venerdì 19 dicembre 2008

Obama sceglie il reverendo anti-gay e aborto

Obama sceglie il reverendo anti-gay e aborto

La Stampa del 19 dicembre 2008, pag. 17

di Maurizio Molinari
Barack Obama sceglie un pastore evangelico bianco, contrario alle nozze gay e all’aborto, per pronunciare l’invocazione religiosa nel giorno del giuramento a Washington. E l’irritazione dei gruppi liberal dilaga: «E’ un tradimento, una frustata sulla schiena».

Il pastore in questione è Rick Warren, 54 anni, leader della megachiesa di Saddleback di Lake Forest, in California, la quarta congregazione religiosa cristiana per numero di fedeli negli Stati Uniti. Warren scrive best seller a sfondo religioso, è considerato una sorta di profeta dai seguaci e in California è noto per aver assunto posizioni esplicite tanto contro l’aborto, paragonandolo all’Olocausto, che contro le nozze gay, schierandosi a favore del referendum che le ha messe al bando lo scorso 4 novembre innescando la rivolta delle associazioni per i diritti degli omosessuali. Ma a fianco di queste posizioni molto conservatrici Warren è invece vicino ai liberal sui temi economici, soprattutto sul fronte dell’interpretazione del cristianesimo come missione contro la povertà e le ineguaglianze sociali che distingue anche il pensiero religioso di Obama.

A fine agosto fu Rick Warren ad inaugurare i dibattiti fra Barack Obama e John McCain ospitandoli nella megachiesa per due interviste parallele nelle quali pose le identiche domande ad entrambi: sull’aborto il pubblico premiò il candidato repubblicano ma Obama colse l’occasione per parlare della propria fede in diretta tv a milioni di americani, ponendo le basi per la conquista in novembre di molti voti di credenti che quattro anni prima erano andati a George W. Bush.

Da quel dibattito Obama ha tratto la convinzione di poter trovare in Warren un interlocutore sul terreno della fede per «unire tutti gli americani» e questo lo ha portato a sceglierlo per affidargli «l’invocazione a Dio» che sarà pronunciata il 20 gennaio sui gradini di Capitol Hill in coincidenza con l’insediamento del 44° presidente. Ma appena la notizia si è diffusa i gruppi liberal sono saliti sulle barricate, gridando senza freni l’irritazione per la svolta moderata di Obama che già covava a seguito dell’inserimento nel governo di volti moderati come Hillary Clinton, Robert Gates, Larry Summers e l’ex generale Jim Jones. La «Human Rights Campaign», la maggiore organizzazione pro-gay d’America, ha affidato al presidente Joe Solomnese una lettera a Obama che inizia così: «Mi consenta di essere franco, lei ha offeso tutti i gay, le lesbiche, i bisex e i transgender». Per il gruppo «People for the American Way» Warren è colpevole di «opporsi al diritto legale delle donne di abortire» mentre il reverendo progressista Candace Chellew-Hodge parla di «frustata sulla schiena di tutti noi». La levata di scudi è tanto più aggressiva quanto i gruppi per i diritti dei gay sono mobilitati per tentare di rovesciare l’esito del referendum in California.

Ma Obama, durante la conferenza stampa di ieri a Chicago, ha respinto le critiche: «Sono un sostenitore dei diritti dei gay e lo dissi proprio nella chiesa di Warren ma il punto è che l’America deve unirsi e la mia campagna si è fondata sulla necessità di dialogo anche quando si hanno valori molto differenti». E ancora: «Quando Warren mi invitò nella sua Chiesa sapeva bene che su gay e aborto la pensavo diversamente da lui» e dimostrò quindi che «il focus deve essere su che cosa andiamo d’accordo». E’ proprio questa caratteristica di Warren che Obama vuole esaltare, individuandolo come interlocutore privilegiato con l’America conservatrice sin dal primo giorno della sua presidenza. «D’altra parte durante i festeggiamenti per l’insediamento ci saranno molto altri uomini di fede a parlare» ha aggiunto Obama.

