mercoledì 24 settembre 2008

Il Partito-che-non-c’è, un’eterna illusione dei laici

Il Partito-che-non-c’è, un’eterna illusione dei laici

Corriere della Sera del 24 settembre 2008, pag. 47

di Filippo La Porta

Massimo Teodori con Storia dei laici (Marsilio) ha scritto un saggio accurato di storia dei movimenti e delle idee, ma anche un libro «visionario», un malinconico elogio del Partito-che-non-c’è (pensando al Neverland di Peter Pan potremmo dire il Neverparty...). La galassia della terza forza - il mondo laico e antitotalitario - pur influente su altri piani (della cultura, del giornalismo) non si è mai tradotta in una forza politica incisiva, a parte certi tentativi riformatori di Lombardi. Perché? Colpa delle due chiese ideologiche incombenti (Pci e Dc), e anche perché si trattava di un «ircocervo»(Croce), una costruzione cioè astratta e troppo problematica per non essere minoritaria nell’Italia elenco-comunista...



Teodori riempie meritoriamente un vuoto storiografico e ci offre un repertorio documentato della terza forza nell’ultimo mezzo secolo, attraverso i ritratti di singole personalità (notevole quello di Adriano Olivetti) e di riviste.



Vorrei solo aggiungere una riflessione. La terza forza, elettoralmente ininfluente, ha avuto però negli anni Settanta un clamoroso risarcimento, ad opera di Pannella e Scalfari, un tempo uniti nelle file radicali. ll primo con la vittoria sul referendum per il divorzio, il secondo con la invenzione della Repubblica hanno per la prima volta tradotto idee e umori di ispirazione laica in un senso comune maggioritario. Hanno contribuito a modernizzare questo Paese. Eppure a entrambe queste esperienze è mancata una riflessione più radicale sugli italiani e sulla modernità stessa. Il divorzio, conquista civile decisiva, è stato anche - ambiguamente - un diritto in più, aggiunto ai molti diritti del cittadino-consumatore. La Repubblica, pur denunciando con puntiglio le tentazioni autoritarie della nostra democrazia, finisce con il celebrare - fatalmente, in quanto giornale di massa -- gli idoli sociali del successo, del denaro, della fama, eccetera.



Nell’area variegata della terza forza convivevano filoni diversi. La sua storia è attraversata non solo dall’opposizione tra i due numi tutelari Croce e Salvemini (già nel 1945!), e dalla varietà multiforme di correnti ideali, ma dal persistere di un,pensiero radicale sul mondo contemporaneo: penso a Nicola Chiaromonte, alla sua limpida riflessione sul potere, sulla verità, sul senso del limite, al suo sforzo di ripensare le basi stesse - precarie - della nostra civiltà dopo la catastrofe bellica, in sintonia con Camus, Simone Weil, Hannah Arendt e altri maestri eretici ospitati sulla rivista Tempo presente... Nel’68 scrisse che la rivolta studentesca, pur legittima, condivideva con il nemico l’unico ideale indiscusso dell’uomo moderno: la soddisfazione di tutti i bisogni, l’«egomania». Al Neverparty, via via appiattito sul presente, sulla società italiana, è mancato sempre più quel senso di emergenza storica e soprattutto quella dimensione critica, di riflessione antropologica (mescolando cultura e politica le ha perse entrambe...). Se l’avesse conservata, la nostra immaginazione morale ne sarebbe oggi rinforzata.

sabato 13 settembre 2008

Le banche islamiche preparano lo sbarco in Italia

La Repubblica 10.9.08
Allo sportello con le regole del Corano
Le banche islamiche preparano lo sbarco in Italia. Il dossier sul tavolo di Draghi
di Ferdinando Giugliano

