa italiana, tenuto basso anche ieri, immediatamente dopo il voto, nonostante, dietro le quinte, vi sia chi esulti. Per cosa? Per l'uscita di scena dallo scenario europeo dei radicali. Questi, per colpa dello sbarramento al quattro per cento, non ce l'hanno fatta. E viste le campagne che da Bruxelles il pur piccolo contingente radicale promuoveva - con cascate italiane - in favore d'una rivoluzione antropologica non certo apprezzata da vescovi e prelati, la loro "scomparsa" non dispiace.
La questione morale ha spinto una parte dell'elettorato cattolico dal Pdl verso la Lega e l'Udc? Difficile rispondere. Certo è che il low profile dell'istituzione Chiesa può aver giovato in questo senso. L'elettore cattolico, sensibile alle parole dei vescovi, si è senz'altro sentito in questa tornata elettorale più libero. E, quindi, può aver scelto in coscienza di non votare per Berlusconi e di indirizzarsi sulla Lega e sull'Udc. Ma, a conti fatti, sembra poca roba. Probabilmente, se vi fosse stata una campagna massiccia della Cei, promossa attraverso le varie associazioni cattoliche, attorno alla questione sicurezza, all'immigrazione, la Lega avrebbe preso meno voti. Quanto all'Udc, è probabile che alcuni voti gli siano arrivati da alcuni degli elettori cattolici che alle scorse politiche avevano votato per il Pd: dirimente la vicenda Eluana Englaro. Ma anche qui è molto difficile azzardare ipotesi.
I movimenti e le associazioni cattoliche avevano in diversi partiti dei propri rappresentanti. Il ciellino Mario Mauro (Pdl) ha fatto la sua parte in Lombardia. Bene è andato anche Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita e a Magdi Allam. Meno bene ad altri cattolici doc i quali, di per sé, avrebbero dovuto portare parecchi voti: Gianluigi Gigli, presidente della Federazione internazionale delle associazioni dei medici cattolici (scalzato da Tiziano Motti) e Luca Marconi di area Rinnovamento nello Spirito.
Se la Chiesa, in generale, mantiene un basso profilo nel commentare i risvolti politici della tornata elettorale, qualche giudizio è stato espresso comunque, in particolare sul bollettino dei vescovi italiani, il Sir e sulla Radio Vaticana. Sono due le preoccupazioni sentite: una per il forte astensionismo, l'altra per l'affermazione di forze xenofobe in molti paesi dell'Ue: «Serve una seria riflessione sull'aumento dell'astensionismo e dell'euroscetticismo», ha scritto il Sir. E ancora: «Il primo compito che avranno i neodeputati sarà quello di un'analisi serrata del problema, per non arrivare ancora tra cinque anni a domandarsi i motivi del peso del "deficit democratico" sulla costruzione comunitaria».
A esprimere preoccupazione per «l'avanzata della destra xenofoba in Olanda, Ungheria, Austria e Gran Bretagna» è sulla Radio Vaticana l'Osservatore Permanente della Santa Sede presso il Consiglio d'Europa: monsignor Aldo Giordano. Ma anche da lui non mancano allarmismi per l'astensionismo record: «Questo denuncia la mancata coscienza del ruolo che l'Europa dovrebbe avere e potrebbe avere per le sfide mondiali - ha detto - Solo un'Europa più unita e più stabile può affrontare le grandi domande del mondo e del ruolo che l'Europa ha per la vita concreta locale dei singoli cittadini».
Sull'astensionismo, fa il titolo in prima pagine anche l'Osservatore Romano: "Vince l'Europa dell'astensionismo" scrive il giornale diretto da Gian Maria Vian.

venerdì 22 maggio 2009

"Non si fanno leggi seguendo la fede"

"Non si fanno leggi seguendo la fede"