Molte le ricadute della scelta a favore di Warren: per il reverendo evangelico si tratta di una legittimazione politica che lo proietta nel ruolo dell’erede di Billy Graham, il più popolare leader evangelico della nazione, mentre riguardo alla fede personale di Obama viene relegato al passato remoto il legame con la Chiesa nazionalista nera di Chicago guidata dal controverso pastore Jeremiah Wright, da cui si staccò lo scorso marzo.

martedì 2 dicembre 2008

Pressing di Cl su Berlusconi

Pressing di Cl su Berlusconi

l'Opinione del 2 dicembre 2008, pag. 1

di Alessandro Litta Modignani

La notizia, in sé, potrebbe sembrare trascurabile. Magdi Cristiano Allam lascia il giornalismo ed entra in politica, fondando un nuovo partito di ispirazione schiettamente religiosa. La lettura del manifesto dei “Protagonisti per l’Europa cristiana” è estremamente istruttiva, persino illuminante in alcuni passaggi. Il testo rappresenta un autentico concentrato del pensiero cattolico-integralista e illiberale, cioè di quella cultura che punta a sostituire lo Stato moderno, laico e di diritto, con uno Stato etico di tipo confessionale. Nel testo si sprecano le maiuscole, neanche fosse scritto in tedesco: Fede, Verità, Valori, Civiltà, poi ancora Testimoni, Costruttori, Protagonisti e via delirando. La denominazione stessa scelta per il movimento testimonia dell’estremismo del progetto. Perciò è giusto chiedersi: questa minaccia diretta alla libertà degli individui è reale, oppure è soltanto il velleitarismo di un esaltato? Esistono possibilità concrete che Allam riesca a costruire il suo partito, trovando spazio, alleanze e consensi? La risposta spontanea - no, sarà il solito buco nell’acqua ed è persino inutile parlarne e fargli pubblicità - non è poi così scontata. Nel paese in cui ha sede il Vaticano, qualsiasi progetto politico-religioso, che prescinda dalle intenzioni delle gerarchie ecclesiastiche, è destinato a non fare molta strada. Dunque molto dipenderà dall’atteggiamento della Cei. Nel marzo scorso il Vaticano scelse di spettacolarizzare al massimo la conversione di Allam al cristianesimo, facendolo battezzare a Roma dal Papa in persona, nel giorno di Pasqua. E’ difficile pensare che queste due operazioni politiche – lo show di allora e il partito di oggi – non fossero già collegate e preparate da tempo. L’appoggio annunciato da parte di monsignor Fisichella al nuovo partito lascia intendere che esso parte con la “benedizione” di un potentissimo sponsor.

E’ noto, del resto, che le gerarchie sono sempre più irritate dall’atteggiamento neutrale di Silvio Berlusconi sui temi cosiddetti “eticamente sensibili”, da ultimo sul caso Englaro. Avere definito il PdL “anarchico” sul piano valoriale per i religiosi è una colpa imperdonabile, e infatti su questo Allam attacca apertamente il premier. Se la prende anche con Casini, reo di non volere l’abrogazione della legge 194 sull’aborto. Il fondamentalismo religioso è per sua natura fazioso, non ammette mediazioni di sorta: se la fede non è negoziabile, neppure il programma di un partito fideista può esserlo. Attraverso Allam, la corrente di Comunione e liberazione, pesantemente sconfitta al momento della formazione del governo, si accinge forse a esercitare il pressing su Silvio Berlusconi, per conquistare nuovo potere. Quale migliore occasione delle prossime elezioni europee, con tanto di proporzionale e preferenze, ma che comunque non possono compromettere l’equilibrio politico generale? Non a caso Maurizio Lupi, padrino di battesimo di Allam e aspirante ministro, è fra gli artefici dell’operazione. Pur in mancanza di riscontri ufficiali, è possibile immaginare che anche Roberto Formigoni, dopo aver acquisito benemerenze con il rifiuto opposto dalle strutture sanitarie lombarde a Beppino Englaro, potrebbe essere della partita – specie nel segreto dell’urna. Nessuno può dire con certezza se il disegno illiberale di Magdi Cristiano Allam abbia effettivamente speranze di successo, oppure se il personaggio andrà a infoltire la schiera dei “crociati falliti”, sulle orme di Marcello Pera e Giuliano Ferrara. Staremo a vedere. Intanto il personaggio annuncia i suoi primi obiettivi programmatici: no all’aborto, al divorzio, all’eutanasia e ai matrimoni gay. Un progetto troppo pericoloso perché lo si possa semplicemente snobbare, come pure meriterebbe.

