venerdì 15 maggio 2020

CATTOLICESIMO E PROTESTANTESIMO NELLA POLITICA


Giorgio Quartara

La Donna e dio

CAPITOLO 1.

CATTOLICESIMO E PROTESTANTESIMO NELLA POLITICA

Il  raffronto tra la teologia politica dei Cattolici e quella dei Protestanti impressiona al massimo: un abisso profondo separa le due sette principali del Cristianesimo nei canoni che concernono l’assetto legislativo della famiglia a partire dalla Riforma e dal Concilio di Trento: le differenze religiose non interessano lo studio giuridico delle principali fedi del mondo e della storia.
La riforma dei Protestanti ha rigenerato politicamente il Cristianesimo, togliendolo dalla antitesi colla Natura, colla vita terrena, col bene individuale e pubblico, con la libertà, con la scienza, con lo Stato: il Concilio Cattolico di Trento ha negato tutto. Da allora i Protestanti concedono il matrimonio ai preti, a loro somma lode e a beneficio sociale; talvolta permettendo perfino il sacerdozio alla moglie; hanno conseguentemente soppressi per sempre, non tollerandone più il ritorno, i monasteri, dove intisichiscono le monache, e i conventi, dove i frati si trasformano in cancrena nazionale, e ogni altro ordine religioso a cominciare dai Gesuiti; riammettono il divorzio al posto dell’orrenda invenzione sancita al Concilio di Trento della seperazione personale; nè più ostacolano la parificazione delle madri e dei figli illegittimi ai legittimi: escludono dai Sacramenti il matrimonio, la confessione, la estrema unzione, tre armi terribili per dominare i mariti mediante il tramite delle mogli, per spiare la società, e sedurre talora il bel sesso, per carpire i testamenti; nè essi organizzano il clero, all’interno e all’esterno, perfino come forze diplomatiche in pericolosa e inammissibile concorrenza con lo Stato; nè insidiano la scienza nelle proprie e nelle altrui scuole ed Università; non invadono la magistratura coi propriì adepti; non ricattano i Governi coi loro voti elettorali e parlamentari, provinciali, comunali al fine di ottenere leggi antiumane e previlegi medioevali; non ottenebrano la stampa periodica e libraria con l’indice vaticano e con la censura secolare; non erigono a moralità quanto è diffo­rme, e a immoralità quanto è conforme alla Natura; non si pongono diplomaticamente nel campo opposto alla Patria, come il Vaticano favorevole nel 1915 agli Imperi Centrali e nel 1940 agli Anglo-Americani.
Dopo il Concilio di Trento le direttive cattoliche, diametralmente opposte alle protestanti, non hanno più mutato. Ogni riforma legislativa proposta dai Governi nell’indirizzo classico romano le ha trovate avversarie irriducibili in qualunque nazione. Quotidianamente le tesi politiche cattoliche si possono leggere riaffermate in ogni giornale o in ogni periodico del partito clericale .dall’« Osservatore Romano » alla « Civiltà Cattolica ». Il Vaticano esige la fede incondizionata anche nella politica: il credere ciecamente senza l’uso della critica, contro la ragione, l’avallo incondizionato alle asserzioni più assurde, appunto... perchè assurde: e fa leva sui suoi seguaci colla paura della morte e col miraggio dell’oltretomba.
Così ridotto il Cristianesimo dal Cattolicesimo, . non dal Protestantesimo, si susseguono la condanna della ragione, proprio da parte di Pio IX nell’Enciclica 8 dicembre 1849, l’ulteriore condanna del progresso nella Enciclica 8 dicembre 1864; la condanna di ogni sana riforma giuridica famigliare nell’Enciclica 9 gennaio 1901 sul matrimonio Cristiano (recte et vere « cattolico »), il Decreto 22 marzo stesso anno del Santo Uffizio contro l’educazione sessuale della gioventù e contro l’eugenetica, e così via sempre lo stesso. Un raffronto anche superficiale tra le tre religioni rivelate, e consorelle, l’ebraica, la cristiana, la mussulmana, basate su interviste dirette concesse da Dio ai suoi rabbini, di presenza senza nemmeno l’uso di radio trasmittente e ricevente, riduce il Cattolicesimo a una contraffazione dell’odioso Buddismo. Dei tre attori principali delle tre fedi rivelate di Mose per l’Antico Testamento, di Gesù Cristo per il Nuovo Testamento, di Maometto per il Corani, l’unico ammissibile e quest’ultimo, propugnatore di una morale su­periore alla attuale europea e americana; il peggiore è il secondo, Cristo, l’unico dei tre, infatti, condannato al patibolo dalla equilibrata giustizia romana, saggia più che mai in questo caso, come emerge dai riflessi cattolici nei diritto positivo.
Gli ebrei e i cristiani, figli questi spirituali di quelli, giacché Gesù nacque israelita e si cambiò appena per l’acqua lustrale di San Giovanni Battista, ma non potè assorbire il sangue dei suoi degnissimi seguaci latini, basano i loro canoni sulla Bibbia: la quale, in entrambe le sue parti, l’Antica ebraica e la Nuova cristiana, si concreta inferiore al Corano, quanto il segno patibolare della Croce è meno estetico del simbolo etereo della Mezza Luna.
Il Cristianesimo deve il suo trionfo sull’eccelso paganesimo dei Gentili non già a virtù propria etica e filosofica, ma esclusivamente a due motivi: alla promessa nuova della ulteriore vita in Paradiso, eternità gradita allo spirito di conservazione di ogni essere vivente; e allo sfacelo interno romano per il prevalere dei pretoriani sui politici, il che aprì contemporaneamente le frontiere alle invasioni dei barbari ed alla fede di origine orientale.
Sovente si ode ripetere che i teologi hanno pervertito il verbo di Cristo: espressero tale opinione anche scrittori quali gli Enciclopedisti. Dante stesso fa dire a Beatrice, nel Canto XXIX del Paradiso: «.... quando è proposta la Divina Scrittura o quando è torta». Errore: chi così ritiene si ferma alle eccezioni, quali quella concernente il preteso e inesistente divieto cattolico, non protestante, del divorzio e della parificazione degli illegittimi ai legittimi. Ma per il resto no: ad esempio per la Santa inquisizione no: per il sacerdozio no: per l’anarchia sociale no. Nella realtà Gesù fu il più prete dei preti, il più papa dei papi, il più clericale dei clericali: e talora i Protestanti stessi danno una bella prova, a loro volta, di torcere la Divina Scrittura, ma lodevolmente a fine di bene e di utile sociale. Se talune dottrine politiche dell’Antico e del Nuovo Testamento fossero applicate alla lettera, la razza umana verrebbe condotta alla sua estinzione sulla terra, e non ne resterebbe più traccia se non nei fossili, come di tante altre razze di altri animali.
Tre sono le vittime principali del Cattolicesimo, in contrapposto politico al Protestantesimo: la . donna, la scienza, la libertà.

