venerdì 28 agosto 2009

Dio perdona, Fini no Guerra aperta nel Pdl

il Riformista 28.8.09
Il piano di Fini per fermare la balena bianca del Pdl
Sul bio-testamento prepara la trappola del voto segreto
Dio perdona, Fini no Guerra aperta nel Pdl
Nel giorno della Perdonanza per Berlusconi, si apre un conflitto senza precedenti sul rapporto con la Chiesa. I capigruppo del Senato replicano al presidente della Camera.
di Alessandro De Angelis

Biotestamento. Pronta la strategia: i suoi proveranno a stravolgerlo in commissione, mentre con il ddl Granata sulla cittadinanza aprono al dialogo coi cattolici. A quel punto si tratta. Sacconi ha già dato segnali di apertura. Ma Gianfranco alza il tiro e prepara l'arma finale: il voto segreto. Ieri un altra picconata: «No a un partito populista».

Che il suo affondo sul biotestamento alla festa del Pd («Quando il testo arriverà alla Camera farò di tutto per correggerlo anche perché sul fine vita spetta al parlamento decidere e non alla Chiesa») potesse produrre un salto di qualità dello scontro all'interno del Pdl, Fini lo aveva già previsto. Tanto che aveva già pronto un altro colpo in canna. Proprio sul partito: «Il Pdl - ha detto all'Espresso - non può essere strutturalmente un partito populista. È obbligato a esprimere una avanzata cultura di governo». Quale? «Quella liberale, laica e modernizzatrice». Già, liberale e laica. Altro colpo, visto che ieri è insorto mezzo Pdl (quello cattolico) sul biotestamento. Del resto sono giorni che Fini sta mettendo a punto con i suoi fedelissimi la sua trappola autunnale al governo.
Di reazioni, alla picconata sul biotestamento, ce ne sono state eccome, da parte chi, nel Pdl, ha in mente una nuova balena azzurra. Come Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello, che ieri hanno vergato un durissimo comunicato verso il presidente della Camera: «Auspichiamo che il dibattito alla Camera possa migliorare ulteriormente il testo della legge, ma non possiamo accettare lezioni di laicità». Tutto secondo copione, per Gianfranco. L'obiettivo resta far saltare la legge sul testamento biologico.
Il piano è stato già messo punto nei particolari. Si parte dalla discussione in commissione Affari sociali della Camera, dove il presidente è Giuseppe Palombo - un medico che pur essendo vicino a Berlusconi non gradisce il testo licenziato dal Senato - e il capogruppo del Pdl è Lucio Barani, un ex socialista che va in giro col garofano nel taschino. Due, insomma, che dovrebbero favorire la discussione. E che comunque non pensano, per dirla con un ex aennino di matrice cattolica, che «per compensare qualche trasgressione di Berlusconi serve una legge senza senso sul testamento biologico». In quella sede, visto che si possono iscrivere a parlare anche parlamentari che fanno parte di altre commissioni, Fini ha dato l'ordine di scuderia di tirarla per le lunghe, di far circolare le opinioni, di far innervosire chi vuole chiudere in fretta la questione, come i teocon del Pdl. Marcello De Angelis, Benedetto della Vedova, Fabio Granata e gli altri spareranno ad alzo zero sui punti principali del testo licenziato dal Senato. Uno dopo l'altro: l'obbligo di alimentazione e nutrizione; le disposizioni che mettono la volontà del mandatario e della famiglia sotto il magistrato; tutti i rimandi lessicali con cui si ribadisce, a ogni paragrafo del testo attuale, che «si vieta ogni forma di eutanasia» visto che disposizioni in tal senso sono già nel codice penale.