Rischi di conflitto con la nostra normativa anche su un semplice mutuo

ROMA - Un´opportunità per gli immigrati nel nostro paese, ma anche e soprattutto per le aziende italiane. È la cosiddetta finanza islamica, un insieme di strumenti basati più sull´etica del Corano che sulla religione islamica, e che potrebbe garantire ai mussulmani in Italia un sistema bancario adatto alle loro esigenze, oltre ad avere tutte le potenzialità per diventare un canale preferenziale per gli investimenti arabi nel nostro Paese.
Sono quattro i princìpi cardine del sistema finanziario islamico: il divieto del pagamento di interessi (riba), quello di investire in attività che comportino irragionevole incertezza ed ambiguità (gharar), il divieto di speculazione (maisir) e quello di investire in attività economiche proibite dal Corano, quali armi, pornografia o gioco d´azzardo (haram). Princìpi, questi, che hanno permesso alle banche islamiche di navigare in acque relativamente tranquille durante la crisi dei subprime, proprio per il divieto di commercializzare prodotti particolarmente complessi come i derivati.
Queste stesse norme possono, però, entrare in conflitto con la normativa vigente in Italia. Il rischio non riguarda tanto il caso in cui prodotti di finanza islamica venissero venduti da banche del nostro Paese. «Il problema - spiega Ermanno Mantova, presidente dell´Istituto di Studi Economici e Finanziari per lo Sviluppo del Mediterraneo - riguarderebbe soprattutto la creazione di un vero e proprio "istituto di banca islamica"». Un istituto che, conferma l´ex-direttore generale della banca italo-libica Ubae, Matragna, «potrebbe presentare problemi di tipo normativo e fiscale».
Questo perché, per esempio, la finanza islamica non permette di accendere un mutuo con interesse, ma fa comprare la casa alla banca per poi farla affittare al cliente ad un prezzo che comprende il costo del denaro, fino a quando, corrisposto il pagamento, la casa viene "regalata" al cliente. Così facendo, il problema normativo sorge perché le banche sono di fatto possessori della casa e perciò meno attente alla solvibilità del cliente, andando ad minare uno dei pilastri del sistema creditizio italiano. Quello fiscale, invece, nasce perché il doppio passaggio di proprietà porta le parti a pagare due volte l´imposta di registro, la prima quando la banca compra la casa e la seconda quando la dà al cliente.
Problemi di questo tipo richiedono un intervento da parte del legislatore e delle autorità di vigilanza. «Abbiamo avviato contatti informali con il governo e con la Banca d´Italia, e queste istituzioni - dichiara Hatem Abou Said, incaricato per conto della Islamic International Bank di Londra di costituire una banca islamica in Italia - e credo che non sarà impossibile avere le autorizzazioni necessarie entro il 2008». Non ci sono risposte ufficiali, ma è noto che la Banca d´Italia ha cominciato a studiare l´argomento. L´opportunità è grande, e non solo per gli stranieri in Italia. «Con le banche islamiche - aggiunge Mantova - potrebbero arrivare i petroldollari del Golfo». E, di questi tempi, chi è che direbbe loro di no?

sul «ritorno» della religione dopo la fine delle ideologie

Corriere della Sera 12.9.08
La religione c'è sempre stata, in alcune fasi è stata latente od oscurata dalle ideologie. Il comunismo era una religione sostitutiva
Il dibattito Su «Aspenia» dialogo sul rapporto tra il credo e la politica, sul «ritorno» della religione dopo la fine delle ideologie
di Giulio Tremonti e Massimo D’Alema

Tremonti, D'Alema e il Secolo Religioso «Era della coscienza». «Laicità a rischio»
Ministro ed ex premier d'accordo: qui la fede non è confinabile alla dimensione privata
Oggi vengono messi in discussione i fondamenti stessi dello Stato laico europeo, perché libertà e cittadinanza non si fondano sulla verità

Il nuovo numero di Aspenia, la rivista trimestrale diretta da Marta Dassù, ragiona di religione e politica: «Il ritorno della religione nel dibattito pubblico, sul piano della politica globale e della politica tout court». Apre il dibattito il dialogo tra l'ex premier Massimo D'Alema e il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, che si confrontano su «Dei, patrie e famiglie». La domanda di partenza è se il XXI secolo si profili come un secolo religioso dopo la crisi delle ideologie. Per entrambi è improprio parlare di ritorno della religione: secondo D'Alema «si presenta in modi e gradi diversi in aree differenti del mondo»; Tremonti giudica «falsa» quest'idea perché «la religione c'è sempre stata, se pure con intensità diverse». Tra i temi toccati anche la «deprivatizzazione» della religione in Europa, su cui D'Alema e Tremonti si trovano concordi nel sostenere che il fenomeno religioso non è mai stato confinabile in una dimensione privata.
Nella sezione Scenario, dedicata a fede e ragione, l'ex premier Giuliano Amato e il presidente della Fondazione Magna Carta Gaetano Quagliariello dialogano su «Il ritorno di Dio».