Specie contro la donna, e quindi contro la famiglia, la vera la esistente la naturale, il Cattolicesimo si è accanito dalle sue origini ad oggi, modellandosi invariabilmente sulle religioni patriarcali più retrograde: inespiabile colpa, perchè Cristo è sorto nell’ottimo regime famigliare romano, come il suo padre teologico Mosè era sorto nell’ottimo regime famigliare egizio. E l’uno e l’altro i due artefici della Bibbia, all’opposto del veramente grande Maometto, si sono basati legislativamente sulla soggezione del sesso debole, sul ratto e sulla compera della donna, quindi sulla schiavitù della moglie e della prole. La Bibbia, gli atti degli Apostoli, gli scritti dei Santi Padri, il Diritto Canonico, le Encicliche dei Papi, i Concordati tra i Governi e la Santa Sede, creano l’antitesi più mostruosa tra i due sessi, tra la licenza dei maschio e la schiavitù per la femmina. Legislazione la quale invero non avrebbe nulla a che vedere con la salvezza dell’anima, se questa esistesse, ma allontanerebbe alquanto la fedele dalle cupide volte dei templi cattolici.
Se l’abisso politico l’unico che interessi tra Cattolicesimo e Protestantesimo data palesemente dalla Riforma e dal Concilio di Trento, le sue origini rimontano molto più addietro, si confondono addirittura con le stesse origini del Cristianesimo: l’abisso appare profondo già allorchè il Cattolicesimo, sopraffacendo le altre sette cristiane, riuscì ad imporsi non già come culto libero fra i vani ammessi dalla tollerantissima Roma pagana, ferrea punitrice appena dei reati religiosi, ma addirittura come religione di Stato nel 313, con l’editto famoso di Costantino il Pio, e come setta «catholica » unica ammessa, nemmeno come Cristianesimo; Dopo, nel sesto secolo, l’abisso tra i « catholici » e le varie sette « protestantes » fu scavato più profondamente, e orridamente, da un altro imperatore... romano del Bosforo, da Giustiniano. Costantino manomise la Patria, dopo vinta la guerra civile con Licinius, trasportando nel 330 la capitale da Roma a Bisanzio, dopo di chè chiamò quest’ultima città, dal proprio nome, Costantinopoli, fece assassinare il proprio figlio Crispo, indi decapitare la propria suocera Fausta, e regnò da par suo dal 306 al 377; solo un simile individuo, servitosi della politica per attuare indisturbato la propria criminalità, poteva eleggere a religione di Stato il Cattolicesimo, e quindi cominciare la sostituzione delle divine leggi romane cogli infernali canoni dei Cristiani. I quali, per tali benemerenze, gli tributarono l’epiteto di Pio. Il suo complice, dopo più secoli, Giustiniano, demone in veste umana a lavare il cui sangue non sarebbero bastate le acque del mare, compì l’opera giuridica criminosa dal 527 al 575, affiancato sul trono imperiale, dalla moglie Teodora, già megera da circo, nel quale ella si esibiva ignuda e poi si vendeva per poca moneta ai soldati e ai marinai. Giustiniano ordinò la ricerca nelle biblioteche e presso i privati delle classiche leggi romane, e la loro distruzione; fece del pari rintracciare e bruciare ogni copia delle duemila opere dei più grandi giuristi che siano mai esistiti, magnificenza di Roma e tesoro mondiale, e vi sostituì la sofisticazione del suo Corpus Iuris Civilis, composto di quattro libri: Codice, Digesto, Istituzioni, Novelle. Ora i Cattolici fanno insegnare nelle Università proprie e nell’e laiche, dove sieno alle cattedre i loro correligionali, che il diritto romano non sia già quello di Roma ma quello di Bisanzio, plasmato dalle sagrestie.
Il Cattolicesimo, in cambio dell’appoggio concesso sempre ai peggiori delinquenti, perchè raggiungessero lo scettro, chiesero il guiderdone politico che soltanto da siffatti eletti pote­vano sperare: l’applicazione del rogo ai proprii avversari, e la sostituzione dei canoni degeneri alla classica legislazione famigliare di Roma. Ne fà incredibile manifestazione il Codex surrichiamato di Giustiniano. Quel Codex, novità inconcepibile, che si inizia, come qualche raro codice contemporaneo di Stato latino, colla affermazione del Catechismo e col divieto di discuterlo: così al Libro 1°, titolo I: « De Summa Trinitate ed de fide Catholica et ut nemo de ea publice contendere audeat ». Quel Codex, che al titolo II crea privilegi ecclesiastici ignoti fino allora: « De sacrosantis eeclesiis et de rebus et privilegiis earurn ». Quel Codex che al titolo III, dopo aver aggiunti altri privilegi per gli asceti e pei monaci, «asceteriis et monachis », vieta o permette il matrimonio ai preti: « De nuptiis clericorum vetitis sea permissis ». Di quel Codex, che al titolo V sugli atei e sui protestanti di varia spécie « de haereticis et manchaeis et samaratiis » giunge a porre il braccio secolare al servizio della nascente Santa Inquisizione, giusta il Vangelo, giunge alla persecuzione di ogni dissidente dalla fede « catholica », alla forzata clausura, alla fruttuosa disereditazione, a ogni strazio del cuore della mente del corpo, fino all’estremo supplizio del rogo: così all’articolo 4: « In mortem quoque inquisitio tendatur... Sed nec filios heredes existere aut adire permitltimus »; all’art. 6: « Nec  vero impius libros... aut legere aut describere quisquam au­deat: quos diligenti studio requiri ac p!ublice comnburi decer­namus »; all’art. 8: « ultimo etiain supplicio coerceaniur qui  illicita docere temptaverint ». (Cfr. ottava edizione Weidman­ios, curata da Paolo Krueger, Lipsia 1906).
O divina sapienza pagana! oh divina tolleranza romana oh divina civiltà precedente Gesù Cristo! dove e da chi foste annientate diabolicamente? Parlano i codici, se pur la storia tacesse! Ma non tace: e la sua voce tramanda inesaurabilmente l’orgia di fetore, supremo come nei lupanari, di quelle corti imperiali, dove impazzavano eunuchi e presbiteri, ladri e assassini, intenti tra un delitto e l’altro alla sistematica demolizione di ogni impalcatura dello Stato romano: parla la storia e tramanda come si uccida la patria, come si distrugga il popolo (1).
In Roma classica, cioè fino al secondo secolo dell’era giustamente detta volgare, lo Stato non entrava nè nella conclusione, nè nello scioglimento del matrimonio, il quale era basato esclusivamente sull’amore e sulla reciproca libertà dei coniugi, purchè fosse provveduto economicamente alla moglie e alla prole: quindi le madri e i figli erano legittimi sempre, la donna era giuridicaniente pari all’uomo, la dote era in genere data dal marito alla moglie e non viceversa: non esisteva reato di adulterio; lo Stato manteneva i poveri; per la tutela della famiglia vigevano, all’occorrenza, due mezzi giuridici: l’actio de partu agnoscendo, perché la madre potesse far riconoscere all’infido il parto avvenuto; l’actio de liberis agnoscen­dis, perché i figli potessero farsi riconoscere dal padre, o, nei casi di paternità dubbia, dai vani padri, responsabili pro-quota: regola ottima, in parte riprodotta da qualche legislazione o da qualche moderna giurisprudenza germanica, anglo-sassone, e perfino dalla Sacra Rota Romana, regola che elude le evasioni e le eccezioni, e che consente la libertà sessuale assoluta, indispensabile nei momenti di crescita troppo rapida della popolazione, al fine di limitarla secondo natura, al di fuori delle assurdità teologali del prete protestante Malthus (2). Pietro Bonfante, le cui Istituzioni di Diritto Romano erano costantemente consigliate agli studenti da Vittorio Scialoja, entrambi collaboratori del primo progetto di Codice Civile, col riconoscimento del matrimonio di fatto, abbandonato nel secondo
progetto per le pressioni del Vaticano, riassumeva come segue l’insieme del diritto matrimoniale romano alle pp. 170 e segg. della III edizione, non ancora castrata come le numerose successive:
« Il matrimonio romano si scioglie pel venir meno dell’affectio maritalis nell’uno e nell’altro dei coniugi o in  entrambi. Questo e non altro è il divorzio romano (divortium
 o repudium). Esso non è già un istituto separato del matrimonio, bensì una conseguenza del concetto del matrimonio.  Se questo esige un accordo continuo, quando tale accordo  viene a mancare, necessariamente l’uomo o la donna non possono più essere ritenuti marito e moglie. Ciò era così, vivamente sentito dai Romani, che non solo essi avrebbero considerato un assurdo il concepire che il matrimonio per duri cessato l’accordo dei coniugi, ma riguardano altresì come turpe, ed era vietato dal diritto per la tutela della moralità, il vincolarsi espressamente a non fare divorzio o a pagare una penale in caso di divorzio (seguono i testi latini).   Il divorzio per sua natura non doveva esigere forme, come  non ne esigeva il matrimonio. Un semplice avviso a voce o per iscritto (per litteras) o per messaggio (per nuntium) doveva  bastare... Gli è soltanto con l’imperatore Giustiniano che incomincia la lotta vera contro il divorzio, il cui esito finale  doveva, nel Medio Evo, sotto l’influenza cristiana canonica,  indurre una profonda alterazione nel concetto dei matrimoni.. Fu soltanto nel Medio Evo che il diritto canonico mutò il  concetto del matrimonio e lo rese indissolubile di sua natura. E’ singolare per le idee moderne in proposito, che a tal uopo  il diritto canonico stesso abbia trasformato la conclusione del matrimonio in un contratto. L’istituto moderno del divorzio,  quale esiste in molte legislazioni, non fa che ordinare una  serie di cause di annullamento di matrimonio, e non risuscita affatto il divorzio romano inerente a un’idea tutta diversa del matrimonio ».
Tale la legislazione classica romana. A questa si contrappone la Cattolica.