La convinzione del presidente della Camera è che sul provvedimento si giochi una partita non solo di civiltà ma che anche necessaria per costruire un Pdl né monarchico né democristiano. Per questo Fini ha scelto una manovra complicata, ma tutta politica. Perché se con una mano ha dato uno stop alle ingerenze vaticane, con l'altra ha offerto (al Vaticano) un segno di pace. A Genova ha bollato come «razziste» le politiche della Lega (schierandosi implicitamente con quel mondo cattolico che da giorni sostiene la stessa tesi). Ma il segnale vero è parlamentare. Fabio Granata ha messo a punto un disegno di legge - cofirmatario Andrea Sarubbi del Pd - per favorire la cittadinanza dei nuovi italiani. Spiega Granata: «La Chiesa non può essere ascoltata solo sul tema della vita e ignorata su quello della solidarietà. E il ddl riguarda l'integrazione della cosiddetta generazione Balotelli attaverso il principio dello ius soli temperato. Non solo introduciamo il passaggio dai dieci ai cinque anni per ottenere la cittadinanza italiana ma anche requisiti di volontà politica come il giuramento sulla Costituzione».
Ricapitolando. Mentre, a fine settembre, in commissione Affari sociali il Pdl si scontrerà sul biotestamento la proposta Granata potrebbe produrre qualche effetto in una parte del mondo cattolico, parlamentare e non. A quel punto, si tratta. In tal senso Fini ha apprezzato il tentativo si Sacconi di arrivare a una fuoriuscita soft dal pantano in cui si è incanalata la discussione: «Sulla fine vita - ha detto il ministro - il governo si è espresso a favore del diritto inalienabile all'alimentazione e all'idratazione per chi non è autosufficiente. Per attenuare la conflittualità parlamentare potremmo ipotizzare l'immediata approvazione di queste norme rinviando a soluzioni più condivise quelle relative alle dichiarazioni anticipate di trattamento». E non è un caso che a una riunione svoltasi un paio di settimane fa con un folto gruppo di parlamentari azzurri che vogliono ammorbidire il testo del Senato, da Beatrice Lorenzin a Giorgio Stracquadanio, il presidente della Camera abbia mandato il suo Silvano Moffa. Il percorso in due tempi ipotizzato da Sacconi - una leggina sul modello Eluana subito e sul testamento si vedrà - per Fini è un passo in avanti. Ma non basta. La leggina - pur riguardando un numero limitato di casi - fa comunque passare un principio che Fini contesta radicalmente: «Non si tratta di favorire la morte ma di prendere atto dell'impossibilità di impedirla e far decidere la persona, i familiari, il medico» ha detto a Genova. Praticamente quella norma sarebbe la consacrazione dell'accanimento terapeutico. Meglio di una soluzione del genere - dicono gli uomini del presidente - sarebbe affidate il tutto a regolamenti varati dal ministero.
Per Fini non c'è fretta. Anche perché, e qui siamo al secondo tempo della sua strategia, il dibattito parlamentare, qualora in commissione non si dovessero incassare risultati consistenti, è davvero una partita aperta. E al quartier generale dell'ex capo di An ostentato ottimismo. Innanzitutto perché sui temi eticamente sensibili, che riguardano la coscienza e che non fanno parte del programma di governo, la fiducia non si può mettere. Ma soprattutto perché su molti articoli i parlamentari potrebbero chiedere il voto segreto. E il presidente lo concederebbe volentieri. Anzi ha già in mente di farlo. Del resto il precedente c'è stato già al Senato. Alla Camera però i numeri sono diversi. E c'è molto più trasversalismo tra i poli. Non è un dettaglio, visto che statisticamente il voto segreto in questa legislatura non ha portato fortuna all'esecutivo (un caso su tutti: la norma sui medici spia). A conti fatti, tra socialisti non sacconiani, laici di Forza Italia, ex aennini vicini al presidente della Camera, radicali e Pd su nessun provvedimento ci possono essere certezza matematiche. Col voto segreto. E nella trappola di Gianfranco né il governo né la segreteria di Stato vaticana hanno interesse a cadere.