La Repubblica del 19 maggio 2009, pag. 4

Francesco Bei
Gianfranco Fini si conferma contraltare laico dentro il Pdl. «Il Parlamento non deve fare leggi orientate da precetti di tipo religioso». Una considerazione semplice quella del presidente della Camera, quasi scontata, pronunciata davanti agli studenti delle scuole di Monopoli, ma che riapre nuovamente una polemica accesa tra guelfi e ghibellini. E questo nonostante Fini si auguri che il dibattito sulla bioetica «venga affrontato senza gli eccessi propagandistici che ci sono stati da entrambe le parti», perché si tratta di questioni nelle quali «il dubbio prevale sulle certezze».
Ma la Chiesa cattolica non ci sta. «I temi sui quali il mondo cattolico intende portare il suo contributo - replica monsignor Elio Sgreccia, presidente emerito della pontificia accademia per la vita - non sono definibili come precetti religiosi perché riguardano i diritti fondamentali dell´uomo, sono iscritti nella natura umana, difendibili con la ragione e iscritti anche nella Costituzione». Insomma, secondo Sgreccia «i cattolici hanno tutte le carte in regole per lanciare appelli su famiglia, contro l´eutanasia, contro la gravità aborto». Per tale motivo, «tanto più forte faremo sentire la nostra voce».
A difesa del Vaticano e del "diritto d´ingerenza" si schierano anche l´Udc e i cattolici del Pdl. Manca poco che il centrista Luca Volontè dia del nazista a Fini: «Siamo alla vergognosa e inaccettabile discriminazione dei credenti come ai tempi dei totalitarismi neri del ?900». «Noi - spiega Rocco Buttiglione - non diciamo mai che una cosa è vera perché lo dice il Papa. Semmai diciamo che il Papa lo dice perché è vera, e ci impegniamo a dimostrarlo con argomenti ragionevoli». Interviene anche Pier Ferdinando Casini per difendere «valori e principi» che, sostiene il leader Udc, richierebbero altrimenti di essere messi al bando dalla politica: «Per fortuna che in Parlamento c´è ancora qualcuno che vuole fare battaglie su valori e principi che ormai non hanno diritto di cittadinanza in politica».
Ma Fini, com´è già accaduto in passato, si deve scontrare con l´ostilità e l´imbarazzo che le sue uscite provocano nel suo stesso partito. «Stupito» dalle parole di Fini, si dichiara ad esempio il pidiellino Maurizio Lupi, perché l´ex di leader di An «si pone su un piano di scontro ideologico molto lontano dalla laicità positiva da lui stesso evocata». E critico è anche il senatore Gaetano Quagliariello, paladino della battaglia sul decreto Englaro ed esponente dell´ala teocon del Pdl. Secondo Quagliariello «il vero Stato etico» non è quello in cui è la Chiesa a dettar legge, bensì «quello in cui si pretende di governare per legge ogni aspetto della libertà della persona, sottraendolo alla sua responsabilità». Un discorso che vale «sui temi di biopolitica, dall´eutanasia alle coppie di fatto, dal matrimonio omosessuale al testamento biologico fino a progetti che rasentano l´eugenetica».
Nel centrodestra Fini trova sponda nelle sparute voci laiche rimaste. Come quella di Benedetto Della Vedova, che fa notare come «in una qualunque delle democrazie avanzate» l´affermazione di Fini «sarebbe considerata scontata e pacifica. Invece, in Italia, suscita scandalo e il presidente della Camera, per il solo fatto di averla pronunciata, viene accusato di discriminazione anticristiana». «Pieno sostegno» a Fini anche dal segretario del Pri Francesco Nucara, perché il presidente della Camera «ancora una volta difende al meglio i principi dello Stato laico e della Costituzione». Dall´opposizione si fa sentire Massimo Donadi, capogruppo dipietrista alla Camera: «Apprezziamo le parole di Fini. Peccato che sia una posizione isolata nel Pdl, un partito non solo autoritario, ma ormai anche confessionale».