Costantino il Pio sancì per la validità dell’unione matrimoniale la benedizione del sacerdote, senza la quale i figli diventavano illegittimi, parole che egli si vantò di avere inventate. Egli colpì gli illegittimi, da lui creati nella legge, con la incapacità di succedere, e limitò i loro diritti agli alimenti. Giustiniano rincarò la degenerazione, stabilendo nella Novella LXIV che tali figli andassero distinti in varie categorie. Quelli di brevi amori « non dovevano nemmeno portare il nome di figli naturali; essi non hanno diritto ad alcuna pietà, l’unione  dei loro genitori non è che il frutto di un accoppiamento detestabile, e non deve dar loro la facoltà nemmeno di chiedere gli alimenti». . E alla Novella LXXXIX Giustiniano aggiunse: « I figli nati dall’accoppiamento, noi non vogliamo chiamare ciò col nome di matrimonio, incestuoso criminale proibito, non porteranno più la denominazione di figli naturali,  non dovranno essere nutriti dai loro genitori, ne profittare in nessun modo delle leggi vigenti ».
Vincolata in questo modo bestiale la conclusione delle nozze, anche la loro dissoluzione non potè più avvenire, senza che il Tribunale intervenisse a giudicare se due coniugi dovevano convivere ancora sotto lo stesso, tetto o no, sotto le stesse coltri o no, se dovevano ancora baciarsi, odiandosi, e prolificare o no: e per giunta anche il Tribunale ebbe le mani legate a quattro casi, inviando poi sovente il potere esecutivo in convento che se ne avvalesse! Naturalmente la quantità delle nubili crebbe a dismisura, malgrado il circa pari numero dei due sessi, naturalmente le sedotte abbandonate, i figli di nessuno, gli aborti si moltiplicarono all’infinito; perché l’uomo era diventato autorizzato a sposarsi, non quando di fatto si sposava, ma quando credeva, come credeva, se credeva: intanto poteva e può godere quante donne è capace, avere quanti figli gli piaccia, rimanendo sempre immune da responsabilità, e poi vecchio e cadente impalmare una adolescente delle più floride: e la percentuale dei matrimoni male assortiti divenne uno scandalo ininterrotto.
Se una parte della legislazione Costantiniana-Giustiniana è restata sepolta nel fango e nelle tenebre dell’età di mezzo tra la romana e l’attuale, la parte concernente la Santa Inquisizione, i cui bagliori si riverberano appena nell’indice del Vaticano e nella censura del governo, viceversa la parte famigliare di quella legislazione Catholica sopravvive invariata nei codici statali delle nazioni latine, salvo qualcuna per qualche legge: come la Francia pel divorzio, non per il resto dei diritti famigliari.
La vergine e la sposa del milionario sono schiave della falsa morale e del codice cattolico, come la vergine e la sposa del bracciante. Il Dio fatto uomo accomuna nella infelicità ricchi e poveri, e fa procreare nella schiavitù degli uteri quegli uomini che non sanno governare, nè all’interno, nè all’estero.
Le statistiche ufficiali indicano a quante centinaia di milioni, a quanti miliardi, tirando le somme del vecchio e del nuovo mondo, ammontino le vittime martirizzate dalle leggi cristiane, da Costantino il Pio e da Giustiniano ad oggi. Invariabilmente! (3)
Purtroppo i preti cattolici, a differenza dei protestanti, sono allevati nei seminari e nelle scuole ecclesiastiche fin dalla più tenera infanzia, e vi apprendono non solo la teologia, ma l’intera istruzione, ben sofisticata: così essi hanno alterati il cuore e la mente e divengono incapaci, come i loro istruttori, di ragionare e di sentire, e continuano a tramandare nei futuri preti i vecchi principii canonici, che verranno poi proiettati nelle legislazioni civili. Invece il clero protestante segue di solito le scuole comuni laiche, e, dopo laureato, frequenta un corso annuale di teologia. Sarebbe utile che lo Stato costringesse il clero cattolico a istruirsi allo stesso modo, proibendogli l’entrata nei seminarii qualora non fosse già diplomato in una scuola laica, qualora non fosse di età maggiorenne, qualora non fosse già ‘coniugato, alla pari dei preti cattolici marroniti e greci unificati, figli diletti del Vaticano. Lo Stato del pari dovrebbe proibire i conventi, trasformandone gli immobili in case della maternità, degli orfani, dei derelitti, e adibendovi le monache e i monaci attuali, vietandone le nuove ordinazioni. Finalmente dovrebbe proibire la confessione e la estrema unzione. Se le poche riforme anticattoliche, quali quelle di Cavour, di Bismark, di Combe svanirono, si deve alla mancata emancipazione femminile, cioè al mancato ritorno delle leggi famigliari al diritto romano classico: nelle sofferenze volute dalla legge atroce attuale, la donna rimane il perno non della religione, ma del clericalesimo. Solo la riforma della legge famigliare guarirà d’incanto la politica cattolica fra la stessa maggioranza dei credenti, e colmerà l’abisso che separa le due politiche teocratiche delle branche principali del Cristianesimo.
Perfino tra i più fedeli al Papato l’etica naturale ebbe i suoi difensori ardenti contro gli insegnamenti morbosi e degeneri. Fra i pensatori cattolici poderosi, i quali ebbero la ventura di non sortire il,rogo dei molti Giordano Bruno, nè il carcere dei molti Galileo Galilei, uno del sedicesimo secolo merita un rilievo particolare.
San Tomaso Moro, l’oriundo di Venezia come ha dimostrato Padre Domenico Regi nella biografia del 1681 divenuto Primo Ministro d’Inghilterra, decapitato per la sua dedi­zione inflessibile alla Santa Sede da Enrico VIII, e canonizzato nella Città del Vaticano il 19 maggio 1935, fra la massima pompa, presenti ventimila fedeli, tra cui ottomila pellegrini britannici in maggioranza protestanti, e a lato principi reali e diplomatici del mondo intero, segnò nel 1516, un lustro avanti l’apparire degli Anabattisti, e un anno prima di Lutero, l’inizio del ritorno alle profonde concezioni di Platone, molto ampliato poco dopo da Frà Tommaso Campanella di Calabria, anche pei concetti sui perfetti rapporti amorosi fra i sessi, e non limitatamente per l’idea filo-comunista, come fa la Chiesa Cattolica.
Tommaso Moro, ora riconosciuto Santo, fu sempre difeso dai Cattolici e ritenuto uno dei seguaci più ortodossi. Il Santo resta inscindibile dall’opera Sua l’Utopia, che egli non rinnegò giammai, Nè certo si è canonizzato l’autore per anatemizzare il libro del Santo umanista, col quale tentò fra i primi il ritorno, sia pure parziale e non esteso quanto quello del suo successore Frà Tommaso Campanella, alle profonde concezioni platoniche. Infatti i cattolici d’oggi, specialmente all’estero, hanno messo in rilievo il paralellismo tra alcune idee dell’Utopia a tendenza comunista e la dottrina sociale della Chiesa Apostolica Romana, quale affermata nella Enciclica Rerum novarum di Leone XIII, e nella Enciclica Quadragesimo Anno di Pio XI: vedasi tra gli altri, Padre Grunehaum Ballin nella prefazione da lui premessa alla più recente traduzione francese dell’Utopia, edita da Albin Michel nel 1934. Ora, se il libro è ammesso, ogni sua parte rimane accoglibile, se non accolta.
L’Utopia fra grande ricchezza di temi, e basti ricordare le pagine sulla politica internazionale dell’Inghilterra nel Se­colo XVI, sempre invariabile, e perciò viva pittura di quanto eseguirà anche quattro secoli più tardi alla pace del 1919, affronta il nodo gordiano dell’assurdità matrimoniale cristiana, non mantenuta dalla Riforma: la pretesa di vigilare lo scioglimento del matrimonio coi suoi motivi in ogni caso, senza la pretesa di vigilare la conclusione del matrimonio, come ad esempio facevano gli Incas nella loro logica e ammirevole legislazione matrimoniale, monumento eccelso di sapienza umaima (4). Tommaso Moro affronta la pretesa cattolica nel modo classico, come Platone colpisce alcune leggi greche, e sostiene la reciproca nudità visiva pei fidanzati prima che pronuncino il « sì » fatale, nel capitolo Degli Schiavi (Edizione Daelli, del 1843):
« Nell’eleggere le mogli (gli Utopisti) tengono un modo a mio parere ridicolo, ma riputato da loro prudentissimo. Una onesta matrona mostra la vergine, o vedova che sia, nuda allo sposo; e parimenti un uomo di gravità mostra il giovane nudo alla giovinetta. E biasimando io questo costume come inetto, essi all’incontro risposero che si meravigliavano assai  della pazzia delle altre genti, le quali nel comperare un cavallo, ove si tratti di pochi denari, vanno tanto cautamente a che lo vogliono vedere senza sella, acciocehè .sotto quella non avesse qualche piaga, e in elegger la moglie, la quale può dare o sollazzo o dispiacere mentre che dura la vita, sono tanto negligenti che si contentano di vedere la donna quasi  tutta coperta, anzi di non vederne che il volto: e tuttavia potrebbe essa nascondere qualche difetto... pel quale non a mai si vorrebbe averla presa... e veramente tale bruttura potrebbe nascondere sotto gli abiti, che la moglie sempre fosse  odiosa al marito: ed a questo si debba provvedere con leggi prima che segua l’inganno, quando essi soli (gli Utopisti)  di tutte quelle nazioni sono contenti di una sola moglie, né  si scioglie il matrimonio se non per l’adulterio, o per altre  intollerabili molestie».
Cioè per i casi indicati da Cristo nel Vangelo di San Matteo; tuttavia limite nefasto, se giuridicamente imposto, alla selezione sessuale e all’automatico principio di popolazione. Naturalmente la stessa osservazione di San Tommaso Moro a favore del marito si deve intendere e ripetere a favore della moglie di fronte ai difetti dello sposo, il quale per giunta dovrebbe essere l’unico uomo che la vergine accosta nella sua vita amorosa.
San Tommaso Moro accenna ad altri principii umanistici, quali il libero esercizio per il gentil sesso di tutte le professioni, la sacerdotale compresa: ed in genere egli si rifà sovente a Platone e alla miglior letteratura classica dei Greci e dei Romani, dei cui testi egli riempie la biblioteca degli Utopisti.