"Ma ha i numeri per bloccare una legge"

La Repubblica 28.8.09
Gianfranco tradito dagli ex colonnelli "Ma ha i numeri per bloccare una legge"
L’ira dei fedelissimi: non è un alieno, con lui si deve trattare
Ronchi: i capigruppo non dovevano permettersi un documento simile
di Alessandra Longo

ROMA - Ma chi si crede di essere Gianfranco Fini che si permette di dare «lezioni di laicità» a quelli del Pdl? Faccia il suo mestiere e non disturbi il manovratore... Maurizio Gasparri era un suo colonnello ma da tempo si è trovato un altro generale. Gaetano Quagliariello era considerato un liberal-radical che ora risponde ad altre logiche. Si sono buttati a corpo morto contro le esternazioni del presidente della Camera, quasi fosse un avversario politico, un agente provocatore. Fini che sente odore di clericalismo nelle scelte del Senato, Fini che riceve i gay e si preoccupa dell´integrazione della «generazione Balotelli», Fini che inorridisce di fronte ai respingimenti in mare di ispirazione leghista e, adesso, anche Fini ricevuto con tutti gli onori alla festa del Pd. Cova da tempo l´incomunicabilità con l´ex leader di An e, parallelamente, il disegno di farne un personaggio solitario e fuori dal coro, quello che gli inglesi chiamano «odd man out», cioè uno che, «per la stranezza dei suoi comportamenti e dei suoi credi, sta da solo sia che sia fuori sia che sia dentro un gruppo».
Ieri l´attacco più duro, più diretto, quello dell´ex missino Gasparri firmato a quattro mani con il collega Quagliariello. Un attacco che spacca, divide, imbarazza. Italo Bocchino, per esempio, vicecapogruppo alla Camera, ex ragazzo di bottega di Pinuccio Tatarella, non avrebbe mai fatto un comunicato così, pur considerando il testo Calabrò «un buon testo»: «Non avrei mai usato quell´espressione "non accettiamo lezioni di laicità". E, anzi, darei un consiglio a Berlusconi e ai coordinatori del partito. Devono discutere del testamento biologico con Fini anche in sede politica, non considerandolo esclusivamente il presidente della Camera». Ecco il punto. Quanti vivono ancora Fini come un grande capo organico al Pdl? «Nessuno può pensare – dice Bocchino – che il suo attuale ruolo istituzionale lo costringa all´imbalsamazione. Lui è il coleader del Pdl, sta lavorando alla destra del futuro, con un approccio molto simile a quello di Sarkozy e Cameron. Starei attento ad avvalorare la tesi di un Fini politicamente isolato. Fini ha i numeri all´interno del gruppo Pdl, anche per mettere la legge su un binario morto. Conosco i 270 deputati del partito e so quel che dico. Dentro gli ex di Forza Italia c´è un filone liberale cui va aggiunto un filone lealista di ex aennini. Numeri abbondanti. Sconsiglio lo scontro».
Un «socio fondatore» del Pdl: così lo aveva definito, all´indomani del congresso, il ministro Andrea Ronchi polemizzando con il suo collega di governo Altero Matteoli, convinto che il Capo ormai fosse uno solo, e cioè Berlusconi. Adesso anche Ronchi va dicendo ai suoi che «non ci si doveva permettere di fare un documento come quello diffuso dai capigruppo al Senato».
Palese mancanza di rispetto, crisi di rigetto per "l´alieno", quasi Fini fosse un abusivo, un "clandestino". Già lo vivevano così, del resto, parecchi dei suoi nell´ultimo, terremotato periodo di An. Marcello Veneziani, dal suo osservatorio esterno, pensa che il presidente della Camera sia colpevolmente finito «in un altrove imprecisato». L´onorevole Fabio Granata s´indigna invece per il trattamento che gli viene riservato: «Ci manca che introducano il reato di clandestinità dentro il partito e poi lo cacciano! A questo punto con Gasparri mi sento unito da un´unica fede: quella romanista».
Qualcuno tira fuori la storia, familiare anche nel Pd, delle «diversità di opinioni che sono una ricchezza: «Il Pdl non è un monolite, è votato da milioni di persone, è comprensibile che ci siano approcci diversi...». Basta che Fini, dice Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera, «ammetta, come sa, di essere minoritario, rispetti laicamente le posizioni degli altri sul testamento biologico e, soprattutto, non scenda in campo».
Guai a toccare il nervo sensibile della dignità dell´uomo, della laicità dello Stato, dei rapporti con il Vaticano. S´incrina «il partito-monolite». Inizia la conta del chi sta con chi. «Almeno 50, 60 deputati del Pdl sarebbero pronti a non votare il testo del Senato», assicura Benedetto Della Vedova, ritenuto ascoltatissimo interlocutore di Fini sui temi eticamente sensibili». Il documento Gasparri/Quagliariello è dedicato proprio a loro, ai possibili dissidenti e al loro Capo, numero due fuori linea: la smettano di sparigliare, vadano altrove a dar lezioni.

La prima battaglia, sul biotestamento, ha due obiettivi.

l’Unità 28.8.09
La «campagna» di Gianfranco che punta al partito
La prima battaglia, sul biotestamento, ha due obiettivi. Dare un profilo laico allo schieramento e contare tra pidiellini di varia natura (da Della Vedova a Granata) chi sta con lui
di Susanna Turco