Aspenia: «Il XXI secolo si profila come un secolo religioso, dopo che la fine della guerra fredda ha segnato la crisi delle ideologie secolari del secolo scorso, non solo il comunismo ma anche le forme estreme di liberalismo economico. Condividete questa impostazione?
MASSIMO D'ALEMA: «Certamente è tramontata l'idea che aveva preso il sopravvento nella fase culminante della secolarizzazione, e cioè che la religione potesse essere confinata in una sfera privata. Il peso che le religioni sono tornate ad assumere nella sfera pubblica è legato al declino delle ideologie e delle grandi narrazioni novecentesche. In fondo, l'ultimo sussulto delle ideologie del Novecento è stata l'ideologia della fine delle ideologie, con la famosa teoria, dopo il crollo del Muro di Berlino, della fine della storia. Inutile dire quanto tale teoria si sia dimostrata fallace. E non c'è dubbio che l'11 settembre abbia aperto un secolo nuovo. Ma non so dire, onestamente, se sarà davvero un secolo religioso. Per la semplice ragione che il ritorno della religione — in quanto bisogno di dare un senso non solo all'esistenza ma alla convivenza umana — si presenta in modi e gradi diversi in aree differenti del mondo. (...) Dominique Moïsi distingue fra tre grandi aree: quella della paura, che saremmo noi, l'Occidente; quella del rancore, e cioè il mondo islamico; e infine l'area della speranza, in cui rientrano la società asiatica e le grandi aree emergenti. È in questa ultima parte del mondo che la religione conta di meno. Naturalmente, l'elemento religioso è comunque importante, per esempio in paesi come l'India; ma quel che voglio dire è che nelle aree emergenti ed economicamente vitali, lo spazio pubblico è dominato da una certa fiducia nel progresso, e quindi nel proprio futuro. La religione, invece, conta moltissimo nel mondo occidentale e nel mondo islamico; nel primo sono nate nuove paure, anche come risultato dei processi di globalizzazione; nel secondo domina la frustrazione».
GIULIO TREMONTI: «L'idea del «ritorno della religione» per me è un'idea falsa. Se l'unità temporale su cui si basa la domanda è quella del secolo, allora non credo proprio che la religione sia mai «scomparsa» e per di più per tutto un secolo, quale che sia il secolo. La religione c'è sempre stata, se pure con intensità diverse: in alcune fasi è stata dominante, in altre latente, in altre ancora — soprattutto nel Novecento— è stata in parte oscurata dalle grandi ideologie, configurate a loro volta come religione sostitutiva. Il comunismo è stato costruito, prospettato e poi vissuto come una religione sostitutiva. Lo stesso partito comunista, del resto, era gerarchicamente e simbolicamente costruito come una chiesa. Tra le tante, una delle follie del nazismo consisteva proprio nella sua cifra di religione pagana. Fuori dalla dimensione temporale (il secolo) c'è piuttosto nella domanda la dimensione dello spazio. Qui, se la dimensione spaziale coincide con la dimensione globale, concordo nel vedere forti asimmetrie e discontinuità. In molte società emergenti, la componente della religione ha, in effetti, una rilevanza abbastanza tenue. Ma non è così in altre parti del mondo. Sarebbe una forzatura dividere il mondo in aree omogenee. Prendiamo per esempio il caso della Cina: pur dentro il nuovo meccanismo comunista/capitalista, la dimensione religiosa è molto forte, l'etica confuciana continua a essere fondamentale.. (...)»
ASPENIA: Benedetto XVI sostiene che «in un mondo senza verità, la libertà perde il suo fondamento e la democrazia senza valori perde la sua anima». Come valutate il messaggio del papa dell'Occidente? È il segno di un'inversione di tendenza, di una sostanziale «deprivatizzazione » della religione nell'Europa postsecolare? L'Europa, insomma, abbandonerebbe il laicismo per diventare più simile all'America, dove la religione è sempre stata considerata una risorsa per la democrazia?