Alla nudità dei fidanzati corrisponde la moralità intera concepita dal Santo per l’amore, nel capitolo Pellegrinaggi degli Utopisti:

« Essi definiscono la virtù: vivere secondo natura. a Dio non ci ha dato altro destino... Ma sprezzare la bellezza,  diminuire le forze, mutare la destrezza in pigrizia, estenuare a con digiuni il corpo, fare ingiuria alla sanità, e rifiutare gli a altri sollazzi della natura a noi concessi, se non fosse per  giovare alla Repubblica, reputano una sciocchezza, e che a questo nasca da un animo crudele e ingrato alla natura, i  cui benefici rifiuta, come sdegnandosi di essergliene debitore,  e specialmente facendosi questo per una vana ombra di virtù,  ovvero per sopportare con minor dispiacere le avversità, le quali forse mai non verranno. Questo è il loro parere circa  la virtù e la voluttà; e se Dio non ne ispira ad essi un migliore, credono che non se ne trovi altro più saggio ».
Un altro grande campione umanista della Chiesa Romana, salvato dalla stessa, e meritevole del più alto elogio anche da parte dei credenti, fu un frate domenicano della seconda metà del secolo di San Tommaso Moro: Padre Tommaso Campanella, di Calabria, Egli, per le sue idee umaniste, fu dal Re di Spagna incarcerato, torturato e segregato per oltre venticinque anni: in sua difesa intervenne energicamente papa Urbano VIII, che ne ottenne la liberazione, e frate Campanella, dopo un breve soggiorno contrastato a Roma, riparò in Francia, dove fu grandemente onorato per il resto della sua, vita da Luigi XIII.
Fra Campanella seguì Platone più in là di San Moro verso la buona generazione, nei suoi due libri più celebri « La Città del Sole » e « Questioni sull’ottima Repubblica, ossia sulla città del Sole ».
Il Governo, della Città del Sole è immaginato in un triunvirato della Potenza, Sapienza ed Amore, al quale ultimo (p. 98 dell’edizione Daelli):
« spetta quanto riguarda la generazione. Principale suo scopo è dunque che l’unione amorosa accada tra individui talmente organizzati clic possano produrre una eccellente prole, e si fanno beffe di noi, che affaticandoci pel miglioramènto delle razze dei cani e dei cavalli, totalmente trasandiamo quella degli uomini ».
La nudità dei fidanzati è così difesa dal Frate umanista (p. 108);
« Siccome poi essi al costume degli antichi Spartani. tanto maschi che femmine, mostransi nudi negli esercizi ginnastici, così i precettori hanno mezzo di scoprire non solo  quali siano abili, e quali inetti alla generazione; ma eziandio possono determinare l’uomo che più conviene ad una data donna, secondo le rispettive proporzioni corporali... Laonde devesi adoperare ogni diligenza nel ministerio della generazione e riflettere ai vari meriti naturali, non alle doti od alle nobiltà fittizie e di menzognera specie. Se una donna non viene fecondata dall’uomo destinatole, è confidata ad altri... La maggior parte d’essi essendo nati sotto, la medesima costellazione, riescono consimili ai contemporanei per virtù, per costumi e per fattezze, e ciò è causa di una durevole  concordia, d’un reciproco amore e d’una vicendevole sollecitudine di aiutarsi l’un l’altro  ».
Anche il vestiario è curato avvedutamente da Padre Campanella, per evitare le confricagioni pericolose alla castità, provocanti il vizio praticato da Onan nella Sacra Bibbia, ed altri ancora: (5) il buon Frate descrive (p. 107): « Riguardo al vestito essi portano sulle carni una camicia bianca... lateralmente aperta in alto e al basso delle gambe, e nel mezzo dell’ombellico alle natiche fra le estremità delle coscie; gli orli delle fessure anteriori vengono chiusi da bottoni sporgenti  al fuori; e dai lati da lacci... E tanto ben fatte sono queste vesti, che... tu discerni chiaramente e senza timore d’ingannarti le ben proporzionate parti di tutta la persona ».
Tutte le idee platoniche sulla comunione delle donne e dei figli, con esclusione quindi di abbandonate e di derelitte, di illegittime o di illegittimi, sono difese ripetutamente da Campanella, il quale osserva pure, come fece Aristotile e come farà, più tardi il protestante Malthus, che (p. 170) « la confusione dei semi frena il concepimento ».
L’altro libro di Campanella, le Questioni, ha una parte molto interessante, di erudizione immensa, rigorosamente esatta, di valore reale: lo studio dei vani testi sacri e degli scritti c discorsi appartenenti ai reverendi Padri, Papi, Santi, che si manifestarono favorevoli a Platone nei rapporti, sessuali e nei diritti femminili. Costoro tutti sono ignorati da un pezzo dal  Vaticano
Moro e Campanella si sono ispirati molto giustamente a Platone, di cui hanno riprodotte quasi le stesse parole, e non solo i pensieri, il che si vedrà esattamente al capitolo XII, dai brani riportati dell’immortale filosofo greco, precedente Cristo di quasi un mezzo millennio, ma di lui incomparabilmente più « cristiano »., nel significato volgare ed infondato dell’aggettivo, di più umano: giacchè egli non mischiò giammai la credenza in una divinità e in un’anima colle feroci superstizioni catto­liche. Del pari i grandi Romani, seguaci della metafisica, ricor­dati da Cicerone nel De Amicitia, e precedenti Gesù.
Un grande contemporaneo di Moro e di Campanella fu di loro più fortunato e più utile al genere umano: il compatriota di Savigny e di Goethe, il frate agostiniano sfuggito sempre alla mannaia e alla pira, il Capo della Riforma, il benefattore dell’umanità, oltre che della sua patria, non già perchè ha negata la confessione, il culto dei Santi, il Purgatorio, la transubstatazione, quindi la messa e la comunione sotto una sola specie, i sacramenti eccetto due, eccetto la comunione sotto la duplice specie ed eccetto il battesimo, invero non troppo con­ciliabile col matrimonio protestante; ma perchè ha abolito il celibato dei preti, i conventi, i beni temporali del clero, i comandamenti della Chiesa, sostituendovi un proprio catechismo, perché di riflesso ha rigenerato le leggi civili, salvate le classi intellettuali e dirigenti della sua patria, emancipate dalle aberrazioni teocratiche cattoliche, che ancora oggi rovinano le nazioni latine: egli, senza aver lasciato mai l’abito talare, sposò la monaca Caterina di Bora, avendone parecchi figli, e fu padre amoroso alla pari di Maometto.
Lutero aveva una delle doti principali per essere un realizzatore, dote essenzialmente politica, che mancava a Moro e a Campanella, forse anche per le diverse circostanze delle rispettive vite: Lutero aveva una grande oratoria adatta alle, masse, e aveva la protezione dei principi tedeschi. Moro e Campanella, poi, si fermarono alla speculazione intellettuale, senza innestarla alla riforma religiosa.
La loro nudità limitata ai fidanzati, a differenza di Platone, fa scandalo? Per pensarlo, bisogna restare ciechi di fronte alla realtà. L’amore e la procreazione sono regolati dagli Stati moderni nel peggior modo offerto dalla storia, per tre ordini di motivi: per una moralità falsa, anzi vera aberrazione; per una legislazione barbara nella conclusione e nello scioglimento del matrimonio; per la mancanza di pensioni nazionali a favore delle donne e dei figli poveri là, dove la donna non trova lavoro adeguato e là, dove le finanze dell’uomo non consentono il mantenimento di più di una famiglia, pluralità poligamica esistente sovente di fatto o pel divorzio o per la illegittimità. Le statistiche ufficiali del mondo intero parlano qui un linguaggio freddamente atro. I numeri elencano una lunga serie di scempi spaventosi nel sesso femminile e quindi nella prole. Basti citare qualche esempio ditali piaghe sociali. Ogni anno, la differenza dell’età tra i coniugi somma a più decine di migliaia di spose vincolate per la vita a mariti più vecchi di loro di trenta di quaranta e di cinquanta anni! Ogni anno de­cine di migliaia di figli illegittimi sono colpiti da una mortalità e da una delinquenza superiori a quella dei legittimi, e. la serie potrebbe continuare molto a lungo.
La nudità dei fidanzati non correggerebbe certo totalmente talune statistiche, ma indubbiamente concorrerebbe a ridurle. Una prova si ha negli Stati Uniti d’America, dove alla mancanza della nudità dei fidanzati sopperisce la grande facilità dei divorzi, la maggiore facilità concessa nel mondo moderno.