Uno strappo nello strappo, se è possibile. Una presa di posizione che più netta non si può, proprio alla vigilia dell’incontro sperabilmente pacificatorio, almeno nell’ottica dell’ala lettiana di Palazzo Chigi, tra il premier Berlusconi e il cardinal Bertone oggi all’Aquila. È ciò che si legge nella determinazione con la quale, l’ultima volta ufficialmente alla festa del Pd, Gianfranco Fini va ripetendo – da mesi in realtà, ai parlamentari a lui più vicini – che il testo sul fine vita deve essere modificato alla Camera. Ma, soprattutto, rifulge nel sorprendente dettaglio che, almeno in privato, la terza carica dello Stato ha preso in considerazione l’ipotesi di votare personalmente contro quella legge. Di alzarsi e schiacciare il bottone, insomma.
Una mossa davvero estrema, del tutto irrituale. Che nessun predecessore ha mai azzardato, come ha avuto modo di verificare lo stesso Fini. Quantomeno irrealizzabile, insomma. Ma utile, anche solo come dichiarazione messa sul piatto, a capire fino a che punto l’ex leader di An sia determinato a portare avanti una battaglia che chi lo conosce bene definisce «frutto non solo di una scelta politica, ma anche di una forte convinzione personale». Non a caso, i cosiddetti finiani non esitano a definire quella sul biotestamento «la campagna d’autunno» del loro leader. Della quale nelle segrete stanze si ricomincerà a parlare al più presto. Per tentare di modificare la legge prima, per dare se necessario voto contrario poi. Con il doppio obiettivo di tentare di dare una fisionomia più «laica» al Pdl e di definire concretamente su quali forze si può contare.
Proprio nella battaglia sul fine vita, infatti, rischia seriamente di prendere corpo quella che il presidente della Camera rifiuta di chiamare corrente, ma che di fatto tale sarebbe: un gruppo a ispirazione unitaria, formato non tanto da ex aennini, e men che meno da ex colonnelli, quanto da pidiellini di varia fattura – dai Della Vedova alle Bongiorno passando per le Perina e i Granata. Nelle prossime settimane c’è da attendersi che costoro prendano posizione, come e più di quanto abbiano già iniziato a fare ieri Bocchino e Urso, fino all’atto finale del voto in Aula.
Il disegno finiano è comunque ormai più che esplicito. Tanto che i cattolici, da monsignor Fisichella al ciellino Lupi, richiamano il presidente della Camera al suo «ruolo super partes».
D’altra parte, dentro il Pdl il fermento sui temi etici è accentuato proprio dalle prese di posizione di Fini e finiani. Con insospettati smottamenti. Ne è la riprova la proposta rilanciata ieri da Gasparri di una indagine conoscitiva contro la Ru486. Una replica tardiva rispetto al Fini di venti giorni fa, che aveva giudicato «bizzarro chiedere che il Parlamento si occupi di un farmaco».

giovedì 27 agosto 2009

Fioroni e Gelmini, fatevene una ragione

Liberazione 26.8.09
Fioroni e Gelmini, fatevene una ragione
di Corrado Mauceri Per la Scuola della Repubblica

Il regolamento pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 19 agosto 2009 (Dpr n. 122/09) ed entrato in vigore il giorno successivo (era stato però adottato in data 22 giugno 2009 ed in merito al credito scolastico recepiva le ordinanze ministeriali recentemente annullate dal Tar) contrariamente a quanto afferma "Il Giornale" in modo trionfalistico, non solo non inficia le sentenze del Tar, ma non avendo valore di legge (i redattori del giornale dovrebbero prima informarsi!) è, al pari delle ordinanze ministeriali già annullate, illegittimo. Il regolamento difatti è anteriore alla sentenza del Tar del Lazio, che come noto ha dichiarato illegittima la valutazione dell'insegnamento della religione cattolica e all'art. 6 ripete le norme dichiarate illegittime dal Tar - e cioè che il consiglio di classe con la presenza degli insegnanti di religione attribuisce agli alunni il credito scolastico. In questo modo, la scelta di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica comporta il vantaggio di avere ai fini del credito scolastico un ulteriore elemento di valutazione che gli altri alunni non possono avere; la scelta di avvalersi è quindi in qualche modo incoraggiata e può non essere una scelta libera e disinteressata; può essere una scelta di convenienza al fine di avere un vantaggio nella valutazione del credito scolastico. Tale diverso trattamento scolastico degli alunni però è palesemente discriminatorio nei confronti degli alunni che non si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica, ma soprattutto è diseducativo. Lo Stato offre alla chiesa cattolica l'opportunità dell'insegnamento della religione cattolica a spese della collettività; è inaccettabile che si presti anche a favorire la scelta di tale insegnamento con la prospettiva di un vantaggio nella valutazione scolastica. La Corte costituzionale l'ha affermato chiaramente; la scelta di avvalersi deli questo insegnamento deve essere assolutamente libera e senza alcun condizionamento. Bene hanno fatto i giudici del Tar ad annullare le ordinanze del ministro Fioroni. Per queste stesse ragioni ora sarà impugnato anche il regolamento della ministra Gelmini. Fioroni e Gelmini devono farsene una ragione la Costituzione repubblicana ha affermato il principio di laicità dello Stato.