martedì 25 novembre 2008

Quale chiesa sceglieranno di frequentare gli Obamas la domenica mattina?

il Riformista 25.11.08
Barack cerca parrocchia
Quale chiesa sceglieranno di frequentare gli Obamas la domenica mattina?
di Alessandra Cardinale

New York. Quale chiesa sceglieranno di frequentare gli Obamas la domenica mattina? E perchè il neo presidente americano viene sempre più spesso avvistato tra gli attrezzi ginnici della sua palestra preferita piuttosto che tra i banchi di una chiesa? Archiviato il dilemma scuola pubblica o scuola privata (concluso a favore di quest'ultima), si apre il capitolo, ugualmente delicato, della chiesa che a Washington D.C. dal 20 gennaio gli Obamas decideranno di frequentare. Il sito web Politico.com è il primo a puntare il dito contro Obama e famiglia che mancherebbero dalle funzioni religiose da tre settimane, il che significa che da quando è stato eletto, Barack non mette piede in chiesa. «La famiglia Obama ha un gran rispetto dei luoghi sacri, e la loro presenza attirerebbe troppo attenzione sui confratelli e sulla chiesa», ha risposto un consigliere del neo Presidente alle perplessità di chi gli chiedeva come mai la prima famiglia americana non si fosse più recata in Chiesa. Il temporeggiare di Obama e della first lady Michelle è saltato subito agli occhi degli attenti commentatori americani che, almanacco politico alla mano, hanno maliziosamente fatto notare che sia George W. Bush che Bill Clinton neo-presidenti, riuscirono a recarsi a messa: nel 1992, appena eletto, Bill Clinton partecipò alla messa nella chiesa di Little Rock in Arkansas e la terza domenica dalla sua elezione fu fotografato con Jesse Jackson in una parocchia cattolica. Ma anche George W. Bush non mancò gli appuntamenti con la fede, nel 2000 e nel 2004 seguiva regolarmente, insieme alla moglie Laura, le funzioni della chiesa metodista di Austin in Texas. Ma non tutti gli analisti tirano le orecchie a Obama, infatti, il blog "Under God" del Washington Post chiede indulgenza nei confronti della first family. «Non posso immaginare una decisione più importante di questa per una giovane famiglia come quella di Obama», scrive David Waters esperto di questioni religiose. La scelta è infatti ampia e può facilmente diventare un bersaglio politico. Sono in molti a corteggiare il neo Presidente la cui presenza darebbe lustro, non solo spirituale, alla propria comunità: metodisti, battisti, episcopali, tutti aspirano ad ospitare la domenica mattina la famiglia presidenziale. «Tutto questo però non è giusto», scrive Waters, «dovremmo lasciarli in pace per dargli la possibilità di fare la scelta più giusta».

mercoledì 12 novembre 2008

Così la Costituzione americana tiene Dio al suo posto

Così la Costituzione americana tiene Dio al suo posto

Il Riformista del 12 novembre 2008, pag. 18

di Claudia Mancina

Uno degli aspetti più interessanti dell’elezione del nuovo presidente americano è quello relativo al voto dei cattolici. Nonostante la freddezza delle gerarchie e l’esplicita sconfessione del candidato alla vicepresidenza, il cattolico Joe Biden, per le sue posizioni pro-choice, il ticket democratico ha raccolto tra i cattolici la stessa percentuale che ha raccolto sul voto generale: il 53%. Merito (o colpa) della grave crisi economica, certamente. Ma forse anche segno di una certa stanchezza nei confronti dell’estremismo etico di cui il presidente uscente si è fatto portatore. Non ci sarebbe in fondo niente di strano se al congedo dalle posizioni più conservatrici dei repubblicani si accompagnasse anche il congedo dalle posizioni più di destra in campo etico. In questo senso, a quanto sembra, andranno i primi passi del nuovo presidente.