Le statistiche americane insegnano tre cose: che il novanta per cento in media dei divorzi avviene dopo la prima notte di matrimonio, cioè appunto dopo che i fidanzati, trasformandosi in sposi si sono visti, e non soltanto visti, ignudi; avviene fra coniugi privi dì figli; avviene per mutuo consenso, cioè senza bisogno che il Tribunale abbia ad investigare e a sentenziare sui motivi per cui due esseri non intendono più vivere matrimonialmente insieme. Il tutto come dimostrato nelle accurate statistiche mondiali ufficiali raccolte nel libro Le Leggi del libero amore.
Moro e Campanella nulla ottenero dal Vaticano. In luogo della nudità dei fidanzati, il Vaticano impone alle donne di non entrare in Chiesa, se hanno le braccia scoperte, come si legge affisso sul portone tetro di San Pietro. E sovente urla strida per i vestiari succinti o consimili. Ancora, dopo ormai molti anni, perdura la eco del suo fracasso per le Najadi ignude della bella fontana in Piazza dell’Esedra a Roma, é per i cenci bronzei che volle apposti a mo’ di foglia di fico fra le ben modellate forme./
Non si sa se nel mondo moderno si potrà avere una legge che obblighi i fidanzati a vedersi nudi prima che l’ufficiale pubblico registri il matrimonio, come avrebbero voluto e Tommaso Moro di Venezia, canonizzato l’anno 1935, e Tommaso Campanella di Calabria, domenicano liberato da Papa Urbano VIII. Ma diverrebbe certo realtà consuetudinaria, se ai balli, alle palestre, ai teatri, alle spiagge, se ovunque le Questure mondiali non ricevessero più l’ordine ridicolo da sacrestia di violare oltre l’istinto del pubblico, il quale anche qui ha l’intuito della verità naturale e dell’utilità sociale; la moda da un pezzo avrebbe agito da sè! la nudità impererebbe!