TREMONTI. «L'americanizzazione dell'Europa... lascerei questa formula, un po' novecentesca, a Gramsci e a Ortega y Gasset. Piuttosto, non credo nella separazione tra dimensione privata e dimensione collettiva della religione. Quella della privatizzazione della religione è un'idea laica e perciò un'idea esterna alla religione. La nostra religione, per come è costruita e per come è stata vissuta per secoli da milioni di persone, è sempre stata insieme interna ed esterna: un modo di riferirsi agli altri. Non c'è mai stato, in questa dimensione, l'individuo da solo, ma la persona in rapporto non solo con se stessa, ma anche con la famiglia, e la famiglia in rapporto con la collettività. È stato fatto anche un discorso sul progresso e sulla crisi. In Occidente, il progresso, l'idea del progresso con il crescente benessere che ne è derivato, ha creato un effetto di euforia, a sua volta progressiva. Ora la fase euforica sembra terminata con la crisi. Credo che sarebbe terminata comunque, per il suo stesso eccesso parossistico. Alla fine, quando hai troppe cose e inutili, quando tutto diventa insufficiente in modo paradossale, insufficiente per eccesso, torni a porti interrogativi più fondamentali e per così dire valoriali, sulla tua ragione d'essere esistenziale. Soddisfatta la domanda di beni materiali, torni naturalmente ai valori immateriali. Il crescere del benessere produce prima un'euforia che porta le persone in una dimensione «nuova» rispetto a quella tradizionale. Ma poi, fatalmente, l'euforia termina. La crisi, se c'è, se arriva, accelera solo questo processo. La crisi può rendere evidenti alcuni elementi di rottura, ma al ritorno della religione (che in realtà c'è sempre stata) saremmo arrivati comunque».
D'ALEMA: «Tornerei alla domanda di partenza: se il messaggio del papa sia il segno che il rapporto tra politica pubblica e religione, in Europa, è ormai più simile a quello americano. La mia risposta è semplice: sì. Sono d'accordo con Tremonti quando dice che il fenomeno religioso, in Europa, non è stato mai confinabile in una dimensione privata. Difficile dimenticare, del resto, che il cattolicesimo italiano, in particolare, è stato un grande fenomeno sociale e politico, tanto che ha governato per cinquant'anni l'Italia. Ma oggi, col ritorno della religione nella sfera politica, quella che viene messa in discussione non è la secolarizzazione edonistica. Vengono messi in discussione i fondamenti stessi dello Stato laico europeo, come si è venuto configurando dal XVII secolo in poi. La sfida culturale è a questa altezza. Lo Stato laico europeo nasce infatti dalla considerazione che la libertà non può fondarsi sulla verità. E nasce all'indomani delle guerre di religione, quando si prende atto che la pretesa di fondare la cittadinanza sull'appartenenza religiosa —
cuius regio eius religio — porta alla guerra e da tutto ciò si esce proclamando che lo Stato è laico perché le libertà e la cittadinanza non si fondano sulla verità. Ora, non vi è dubbio che oggi, per la crisi profonda dell'Occidente, che è una crisi culturale e ideale prima che economica, ci troviamo anche di fronte a un ritorno religioso che è legato alla ricerca di senso. Ma esiste anche questa vena integrista, che mette in discussione non l'edonismo, ma il fondamento stesso della laicità dello Stato. E quindi io distinguo tra il ritorno prepotente della fede religiosa come modo per dare un fondamento etico alla propria esistenza individuale, e l'uso politico della religione». (...)
ASPENIA: Di fronte ai dilemmi che pongono la scienza, la biotecnologia, non è un anacronismo paventare una restaurazione del potere temporale della chiesa?