Tra le varie voci uscite dal suo staff, infatti, c’è quella di alcuni interventi (addirittura duecento, si è detto) intesi ad abolire provvedimenti legislativi presi da Bush. Tra questi, quello che ha vietato il finanziamento federale alla ricerca sulle staminali embrionali, e provvedimenti restrittivi sull’aborto. La notizia ha già sollevato preoccupazioni tra i vescovi americani e in Vaticano, dove il rammarico per la fine dell’alleanza speciale con Bush sulle questioni della vita si è fatto anche troppo sentire: il Vaticano non ha partecipato alla grande emozione del mondo intero per l’elezione del primo presidente di colore, ma si è posto in attesa. A differenza dei cattolici americani, che hanno investito su Obama pensando evidentemente che le sue dichiarazioni a favore della libertà di scelta, e per l’impegno a eliminare le cause sociali dell’aborto, definissero una posizione etica accettabile.



Non possiamo sapere adesso se Obama prenderà davvero questi provvedimenti. Ma se lo farà, entrerà in contraddizione con le sue ripetute affermazioni di voler essere non-partisan, di voler superare le divisioni di partito e unire gli americani? Come ha osservato Vittorio Emanuele Parsi sulla Stampa, non c’è contraddizione, ma anzi un riequilibrio al centro: erano i provvedimenti di Bush a essere estremisti, perché traducevano in legge le convinzioni proprie della destra religiosa più conservatrice. Nel suo complesso il voto per Obama, che si accompagna alla bocciatura dei matrimoni gay in California, esprime una collocazione centrale e moderata dell’elettorato, che probabilmente si rifletterà nelle scelte del nuovo presidente. Ciò che è interessante per noi è che queste considerazioni attraversano pacificamente anche l’elettorato cattolico. Il che dimostra che è la politica, e solo la politica, a definire il peso politico comparativo delle scelte etico-religiose. Bush era riuscito a saldare alla sua coalizione la destra religiosa, perché la sua proposta politica appariva convincente a questa porzione di elettorato. Obama ha ottenuto il consenso anche della maggioranza dell’elettorato cattolico, come non era riuscito a Kerry, perché evidentemente la sua proposta politica ha convinto, al di là delle barriere etiche e religiose. Questo voto mette in questione proprio la supposta affinità tra cattolici e destra evangelica: un punto sul quale forse il Vaticano farebbe bene a riflettere.



Queste considerazioni hanno delle implicazioni anche riguardo a un altro tema molto trattato in questi giorni: quello della presenza di Dio nella politica americana. Una presenza certamente molto forte; ma non si può dimenticare che essa è l’altra faccia dell’assenza di una religione ufficiale e della separazione di Stato e Chiese, sancita fin dal Primo emendamento del 1791. Solo a queste condizioni è possibile il riferimento a Dio con un ruolo essenziale nel discorso pubblico, e quindi quella particolare laicità, non aggressiva, non escludente, che è tipica della sfera pubblica americana e molto diversa dalla laicità europea.



Ernesto Galli Della Loggia ha sostenuto che la forza dell’America sta nel guardare a Dio come fonte di speranza indomita, secondo la promessa biblica. Ma ascoltiamo la prima frase del discorso di Chicago: «Se c’è ancora qualcuno che dubita che l’America sia un luogo dove tutto è possibile, che ancora si chiede se il sogno dei nostri Fondatori sia vivo nella nostra epoca, che ancora mette in dubbio la forza della nostra democrazia, questa notte è la vostra risposta». La vera eccezionalità americana sta nel miracolo di una nazione peraltro multietnica e multiculturale - che ancora si riconosce nella sua Costituzione vecchia di più di duecento anni, e trova in essa una ispirazione intatta per riorganizzarsi, per ripartire, per reinterpretare i propri valori fondamentali.



La forza della democrazia americana non è nel richiamo a Dio: è nel richiamo alla Costituzione, che dà anche a Dio il suo posto.

Aborto e vescovo gay. I dubbi della Chiesa su Obama presidente

il Riformista 11.11.08
Aborto e vescovo gay. I dubbi della Chiesa su Obama presidente
di Paolo Rodari

Preoccupati. Ai vescovi cattolici non piacciono le promesse elettorali all'anglicano Robinson, la posizione sulla vita e sulle staminali embrionali.