Non appena nell’ambito politico, dove il Protestantesimo sarebbe la guida più adatta per una riforma, ma anche nel­l’ambito prettamente religioso il Cattolicesimo ha ferventi fedeli e puri Sacerdoti che appassionatamente sentono la necessità di una evoluzione, presi dal contrasto tra la loro psiche sinceramente credente e il loro cervello compartecipe alla scienza moderna. Ma il Vaticano si è opposto anche qui alla evoluzione, in due modi: sia perseguitando direttamente i riformatori, sia creando una scienza canonica, specialmente giuridica, la quale tenta a torcere la scienza vera, nell’Accademia Vaticana, nelle Università Cattoliche, in ogni scuola o in ogni cattedra clericali.
Sopratutto è stato perseguitato un parziale riflesso dell’Umanesimo, il Modernismo cui tanto si è dedicato il meritevole Reverendo Ernesto Bonaiuti: le pagine dell’ultimo suo libro Il Modernismo Cattolico (Ugo Guanda Editore, 1943) commuovono per la descrizione delle amarezze sentimentali di tanti giovani preti.
Sicché credenti più forti sono giunti alla conclusione che una Chiesa come la Cattolica, la quale accomunava peccati su peccati contro l’Umanità intera da secoli e da millenni, andasse senz’altro distrutta proprio nel suo credo. Così Giuseppe Mazzini. Egli, partendo dalla osservazione elementare dell’infinita varietà delle religioni attraverso il tempo e attraverso lo spazio terrestre, varietà che indica evidentemente la fallacia e la falsità di ciascuno, fra le quali il Cristianesimo resta tra le meno profonde e le meno elevate, assurge a grande visione credente, la quale sotto un certo aspetto rende i credi tutti veri, perchè tutti spirituali, e forse potrebbe trovare riscontro nella realtà scientifica che materia e forza sono la medesima essenza, e che nulla si distrugge come nulla si crea.
L’immortale Genovese si esprime così: (6) « Lo sviluppo dell’idea religiosa è infinitamente progressivo: la Storia ci dimostra le religioni transitorie tutte, la Religione eterna.  Le forme si modificano e si dissolvono. Le religioni si estinguono. Lo spirito umano le abbandona, come il viaggiatore abbandona i fuochi che lo scaldarono di, notte e cerca altri soli. Ma la religione rimane: il pensiero è immortale, sopravvive alle forme e rinasce dalle proprie ceneri ».
Storicamente finora è stato così, ma col progredire della scienza è probabile che lo spirito religioso sia un fenomeno destinato a sparire nelle masse, come negli individui più colti, per credere appena la realtà scientifica, forse diversa da come se la figurano oggi le diatribe degli spiritualisti contro i positivisti.. Comunque la religione spogliata dal clericalesimo, non può nuocere, anzi può giovare agli spiriti deboli, timorosi della propria morte o affranti dalla perdita dei propri cari, E il Clero della campagna specialmente, in gran parte buono, idea­lista, come molti religiosi sinceri, può per un certo tempo ancora giovare nella carità e nella educazione, quando gli siano impediti i motivi, di diventare nocivo per gli attuali ordinamenti cattolici.
Mazzini continua:
« Dio è Dio, e il Popolo è il suo profeta che manifesta la « legge di Luii ».. « L’umanità è il verbo vivente di Dio, lo  spirito di Dio la feconda e si manifesta sempre più puro, ‘sempre più attivo di epoca in epoca, in essa... Dio si incarna  successivamente nella umanità». —‘ « Crediamo che qualunque si arrogà di concentrare in sè la rivelazione e piantarsi intermediario tra Dio e’ gli uomini, bestemmia ». « Se io  sono, come credo, nel vero, l’epoca cristiana è conclusa ». « Il vecchio Cattolicesimo e morente lasciate che ci si agiti nell’agonia». « La condanna del Papato non viene da noi, ma  da Dio: da Dio che chiama il popolo a sorgere e a fondare la  nuova Unità nelle sue sfere dei dominio spirituale e temporale ». —~ « Il Papato deve perire.., perché ha falsato la propria missione... ha ucciso là fede sotto il materialismo.., ha soffocato l’amore in un mare di sangue ha preteso di  schiacciare la liberta e sarà schiacciato da essa ».
La profezia giusta e sensata del credente Mazzini non ha, potuto ancora verificarsi per la mancata emancipazione della donna: le sofferenze della schiavitù non permettono la critica e la evoluzione dei’. cristiani.. Ma Mazzini, come il suo coetaneo Garibaldi, ebbe il culto.divino della donna e lasciò scritto:  «L’angelo della famiglia è la donna; Madre, sposa, sorella, la donna è la carezza della vita, la soavità dell’affetto diffusa  nelle fatiche, un riflesso sull’individuo della Provvidenza  amorevole, che veglia sulla umanità... Le sole gioie pure e  non miste di tristezza che sia dato all’uomo di godere sulla  terra, sono, mercè quell’Angelo le gioie della famiglia. Non a tenete in poco conto..».
Il         libretto I Doveri degli Uomini dovrebbe essere la Bibbia della moderna umanità!
***
Un terzo grande coetaneo di Mazzini, anche lui grande fondatore della unità d’Italia, Cavour, il vero uomo di Stato, il realizzatore, dotato anche di intuizione giuridica, sebbene non uscito come Mazzini da una Università del Diritto, ma da una Accademia Militare quale cadetto, gettò le basi nel suo principio « libera Chiesa in libero Stato » di una graduale riforma ecclesiastica. I suoi discorsi su questo argomento, restano monumenti di oratoria e di pensiero, e non per nulla si è sospet­ta[o il veleno gesuita nella sua immatura morte nel 1861, all’apice della gloria, a soli 51 anni. L’Antica Destra, più liberale e più colta di tutte le Sinistre Italiane, continuò l’opera sua in un complesso ammirevole di legislazione ecclesiastica, liquidando l’asse ecclesiastico e sopprimendo gli Ordini e le Congregazioni religiose. Noti solo quei testi dileggi, ma le discussioni parlamentari di quegli anni, nei resoconti ufficiali fino al 1873 per quasi un decennio, devono essere indicati alle nuove generazioni, perché imparino che sia la sapienza della evoluzione politica. I riflessi importanti si ebbèro anche nel Codice Civile del 1865, purtroppo abrogato, anziché ritoccato unicamente nei Diritti di Famiglia, e non già nei soppressi divieti della ricostituita manomorta. Quelle saggie riforme dei creaori del Risorgimento andarono distrutte dall’avvento delle Sinistre, perchè i patteggiamenti elettorali a voto più esteso colle masse cattoliche ciò richiesero: se invece si fosse andati più lenti nell’allargare il suffragio a elettori ancora troppo arretrati, come fece l’Inghilterra, pur madre della democrazia, e se non si fosse mercanteggiato ma imposto il ritiro del non  expedit Vaticano col rendere il voto non solo un diritto ma un dovere, cioè obbligatorio, si sarebbe salvata e non spenta la riscossa laica. Ora occorreranno contro il potere temporale del clero cattolico riforme molto più radicali e drastiche, per impedire una buona volta per sempre il suo risorgere e la sua invadenza teocratici nella politica di tutti gli Stati, ma specialmente dei latini. .
***
Poichè il teologo ha invaso il diritto, è giusto e necessario che il giurista entri nei canoni colla sua fredda critica scientifica. E vagli se sia o meno utile distruggere il Cristianesimo, e  specie il Cattolicesimo, in Europa e nelle Due Americhe, per studiare non già se risultasse una religione falsa ed assurda, ma soltanto se pericolosa e nociva al genere umano.
Il Catechismo Cattolico va semplicemente riassunto, senza disamina e senza raffronti col Protestante, il tema esulando completamente dal diritto. Pur tuttavia la sua esposizione farà riflettere se tale insegnamento possa mantenersi nelle scuole pubbliche, e se debba essere consentito anche nelle private ai minorenni, secondo paia o meno che le tenere menti possano essere ottenebrate quando non sono ancora sufficientemente sviluppate.
Il testo della Dottrina Cristiana adottato da Sua Santità Pio XI, sul quale sono stati modellati i manuali italiani di religione per le scuole elementari, per le scuole tecniche, per le scuole superiori, ginnasii e licei, è « conforme ai vigenti programmi Ministeriali dell’Italia Fascista » come si assevera sulla copertina: l’acquisto obbligatorio per tanti scolari risulta senza dubbio ben redditizio economicamente, se non didatticamente. Ed anche spiritualmente: a coloro che insegnano e a coloro che studiano la Dottrina Cristiana vengono concesse indulgenze varie: da cento giorni a sette anni di Purgatorio, gradualmente, secondo gli ordini terrestri-celesti di Papa Paolo V col Breve 6 ottobre 1607, di Papa Clemente XII col Breve 16 maggio 1736, di Papa Pio IX col Rescritto della Santa Congregazione delle Indulgenze 18 luglio 1877. Sempre per la diffusione del Cate­chismo, già le Lettere Encicliche Acerbo nimis propugnavano la necessità di impartirne l’insegnamento nelle scuole pubbliche: la costante ricerca cattolica del braccio secolare, dell’unione dell’Altare al Trono, dimostra più che all’evidenza, da Co­stantino il Pio in poi, come la Chiesa non ritenga evidentemente di riuscire a farsi credere nè ad imporsi colla persuasione.
