giovedì 30 ottobre 2008

Così Obama vuole conquistare il voto di Dio

La Repubblica 30.10.08
Così Obama vuole conquistare il voto di Dio
di Giancarlo Bosetti

Nei sondaggi Obama conquista i credenti più di McCain e rimescola i rapporti tra fede e politica. Quello religioso non è il tema dell´ultima fase della sua campagna, ma lo è stato di tutta. «Riconciliare» fedeli e Democrats è un suo messaggio base fin dal principio. E molto prima di candidarsi, alla convention di Boston del 2004, il senatore di Chicago scosse i liberals americani con un discorso che cominciava parlando di fede: «Anche noi Democratici veneriamo un Dio formidabile».
Adesso è riuscito a sorpassare l´avversario tra i cattolici e i protestanti storici (non evangelici). Nei sondaggi che scompongono gli elettori tra gruppi confessionali (Pew Research-Forum on Religion) il rovesciamento dei rapporti di forza nelle intenzioni di voto è netto da 39-52% a 50-40% tra i cattolici e da 40-50% a 48-43% tra i protestanti. E si tratta dei cattolici non ispanici, perché tra i latinos la prevalenza del Democratico sul Repubblicano è meno problematica, così come tra i non affiliati ad alcuna Chiesa, per non parlare dei protestanti neri, stabilmente pro Obama intorno al 95%. Ma qualcosa si muove, negli ultimi due mesi, anche nella roccaforte inespugnabile del voto repubblicano: gli evangelici, tra i quali sale dal 18 al 24% (McCain dal picco del 74 al 67%, effetto Palin). Si tratta del serbatoio profondo di consensi che Bush riuscì a mobilitare nel 2004 spostando la campagna dal disastro Iraq ai "valori morali" e contro il matrimonio gay.
L´efficacia di Obama tra i credenti non ha niente di casuale. È il risultato di un progetto. E rappresenta il più evidente valore aggiunto della candidatura di Obama nei confronti di Hillary Clinton, la quale difficilmente avrebbe potuto rompere la diffidenza dell´elettorato religioso (la stragrande maggioranza degli americani). L´ex first lady, protestante metodista, non ha mai sottovalutato, ovviamente, l´importanza della fede nella vita politica del suo paese, ma la sua generazione è collegata, nell´immaginario sociale, al ´68 e all´ascesa dei diritti di scelta, all´evoluzione individualista e libertaria del costume. E anche a molte altre cose, che più o meno rozzamente nella campagna avversaria, hanno intrecciato il progressismo americano con una visione materialistica, edonistica ed egoista della vita, e anche a una rottura con la fede.
Il "liberalismo standard", inteso come – diremmo noi – progressismo laico, presta il fianco alle offensive del populismo conservatore, agli attacchi anti-elitisti condotti nel nome dei principi della famiglia e delle paure della gente comune. La parte della società che si preoccupa del deficit etico, della perdita di coesione, della crisi generale di orientamento, aveva trovato in questi anni risposte più soddisfacenti tra i Repubblicani. La crisi economica avrebbe potuto non ridurre, ma acutizzare questa tendenza. Non importa che i leader democratici degli ultimi decenni siano stati in qualche caso ferventi religiosi (vedi Carter) anche più dei Nixon e dei Reagan. Il pendolo dei consensi tra la gente di fede ha avuto una lunga oscillazione che l´ha portato a destra. Kerry non aveva saputo fare molto per contrastare la forza elettorale di Bush e la presa della New Right religiosa.
Solo Obama, in questo più attrezzato di McCain anche per ragioni biografiche, è riuscito – almeno nei sondaggi – a rompere questi allineamenti, facendo pienamente suo il tema del "deficit morale" della vita delle famiglie, del "deficit di empatia" nella condizione della società americana contemporanea, e assumendo la religione, la pluralità delle fedi, come risorsa indispensabile per fronteggiare la crisi. Una prospettiva che in Europa si usa ora definire "post-secolare". Di fronte alla richiesta dei religiosi di influire sulla vita pubblica, la risposta standard di un liberal – ha teorizzato Obama in questi due anni di battaglie politiche – consiste nel rimandare alla libertà lasciata da un regime pluralista. (Sei cattolico o evangelico? Allora non unirti a un omosessuale, non abortire, ma non impedirlo agli altri), ma oggi questa risposta non gli appare più sufficiente.
La comprensione reciproca tra credenti e non credenti deve andare oltre per apprezzare meglio gli uni le ragioni degli altri, e per cercare di interpretarne e tradurne il senso anche nella vita politica. Nulla da revocare della cultura costituzionale americana jeffersoniana che, con il primo emendamento, preserva le istituzioni e la società dal pericolo di un monopolio religioso da parte di qualsivoglia chiesa, ma il passo avanti che Obama invoca a gran voce (anche se sull´aborto ha finora votato come un laico standard europeo) è la fine di una contrapposizione che ha scavato un solco tra chi pratica una confessione e chi non la pratica, mettendo gli uni e gli altri in caricatura: da una parte i religiosi come ossessionati esclusivamente dalla lotta ai matrimoni gay, dalle preghiere a scuola e dal desiderio di proibire l´insegnamento darwiniano, dall´altra i liberal come viziosi dediti all´aborto e a ogni genere di devianza sessuale. Viva la forza morale e coesiva delle religioni, dice Obama, ne abbiamo bisogno, ne hanno bisogno anche i liberals, non solo per ragioni elettorali, ma anche e soprattutto perché, senza quelle risorse e divisi, non potremmo affrontare le sfide del tempo e del nostro destino comune.