L'assemblea plenaria dei vescovi statunitensi in corso da ieri (fino a giovedì) al Marriott Waterfront Hotel di Baltimora avviene per volti versi nel momento opportuno. Il tempo, infatti, è propizio affinché l'episcopato d'oltre Atlantico possa riflettere sull'elezione di Barack Obama e soprattutto esprimersi circa le posizione pro-choice sull'aborto del nuovo presidente. In parte, l'ha già cominciato a fare ieri mattina il cardinale arcivescovo di Chicago e presidente della conferenza episcopale Francis George quando, aprendo i lavori della plenaria, si è congratulato con Obama per la vittoria ma, nello stesso tempo, ha ricordato tra gli applausi dei presuli come il "no" all'aborto sia uno dei pilastri dell'insegnamento cattolico. E, in effetti, è innanzitutto sulle posizione abortiste di Obama - sullo sfondo incombe la firma del Freedom of Choice Act, la legge sull'aborto che permetterà a tutte le donne di abortire in ogni momento della gravidanza, in qualsiasi Stato e a ogni età, anche al di sotto dei 18 anni - che i vescovi intendono discutere a Baltimora. L'ha confermato venerdì scorso anche la portavoce dei vescovi Mary Ann Walsh quando ha detto che «la conferenza espiscopale statunitense si ritroverà per discutere di vari temi, tra questi l'aborto e le future politiche in merito».
Ma c'è di più. Pare che sul tavolo della conferenza episcopale presieduta da circa un anno dal cardinale George vi sia anche il «dossier Virtueonline». Molto, infatti, ha fatto discutere i vescovi la notizia apparsa su quella che è la voce dell'ortodossia anglicana - Virtueonline, appunto, ripreso in merito anche dal Times - secondo la quale, durante la recente campagna elettorale, Obama ha incontrato per ben tre volte monsignor Gene Robinson, il primo vescovo episcopaliano dichiaratamente gay che tanto aveva fatto discutere di sé anche la scorsa estate nell'incontro di Lambeth della Chiesa anglicana: a motivo delle sue posizioni liberal non era stato ammesso all'assise. Proprio a lui Obama, nonostante esprimendosi successivamente sui referendum in California, Arizona e Florida non abbia dimostrato di voler fare molto in merito, ha assicurato che, una volta approdato alla Casa Bianca, avrebbe appoggiato appieno le battaglie in favore dei diritti delle coppie omosessuali. È vero, Obama ci ha sempre tenuto a separare diritti in favore delle coppie gay (su questi il neo presidente è d'accordo) e legalizzazione dei matrimoni gay (su questi si è sempre mostrato più freddo) - e in questo senso la posizione tenuta durante i recenti referendum non contraddice più di tanto con quanto egli ha promesso a Robinson - ma la notizia del triplice incontro non è stata comunque recepita bene dalla gerarchia ecclesiastica tanto che anche di questo a Baltimora i vescovi vogliono discutere. Tra l'altro, seppure è vero che oltre il cinquanta per cento di coloro che si dichiarano cattolici ha votato per Obama, pare sia altrettanto vero che la maggior parte di questi, avendo bocciato in California, Arizona e Florida i referendum, non ha preso bene, a poche ore dal voto, la notizia del triplice incontro e delle conseguenti promesse.
È principalmente sui temi cosiddetti etici che l'amministrazione Obama rischia il frontale con la Chiesa cattolica statunitense, fedeli inclusi. E anche con la diplomazia vaticana la quale, per il momento, sta alla finestra e proprio dal cardinale George attende notizie dettagliate sul nuovo corso alla Casa Bianca.
A preoccupare ci sono anche le decisioni che Obama è chiamato a prendere intorno alla ricerca sulle cellule staminali embrionali. Infatti, secondo quanto hanno annunciato i più stretti collaboratori del neo presidente, Washington si starebbe apprestando a dare di nuovo il via libera - dopo i limiti imposti da Bush - ai fondi federali per la ricerca sulle cellule staminali embrionali.
A ben vedere, dunque, i timori dei vescovi sono giustificati. Anche perché risulta parecchio difficile che su questi temi la figura del cattolico Joe Biden possa rassicurarli. Biden, infatti, nei mesi scorsi, ha dovuto subire dure invettive da parte dei presuli di Madison, Robert C. Morlino, e di Denver, Charles J. Caput, proprio a motivo delle sue prese di posizione controverse sull'aborto. Tanto che, di qui in avanti, la strategia dei vescovi statunitensi pare sia quella di affidarsi alle proprie risorse, cominciando a prevenire il nuovo corso obamiano in merito alle tematiche cosiddette eticamente sensibili (aborto, unioni gay, ricerca sulle cellule staminale embrionali) mettendo innanzitutto in campo una campagna preventiva di informazione culturale incentrata attorno al valore unico della vita umana.