Sono dunque da imparare anche nelle scuole pubbliche, fin dalla più tenera infanzia: il Segno della Croce, il Credo, il Pater Noster, l’Ave Maria, il Salve Regina, l’Angele Dei e il Requiem, gli Atti di Speranza, di Carità, di Dolore, i due Mi­steri Principali della Chiesa, cioè l’Unità e Trinità di Dio e la sua incarnazione passione e morte, i due Comandamenti della Carità, il Decalogo, i cinque Precetti Generali della Chiesa, i sette Sacramenti, i sette Doni dello Spirito Santo, le Tre Virtù Teologali, le quattro Virtù Cardinali, le quattordici Opere di Misericordia, delle quali metà corporali e metà spirituali, i sette Vizii Capitali, i dieci Peccati, di cui sei contro lo Spirito Santo e il resto contro Dio, i quattro Novissimi.
Deve sapersi dagli scolari come scienza: creazione biblica del mondo e dell’uomo tanto diverse dalla realtà! --- caduta dell’uomo e promessa del Salvatore, corruzione e diluvio, popolo eletto fisima non particolare agli Israeliti schiavitù d’Egitto, liberazione di Mosè, ebrei nel deserto, legge, Giosuè, terra promessa, giudici, re, Davide. Salomone, il Tempio, il Regno di Giuda, la cattività di Babilonia,, il ritorno, il nuovo Tempio, i Profeti, le profezie avverate, vita predicazione morte risurrezione ascensione al. cielo di Gesù ‘Cristo, discesa dello Spirito Santo, apoteosi della Chiesa Cristiana.
La funzione passiva resta assegnata al fedele, l’attiva al sacerdote.
Il carattere di Ministro di Dio viene imposto dal Sacramento dell’Ordine per mezzo del Vescovo, il quale sommini­stra all’investito lo Spirito Santo e insieme la potestà sul corpo reale di Dio fatto Uomo, quindi di renderLo di nuovo presente nell’Eucarestia, nonché il potere di governare gli uomini, per condurli alla santità e alla vita beata.
Il fedele, per ottenere la grazia divina, deve sovvenire il prete e la Chiesa il più lautamente possibile; ubbidire loro ciecamente; osservare i Sacramenti, tra cui l’odiosissimo della indissolubilità; e quotidianamente pregare pregare siccome insegna il Vangelo: « In verità, in verità Vi dico: quanto domanderete al Padre in nome mio, ve lo concederà». (San Giovanni, XVI, 23). Dunque: pregando verrà conceduto tutto, senz’altro, nè fatica, nè lavoro, perchè Dio fattosi Uomo ha ciò promesso e Dio mantiene le sue promesse: quando non si ottiene la richiesta, dipende sia dal non saper pregare col debito fervore, sia dal richiedere cose non utili al vero bene, vale a dire al bene spirituale. Nel pregare giova assai il ripetere continuamente le stesse litanie: no, non c’è pericolo di offendere Dio quasi ritenendolo sordo oppure distratto, nè c’è timore di tediarlo fino alla noia, nemmeno nelle molteplici ed elevatissime sue occupazioni per’ regolare ognora l’universo intero e annotare i peccati di tutti i viventi: e il credente con tali ripetizioni, talvolta pure somministrate quali pene dal confessore, sviluppa eccelsamente le proprie facoltà mentali. Di più’ ancora, ogni qual volta la persona pia recita il salmo 129, ottiene per le anime del Purgatorio una indulgenza di cinquanta giorni, se recita alla luce del Sole, e il doppio se al fioco tremolio ammaliatore delle Stelle: cento giorni per ogni ripetizione del salmo in onore di Maria Santissima: cinque anni ed altrettante quarantene, quante volte ripete in comune i misteri del Santo Rosario, purché abbia una corona in mano: trecento giorni di indulgenza per ciascuna litania alla Beata Vergine, Sancta  Dei Genitrix, Sancta Virgo Virginum, Mater inviolata, Virgo Fidelis Spaeculum Justitiae, Vas Spiritualis, Vas Honorabilis, Vas Insiqnae Devotionis, etc. etc.
Dopo la preghiera, uno dei Sacramenti più propizii per ottenere, la Grazia Divina, e da ripetersi al possibile, si è l’esercizio della Confessione, la quale rimette i peccati commessi dopo il Battesimo, mentre questo lava appena il peccato originale, non commesso dall’attuale penitente, ma da Adamo ed Eva allorché compirono assieme l’atto immondo della procreazione, creata ma non voluta da Dio, peccato originale trasmesso perciò alle generazioni innocenti successive. Il fedele e la fedele deggiono accusare i propri peccati mortali pienamente, senza giammai lasciarsi sopraffare e vincere da una falsa vergogna, a tacerne alcuno, anche dei più intimi e voluttuosi, deggiono dichiararne la specie il numero le circostanze più particolari. La fedele in ispecial modo, sia pur bella fragrante ignara vergine, sia pur avvenente sposa, sia pur giovane vedova procace, vinca, vinca il rossore, non esiti, si confidi al confessore maschio, non ne avverta l’eventuale digiuno sessuale, nè lo tema, non già soltanto perché egli è obbligato al silenzio, e perché egli è dotato e fornito della facoltà di assoluzione, ma perchè ella, nella persona intermediaria del ministro di Dio, ella si confessa, direttamente a Gesù Cristo, il quale sta lì ad ascoltare, tutto, sebbene onnisciente.
Il Sacramento della Estrema Unzione, continua il Catechismo, avvantaggia il paziente non soltanto come sollievo spirituale, ma eziandio come vera e propria medicina corporale. S’e tal fiata’ spaventa orrendamente l’ammalato, come avvenne ad una madre ignara di lasciare i suoi tre pargoletti, dolcemente assopita, ma resa edotta della morte incombente dal pio marito per tramite del Sacerdote, cambiando in, disperazione spasmodica la serenità della morente, questo strazio atroce giova alla salvezza dell’anima!, Quando la religione giunge a queste aberrazioni superstiziose, non si dimostra certo un antidoto ma un fomite del male. E giova quanto la tisi acquisita dalle recluse nella Clausura! Invece non nuoce per le disposizioni testamentarie a favore della Chiesa, dettate sotto l’incubo della paura. La legge non dovrebbe’ tollerare oltre neanche simili riti: nessuno contrario alla natura e al bene privato o pubblico.
Da quasi due millenni il calendario è costellato di feste cristiane. Notevoli: la Circoncisione o taglio ebraico della carne posta a mobile copertura del prepuzio sul membro virile di­vino; il Corpus Domini o pasto composto col corpo del Signore e ammannito al fedele nella Comunione, al prete nella Messa; le Pentecoste o effusione dello Spirito Santo non più nel grembo di Maria Vergine per fecondarLa di Gesù, ma nel seno della Chiesa per dotarla di ogni benedizione celeste e renderla arbitra su Angeli e su Demonii, massimamente sugli Angeli Custodi dei truffatori degli assassini dei lenoni e di simili genìe. Tutti costoro sono puri Spiriti. Dio anzi è purissimo Spirito. Ma di che sono composti gli Spiriti? Il Catechismo non spiega. Bisogna allora ricorrere alla scienza, la quale insegna che nell’universo non esiste che la forza, increabile come indistruttibile: la forza talvolta si trasforma in materia, si coagula per così dire, e la materia si presenta in varie condizioni: allo stato etereo, gasiforme, liquido, solido. In ogni caso la forza come la materia è sottoposta alle leggi della fisica, della chimica, della bilologia, e così via. Di conseguenza noi siamo parte della forza o materia universali, sempre le stesse ovunque nella terra o nel cielo, siamo parte coll’intelligenza e coi sentimenti com­presi. Del pari gli Spiriti, puri purissimi o impuri, sono forza-materia, che è la stessa cosa, e allora sono sottoposti tal quale a tutti i viventi alle leggi generali, oppure non sono nulla, non esistono. Tanto nel primo quanto nel secondo caso, il prete a che serve? Perchè occorre un intermediario tra gli umani e il Purissimo Spirito? Ragionamenti dilemmi domande, superflue, perfettamente oziose: il Catechismo insegna alla scuola che si deve credere sulla autorità di Dio ciò che Egli ha rivelato nella Sacra Scrittura e nelle Tradizioni: petizione di principio poco adatto ad abituare gli scolari alla logica: credere alla rivelazione di Dio, quando manca la prova della sua esistenza, e quindi della sua rivelazione, è dare per dimostrato quanto resta a dimostrare. Il Salvatore, dalla sua apparizione sulla terra, la ha coperta da un diluvio di sangue fino al 1914 e fino al 1939, e ha affogata la civiltà pagana, di una superiorità schiacciante sulla Bibbia.
Europei ed Americani non dovrebbero arrossire di conservare tuttavia la scelta, tra tante religioni, del Cristianesimo, sopratutto del . Cattolicesimo? Perché non sostituirvi il Maomettanesimo? o meglio la dolce fede cinese, la quale venera ancora, come ai primordi di molti credi, la memoria degli antenati e delle persone migliori, la quale ha per ministri di Dio non il clero ma il padre o la madre? e si officia non in Chiesa ma in ogni famiglia? E che dire dei popoli non redenti duemila anni fa dal Salvatore, perché non ancora scoperti da Cristoforo Colombo o da qualche altro navigatore? Per la stessa ragione è da temersi che non sieno stati redenti gli esseri che popolano gli altri pianeti simili alla Terra, astri che si formano, si sviluppano, si dissolvono, per risorgere nell’eternità dell’infinito.