D'ALEMA: «Io non temo la restaurazione del potere temporale della chiesa. È legittimo che i cristiani facciano vivere i loro valori, come disse Aldo Moro all'indomani della sconfitta cattolica al referendum sul divorzio; ma pretendere di imporli per legge urta con la coscienza moderna. Anche perché tutto ciò può rappresentare un impedimento alla libera ricerca scientifica, e questo va evitato. È evidente che il legislatore deve confrontarsi con problemi nuovi, ma il mio timore non è che torni il papa re. La mia paura è un'altra: che in questa sorta di sposalizio con l'Occidente malato, che si volge alla religione in chiave identitaria e che riscopre le radici cristiane in una chiave difensiva, la chiesa rischi di perdere l'universalità del messaggio cristiano. Questa universalità del messaggio cristiano la sentivo di più, devo ammetterlo, nel precedente pontificato, in cui peraltro l'elemento di integrismo religioso era fortissimo e anche molto critico verso gli esiti della globalizzazione, prendendo spesso il posto di una sinistra silente. Mentre nel papato di Ratzinger avverto assai di più il legame con l'Occidente, e l'avverto come un limite all'universalismo cristiano».
TREMONTI: «È corretto iniziare la nostra riflessione su questo punto, proprio, come suggerito, dalla pace di Westfalia, il cui dictum era cuius regio eius religio. Ma appunto: cuius regio eius religio. Religio. Questa parola e non altre. E questo semplice fatto è prova in sé, insieme assoluta e storica, della rilevanza propria della componente religiosa. Nei secoli la "cifra" religiosa sale, scende, viene oscurata, poi riprende, ma non per caso — ripeto — la formula che è usata ancora oggi è cuius regio eius religio, non eius altro. Ciò premesso, una discussione utile va comunque sviluppata, separando la dialettica strumentale da quella sostanziale. La prima utilizza i fatti religiosi in termini polemici. In questi termini, sullo stesso piano degli atei devoti, credo che possano essere messi anche i laici polemici. Zapatero, per esempio, ne è l'eroe eponimo. (...) Detto questo, escludo che, nel tempo presente, ci sia il rischio di un ritorno del potere temporale. La dialettica tra atei devoti e laici polemici, con il relativo apparato di argomenti strumentali, è tuttavia, come dicevo, e per fortuna, relativamente marginale. Sostanziali, sulla dividente "destra"-" sinistra", sono invece altre grandi questioni. Il matrimonio è stato una di queste grandi questioni. E, soprattutto, la scienza. (...) Non ci limitiamo più alla fase gnoseologica, a conoscere la vita, ma agiamo sulla vita, tentando di crearla o di ricrearla. Certo, anche la bomba atomica agiva sulla vita, ma in negativo, la distruggeva. Poneva dilemmi morali drammatici, ma diversi da quelli che si presentano ora. Un conto è infatti distruggere la vita, un conto è crearla. Distruggere la vita è drammatico, ma crearla è diverso e ancora più drammatico. Si sta avverando la profezia di Malthus, la profezia dell'uomo che non dipende da un'origine, ma che è origine esso stesso: la bestiaccia della favola era già la profezia del postumano, la fabbrica di nuovi corpi o di nuovi ectoplasmi. Sono dilemmi che non si pongono solo a destra, si pongono anche a sinistra. Ma è con questo e proprio per questo che la sinistra ha perso un'altra delle sue basi storiche di sicurezza: l'assoluta sicurezza nella scienza come matrice infallibile di progresso. Per come vedo e sento, sono fortemente convinto dell'ipotesi che una maggiore luce della scienza potrà portare con sé una maggiore luce della ragione e, con questa, anche della coscienza. La dialettica profonda è infatti tra ragione e fede, tra scienza e coscienza, sapendo che devono stare tutte insieme». (...)