martedì 11 novembre 2008

Veltroni rompa con i «radicali» o sarà meglio tornare a Ds e Margherita

Veltroni rompa con i «radicali» o sarà meglio tornare a Ds e Margherita

Il Manifesto del 11 novembre 2008, pag. 8

Prima delle elezioni, a febbraio, aveva stigmatizzato il «pasticcio veltroniano in salsa pannelliana». Ora «Famiglia cristiana», con un editoriale, torna all’attacco dell’intesa tra Pd e Radicali, e in generale delle posizioni «radicali» che emergerebbero nel partito. Entrando a gamba tesa nello scontro tra l’area «centrista» del Pd e quella che guarda a sinistra. Pietra dello scandalo, per il settimanale dei paolini, è il «processo» che avrebbe subito la teodem Paola Binetti per aver accostato l’omosessualità alla pedofilia. Sulla vicenda, Veltroni aveva concluso che, pur avendo sbagliato, la deputata, per la sua «posizione personale che non rappresenta quella del partito», non andava denunciata ai probi viri. «In un grande partito come tl nostro - diceva il segretario martedì scorso - non possono esistere reati di opinione o processi per le idee espresse». E anche la deputata Paola Concia aveva concluso: «La querelle Binetti finisce qui». Eppure non finisce qui per «Famiglia cristiana». Che trasecola perché «l’hanno fatta grossa» e protesta: «Il Pd dalle mille contraddizioni ha riconosciuto la libertà d’opinione, salvo fare una reprimenda alla Binetti per le sue idee non conformi al manifesto dei valori del partito. E che dire dell’ipocrisia coi Radicali? Quando prendono posizioni laiciste e anticlericali Veltroni se la sbriga dicendo che non fanno parte del Pd, salvo tenerseli stretti nel gruppo parlamentare». Morale: «se non si scioglie subito, e nettamente, il ‘nodo radicale’, questo finirà per strozzare Veltroni e il Pd. Altrimenti, meglio che Margherita e Ds tornino a essere due partiti ben distinti». Nell’editoriale Veltroni viene definito «l’eterno indeciso, che non ha capitalizzato il successo delle primarie e del Circo Massimo». E il caso Binetti avrebbe aperto «una ferita profonda nella ‘contaminazione’tra la cultura del riformismo cattolico e quella socialista che ha dato vita al Pd». Il settimanale sollecita dunque una «seria riflessione». Senza risparmiare la «radicale» Concia che «ha avanzato la proposta di legge sul reato di omofobia». Replica il presidente di Arcigay, Aurelio Mancuso: «Siamo offesi e Indignati dal nuovo attacco che arriva dalla lobby cattolica. Ribadiamo l’assoluta urgenza di legiferare In materia di lotta all’omofobia e esprimiamo alla relatrice Concia la nostra solidarietà». E Franco Grillini prova «nostalgia per la vecchia Famiglia cristiana che tentava di dialogare con la modernità».

Aborto e vescovo gay. I dubbi della Chiesa su Obama presidente

il Riformista 11.11.08
Aborto e vescovo gay. I dubbi della Chiesa su Obama presidente
di Paolo Rodari

Preoccupati. Ai vescovi cattolici non piacciono le promesse elettorali all'anglicano Robinson, la posizione sulla vita e sulle staminali embrionali.