Note:
1 – Giorgio Quartara, La futura Pace, capitolo XVII, Fratelli Bocca Editori, 1942.
2 – Giorgio Quartara, Le leggi del libero Amore, capitoli LXV a LXVIII, Fratelli Bocca editori, 1928.
3 – Giorgio Quartara, Le leggi del libero Amore, Libro II per intiero,  Fratelli Bocca editori, 1928.
4 – Giorgio Quartara, Un viaggio nel Sud-America, capitolo XVII, Fratelli Bocca Editori.
5 – Giorgio Quartara, Le leggi del libero Amore, Capitolo XL,  Fratelli Bocca editori, 1928.
6 – Scritti editi e inediti di Giuseppe Mazzini – Milano e Roma, G. Daelli, 1861, 1891, in 18 volumi. I brani sono riportati dalla bella sintesi che ne fa ‘La civiltà cattolica’, fascicolo del 18 marzo 1944.

la dottrina diabolica

Il Ghibellino: la dottrina diabolica:

Brenda Maddox
La dottrina diabolica
Il controllo delle nascite secondo Wojtyla
Eleuthera,  1992

Dalla quarta di copertina:
Brenda Maddox, scrittrice e giornalista americana che da molti anni vive e
lavora in Gran Bretagna è un’agnostica che però conserva evidenti e dichiarate
radici culturali cattoliche. Il che dà un sapore particolare a questo vigoroso
attacco alla dottrina vaticana sul controllo delle nascite, dottrina
tradizionale ma riaffermatasi in modo radicale con il papato di Wojtyla. Una
dottrina sostanzialmente sessuofobica ed antifemminile clic vorrebbe ricondurre
il sesso a puro strumento di riproduzione e la maternità a punizione della
satanica sessualità femminile. Una dottrina che non è semplicemente
reazionaria. ma che diventa schiettamente assurda, anzi «diabolica» (per le
sofferenze che infligge) quando viene applicata alla drammatica dinamica
demografica del Terzo Mondo e all’emergenza AIDS. quando cioè Wojtyla propone
l’alternativa «sesso senza protezione» (non protetto rispetto alla riproduzione
ma anche al contagio) oppure astinenza. Pura follia. Come dice e argomenta la
Maddox in questo libello scritto nello stile indignato e appassionato della
gloriosa tradizione del pamphleteering anglosassone.

mercoledì 13 maggio 2020

Il Ghibellino: francobollo iraniano per la nascita di gesù

Il Ghibellino: francobollo iraniano per la nascita di gesù: questo è un francobollo iraniano intitolato: " in occasione della celebrazione della nascita di gesù Cristo" " la di...

sabato 8 giugno 2013

Io Firmo il referendum Libertà di scelta nella destinazione dell’otto per mille

link all'evento su Facebook:
Io Firmo il referendum Libertà di scelta nella destinazione dell’otto per mille:
Per restituire l’effettiva libertà di scelta ai cittadini. Vogliamo che la quota relativa alle scelte non espresse sull’8xMille (attualmente più del 50% del totale, circa 600 milioni di euro l’anno, ridistribuita alle confessioni religiose) rimanga in capo al bilancio generale dello Stato.

Viene abrogata la disposizione che prevede che anche l’8x1000 di chi non esprime alcuna indicazione venga ripartito tra le confessioni religiose. Effetti: la quota relativa alle scelte non espresse (attualmente più del 50% del totale, circa 600 milioni di euro l’anno) rimarrebbe in capo al bilancio generale dello Stato anziché essere ripartita in favore soprattutto (al 90%) della Conferenza episcopale italiana. Non si arrecherebbe alcun danno alle attività caritatevoli, visto che il fondo 8x1000 si è moltiplicato per cinque negli ultimi 20 anni, arrivando alla cifra record di un miliardo e cento milioni di euro l’anno!

“Volete che sia abrogata la legge 20 maggio 1985, n. 222, limitatamente all'articolo 47, terzo comma, limitatamente al secondo periodo: "In caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti, la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse ?"

sabato 1 giugno 2013

Libertà di scelta nella destinazione dell’otto per mille | Cambiamonoi

Libertà di scelta nella destinazione dell’otto per mille | Cambiamonoi:
Per restituire l’effettiva libertà di scelta ai cittadini. Vogliamo che la quota relativa alle scelte non espresse sull’8xMille (attualmente più del 50% del totale, circa 600 milioni di euro l’anno, ridistribuita alle confessioni religiose) rimanga in capo al bilancio generale dello Stato.

Viene abrogata la disposizione che prevede che anche l’8x1000 di chi non esprime alcuna indicazione venga ripartito tra le confessioni religiose. Effetti: la quota relativa alle scelte non espresse (attualmente più del 50% del totale, circa 600 milioni di euro l’anno) rimarrebbe in capo al bilancio generale dello Stato anziché essere ripartita in favore soprattutto (al 90%) della Conferenza episcopale italiana. Non si arrecherebbe alcun danno alle attività caritatevoli, visto che il fondo 8x1000 si è moltiplicato per cinque negli ultimi 20 anni, arrivando alla cifra record di un miliardo e cento milioni di euro l’anno!

“Volete che sia abrogata la legge 20 maggio 1985, n. 222, limitatamente all'articolo 47, terzo comma, limitatamente al secondo periodo: "In caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti, la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse ?"

domenica 14 aprile 2013

Sì ai pantaloni, vincono le deputate turche

La Repubblica 
12.04.2013
Sì ai pantaloni, vincono le deputate turche
Una norma del ’23 le costringeva a indossare la gonna in Parlamento. Due anni di proteste
 Marco Ansaldo

Il caso di Safak Pavey, che ha una protesi alla gamba, ha portato alla modifica della legge

ISTANBUL - Le deputate della Turchia sono un gruppo folto (78, su 540 parlamentari). Spesso sono signore dotate non solo di vis polemica e di capacità politiche di buon livello, ma anche di grande femminilità. E ieri sono state in grado di vincere una battaglia di forte impatto sull´opinione pubblica locale e internazionale per i loro diritti civili. Il Parlamento di Ankara, infatti, ha decretato che nelle aule dell´Assemblea ora anche le donne potranno indossare i pantaloni.
Il regolamento interno prevedeva ancora oggi una norma desueta, però rispettata, sull´abbigliamento delle onorevoli. Dovevano per l´appunto presentarsi rigorosamente in gonna. Non stretta e sotto il ginocchio. Una regola che, fino a ieri, andava anche oltre gli austeri ambienti istituzionali, arrivando negli uffici pubblici e nelle rappresentanze diplomatiche. C´è ancora chi ricorda quando, in un´ambasciata, un´impiegata si presentò al mattino al lavoro indossando un paio di normalissimi calzoni, e fu redarguita con il consiglio di portare un capo di abbigliamento più appropriato.
Ma la Turchia del 2013, che si sta trasformando a vista d´occhio sotto il profilo economico, ambendo non solo ad entrare nell´Unione Europea, ma a diventare nel giro di pochi anni uno dei dieci Grandi al mondo (secondo gli auspici del Presidente della Repubblica, Abdullah Gul), non può rimanere al palo su questioni altrove superate da tempo. Ed è così che è nata l´idea – ben appoggiata, è necessario dirlo, anche dalla parte maschile del Parlamento turco – di eliminare quella norma così desueta. La proposta di modifica della legge è stata presentata due anni fa. Risale infatti ad allora la polemica descritta sui giornali di Istanbul, la capitale mediatica del Paese, per le foto pubblicate sulla deputata Safak Pavey, parlamentare del principale gruppo di opposizione, il Partito repubblicano del popolo, di ispirazione socialdemocratica, fondato da Mustafa Kemal, detto Ataturk, padre della Turchia moderna. La donna portava infatti una protesi alla gamba, resa ben visibile dalla gonna che la legge la costringeva a indossare. Da lì cominciò il dibattito sull´opportunità di modificare quell´articolo 56 del regolamento che, a molti, appariva ormai da buttare. E ieri i deputati hanno infine dato il loro via libera.
Il divieto risaliva addirittura alla fondazione della Repubblica turca, nel 1923. Dove la norma oggi incriminata prevedeva espressamente che le donne in Parlamento potessero indossare solo la gonna. A suo tempo la misura era stata introdotta per "deislamizzare" la vita pubblica, in un Paese che usciva dalle rovine dell´Impero ottomano. Alle deputate era vietato non solo indossare il velo, ma anche i pantaloni islamici larghi, che pure cancellavano le forme. Facile ora intuire dove porterà questa forma di liberalizzazione: a una battaglia parlamentare volta a togliere anche il divieto di indossare il velo. I laici si oppongono al copricapo, perché lo considerano non solo un simbolo religioso, ma un elemento di appartenenza anche politica al partito islamico moderato da 10 anni al potere in Turchia. La svolta di ieri prelude così a un confronto più aspro proprio sul velo. E l´ispiratore della riforma è il Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) del premier islamico Recep Tayyip Erdogan.