Un nuovo scarto laico che mina la compattezza della maggioranza

Un nuovo scarto laico che mina la compattezza della maggioranza

Corriere della Sera del 19 maggio 2009, pag. 15

Massimo Franco

Gianfranco Fini torna ad ostentare le sue stimmate laiche. E chiedendo che il Parlamento non faccia leggi «orientate da precetti di tipo religioso», spiazza di nuovo il centrodestra; e dà del proprio ruolo un`interpretazione sgradita sia alla maggioranza sia a Palazzo Chigi. È vero che da tempo il presidente della Camera occupa una posizione eccentrica fino alla stucchevolezza, e di fatto minoritaria. Basta ricordare l`aprile scorso, quando lodò la sentenza con la quale la Consulta definì incostituzionale una parte della legge sulla fecondazione assistita, applaudito dal Pd. Ma la sua esternazione arriva in un momento in cui i rapporti con la Chiesa cattolica sono già tesi per il modo in cui il governo affronta il dramma dell`immigrazione clandestina; e dunque finisce per sottolineare la scarsa compattezza del centrodestra. Tanto più che l`ennesimo affondo sulla laicità si abbina alla richiesta di una «rivoluzione culturale» sull`immigrazione, che suona come ulteriore critica al governo. Lui, coautore con Umberto Bossi di misure su questo tema contestate dall`opposizione nella precedente legislatura guidata dal centrodestra, ora invoca un approccio diverso. E chiede che sia «quanto più lontano da campagne elettorali»: un`allusione neppure troppo velata ai risvolti strumentali della scelta di rispedire in Libia i clandestini. Eppure, probabilmente il Pdl ha qualche ragione quando si difende dall`accusa di xenofobia sostenendo che non si comporta diversamente da Spagna e Francia. Il dettaglio che fa riflettere politicamente è che però nessuno accusa il governo di Madrid o di Parigi; quello italiano, invece, rischia di diventare il parafulmine di un dramma condiviso col resto dell`Ue. Le intemperanze verbali di alcuni ministri e parlamentari contro l`Onu non aiutano. Anzi, hanno l`effetto di moltiplicare l`attenzione e le critiche contro la coalizione di Silvio Berlusconi; e di mettere in ombra l`assenza delle istituzioni europee. L`avvitamento polemico con l`Alto Commissariato per i rifugiati, emanazione delle Nazioni Unite, è emblematico. Non solo ha provocato la reazione del segretario Antonio Guterres contro il ministro della Difesa, Ignazio La Russa. Ha anche rivelato le crepa nella coalizione. Fini teme che se non si cambia la legge, l`Italia sarà travolta dalle ondate migratorie. Ma anche senza l`eterodossia del presidente della Camera, la maggioranza si sta rivelando meno granitica di quanto affermi. Ieri il ministro dell`Interno, il leghista Roberto Maroni, si è detto convinto del «ruolo fondamentale dell`Unhcr». Ed ha chiesto che sia archiviata una polemica ritenuta «incomprensibile». Sono parole diverse da quelle di chi, nel Pdl, reagisce con veemenza all`Onu. Con una conseguenza: la lite con le Nazioni Unite vede in prima linea il Pdl, convinto di subire accuse demagogiche. Il Viminale del leghista Maroni, invece, almeno in queste ore sembra attestato su posizioni più dialoganti. È un esito imprevisto, se si pensa a come la vicenda si è iniziata; ed al modo in cui il partito di Bossi ha rivendicato il respingimento dei barconi di clandestini come una propria vittoria. Sono i frutti paradossali della rincorsa ad invocare la paternità della linea dura: una gara fra berlusconiani e leghisti, dalla quale Fini si tira fuori, ponendosi ai confini del centrodestra.

Caro Fini l'Italia è già laica

Caro Fini l'Italia è già laica

La Stampa del 20 maggio 2009, pag. 37

Giovanni Gennari

Càpita che parole di politici complichino tutto, come mi pare accada quando il presidente Fini parla di «laicità» dello Stato. Al congresso di fondazione del Pdl - cito alla lettera dal Secolo d’Italia - ribadì prima «il confine che deve separare la sfera privata da quella religiosa», che quindi va ben oltre quella privata, ma dopo una settimana definì la religione come realtà del tutto privata. E curiosamente «la sfida di Fini» fu applaudita in ambedue i casi dai nostri «laici». Ora la versione è ancora più hard. La Stampa di ieri: «L’ultimo strappo. Fini: i precetti religiosi non diventino legge»! Vuol forse dire che le leggi dello Stato debbono per forza e sempre sancire l’opposto dei «precetti religiosi», quindi per esempio il contrario dei «dieci comandi» biblici «non rubare, non uccidere l’innocente, non testimoniare il falso»? Per fare leggi laiche va affermato l’opposto?
Forse serve qualche riflessione sulla laicità in senso moderno e condivisibile. La prima per ribadire che anche da noi il pluralismo morale è un fatto: i cittadini italiani hanno diversi criteri morali, ciascuno deve essere libero di seguire la sua coscienza e ogni violazione di essa è ingiustizia e delitto. A ciascuno la sua etica, religiosa o meno! Ma quando si tratta di fare le leggi, che per definizione «sono uguali per tutti», il discorso cambia, perciò tutti debbono poter contribuire alla loro formazione. Ordinariamente per questo c’è il Parlamento, ove ogni parlamentare ha il diritto e il dovere di giudicare le leggi proposte con il suo libero metro di giudizio, scegliendo quella che si avvicini il più possibile a ciò che egli pensa sia bene comune, o anche solo male minore. Idem nei referendum, dove ogni cittadino è elettore.
Con la formula ieri esposta dal presidente della Camera, i parlamentari o i cittadini che pensano bene comune o male minore una legge che corrisponde anche alla loro coscienza religiosa non avrebbero diritto di voto, o dovrebbero votare contro coscienza! Invece una laicità democratica non consente che principi religiosi o antireligiosi diventino «automaticamente» leggi civili, e perciò leggi giudicate liberamente dai parlamentari, o nei referendum dai cittadini, potranno sia corrispondere sia opporsi a principi religiosi, salvando in ambedue i casi tanto la laicità quanto la libertà di tutti. Da noi è accaduto sovente: nel 1974, nel 1981 e nel 2005. E perciò l’Italia è già laica.