martedì 9 settembre 2008

L'appello del Papa

il Riformista 9.9.08
L'appello del Papa
Dai movimenti al Parlamento. Politici cattolici, alla fine ci pensa Ruini?
di Paolo Rodari

Non sono pochi i vescovi della Chiesa italiana che ritengono che alle parole pronunciate l'altro ieri dal Papa, secondo le quali serve al mondo della politica «una nuova generazione» di «cristiani impegnati» che con «competenza e rigore morali» cerchino soluzioni di «sviluppo sostenibile», occorra rispondere in fretta. Ma per tutti una cosa è evidente: la risposta non possono più essere quelle scuole di formazione politica che, sul finire degli anni Settanta e l'inizio degli Ottanta, provarono a occupare quello spazio che gradatamente lo sfaldamento della Democrazia cristiana stava lasciando libero dietro di sé: le scuole fallirono (erano nate come funghi ovunque, soprattutto nelle parrocchie, negli istituti religiosi, nei centri culturali e nelle diocesi) anche perché - come spiega al Riformista Luca Diotallevi - «la politica è una prassi, non è un episteme, e dunque non s'impara a scuola». Non solo. Secondo Diotallevi il richiamo più importante fatto dal Pontefice domenica risiede nella richiesta «che queste nuove generazione di laici lavorino per il bene comune». In sostanza, è una richiesta che va in scia a quanto il cardinale Camillo Ruini intende debba essere la presenza cattolica in politica: non la fossilizzazione in un unico partito per difendersi dal nemico, quanto una proposta culturale della propria identità a 360 gradi, correndo magari il rischio della contestazione e, a volte, della marginalizzazione.
Dunque il cardinale Ruini: attraverso la presidenza del progetto culturale, sarà lui a continuare la linea intrapresa dalla Chiesa con la fine della Dc: basta col partito unico, sì al bipolarismo e soprattutto a un'opera di riavvicinamento, di ri-affezione dei cattolici al lavoro culturale e quindi anche all'impegno politico.
La risposta alle parole del Papa, insomma, è dal basso che deve sorgere, da dove già ci sono luoghi e persone "vivaci", interessate alla promozione del bene comune e, dunque, all'impegno anche in politica. Sono luoghi non difficili da elencare e che soltanto oggi, dopo i quindici anni di guida della Cei di Ruini, sembrano aver trovato le energie giuste per emergere. Per dire: «Eccoci, i nuovi cattolici in politica siamo noi».
Innanzitutto ci sono le Acli che stanno costituendo una propria fondazione. Si chiama "Achille Grandi" e il suo scopo è quello di creare un circolo virtuoso tra formazione alla cittadinanza e formazione politica. In sostanza, la fondazione vuole creare dei luoghi di incontro, aiuto e formazione permanente non soltanto per i politici, ma per tutti quei laici impegnati nella ricerca del bene comune. È, negli intenti, l'opposto di quelle scuole di formazione politica in voga all'inizio degli anni Ottanta. Il metodo è ribaltato. Si offrono luoghi di sviluppo di tutta la persona ai quali futuri politici e coloro che già sono impegnati in politica, possono attingere forze, energie, idee.
Anche il Movimento politico per l'unità dei focolarini si muove più o meno così: dare un'anima, un'ispirazione, alla politica attraverso incontri nelle sedi parlamentari, regionali, nelle città, convegni e seminari di studio, grandi manifestazioni. Affinché una politica volta all'unità e alla ricerca del bene comune sia messa in campo. È più o meno la stessa scia sulla quale navigano oggi l'Azione cattolica, la Fuci, l'Mcl e tanto associazionismo cattolico.
Simile, ma con sfaccettature diverse, è quella Rete Italia fondata dai politici Formigoni, Lupi e Mauro. I tre ciellini hanno aggregato attorno a sé amministratori locali, studenti universitari, giovani attirati dalla politica e simpatizzanti di vario genere, interessati a essere formati a un certo modo di fare politica. In pratica il modello a cui guardare è quello lombardo da anni nelle mani di Formigoni. I tre hanno messo su anche una scuola dove si apprende "come fare politica" ma, più in generale, anche qui è un luogo che fa da collante tra un certo cattolicesimo impegnato (Cl) e l'attività politica.
A Roma, nel palazzo detto dei "cento preti", un tempo ricovero per i sacerdoti della diocesi, risiedono tre organizzazioni cruciali per il mondo dell'associazionismo cattolico. Non fanno politica in senso stretto ma incarnano alla perfezione l'idea che più che di scuole politiche vi sia bisogno di uomini capaci di influenzare la politica sui temi più importanti. Ai "cento preti" c'è il settore "vita" coordinato da Scienza & Vita, quello "società" da Retinopera e la lobby della "famiglia" coordinata dal forum delle associazioni familiari.