L'assemblea plenaria dei vescovi statunitensi in corso da ieri (fino a giovedì) al Marriott Waterfront Hotel di Baltimora avviene per volti versi nel momento opportuno. Il tempo, infatti, è propizio affinché l'episcopato d'oltre Atlantico possa riflettere sull'elezione di Barack Obama e soprattutto esprimersi circa le posizione pro-choice sull'aborto del nuovo presidente. In parte, l'ha già cominciato a fare ieri mattina il cardinale arcivescovo di Chicago e presidente della conferenza episcopale Francis George quando, aprendo i lavori della plenaria, si è congratulato con Obama per la vittoria ma, nello stesso tempo, ha ricordato tra gli applausi dei presuli come il "no" all'aborto sia uno dei pilastri dell'insegnamento cattolico. E, in effetti, è innanzitutto sulle posizione abortiste di Obama - sullo sfondo incombe la firma del Freedom of Choice Act, la legge sull'aborto che permetterà a tutte le donne di abortire in ogni momento della gravidanza, in qualsiasi Stato e a ogni età, anche al di sotto dei 18 anni - che i vescovi intendono discutere a Baltimora. L'ha confermato venerdì scorso anche la portavoce dei vescovi Mary Ann Walsh quando ha detto che «la conferenza espiscopale statunitense si ritroverà per discutere di vari temi, tra questi l'aborto e le future politiche in merito».
Ma c'è di più. Pare che sul tavolo della conferenza episcopale presieduta da circa un anno dal cardinale George vi sia anche il «dossier Virtueonline». Molto, infatti, ha fatto discutere i vescovi la notizia apparsa su quella che è la voce dell'ortodossia anglicana - Virtueonline, appunto, ripreso in merito anche dal Times - secondo la quale, durante la recente campagna elettorale, Obama ha incontrato per ben tre volte monsignor Gene Robinson, il primo vescovo episcopaliano dichiaratamente gay che tanto aveva fatto discutere di sé anche la scorsa estate nell'incontro di Lambeth della Chiesa anglicana: a motivo delle sue posizioni liberal non era stato ammesso all'assise. Proprio a lui Obama, nonostante esprimendosi successivamente sui referendum in California, Arizona e Florida non abbia dimostrato di voler fare molto in merito, ha assicurato che, una volta approdato alla Casa Bianca, avrebbe appoggiato appieno le battaglie in favore dei diritti delle coppie omosessuali. È vero, Obama ci ha sempre tenuto a separare diritti in favore delle coppie gay (su questi il neo presidente è d'accordo) e legalizzazione dei matrimoni gay (su questi si è sempre mostrato più freddo) - e in questo senso la posizione tenuta durante i recenti referendum non contraddice più di tanto con quanto egli ha promesso a Robinson - ma la notizia del triplice incontro non è stata comunque recepita bene dalla gerarchia ecclesiastica tanto che anche di questo a Baltimora i vescovi vogliono discutere. Tra l'altro, seppure è vero che oltre il cinquanta per cento di coloro che si dichiarano cattolici ha votato per Obama, pare sia altrettanto vero che la maggior parte di questi, avendo bocciato in California, Arizona e Florida i referendum, non ha preso bene, a poche ore dal voto, la notizia del triplice incontro e delle conseguenti promesse.
È principalmente sui temi cosiddetti etici che l'amministrazione Obama rischia il frontale con la Chiesa cattolica statunitense, fedeli inclusi. E anche con la diplomazia vaticana la quale, per il momento, sta alla finestra e proprio dal cardinale George attende notizie dettagliate sul nuovo corso alla Casa Bianca.
A preoccupare ci sono anche le decisioni che Obama è chiamato a prendere intorno alla ricerca sulle cellule staminali embrionali. Infatti, secondo quanto hanno annunciato i più stretti collaboratori del neo presidente, Washington si starebbe apprestando a dare di nuovo il via libera - dopo i limiti imposti da Bush - ai fondi federali per la ricerca sulle cellule staminali embrionali.
A ben vedere, dunque, i timori dei vescovi sono giustificati. Anche perché risulta parecchio difficile che su questi temi la figura del cattolico Joe Biden possa rassicurarli. Biden, infatti, nei mesi scorsi, ha dovuto subire dure invettive da parte dei presuli di Madison, Robert C. Morlino, e di Denver, Charles J. Caput, proprio a motivo delle sue prese di posizione controverse sull'aborto. Tanto che, di qui in avanti, la strategia dei vescovi statunitensi pare sia quella di affidarsi alle proprie risorse, cominciando a prevenire il nuovo corso obamiano in merito alle tematiche cosiddette eticamente sensibili (aborto, unioni gay, ricerca sulle cellule staminale embrionali) mettendo innanzitutto in campo una campagna preventiva di informazione culturale incentrata attorno al valore unico della vita umana.

sabato 8 novembre 2008

Il voto delle religioni: Barack conquista i cattolici

Il Messaggero 8.11.08
Il voto delle religioni: Barack conquista i cattolici

WASHINGTON Barack Obama, nonostante le sue posizioni a favore della libertà di aborto, ha conquistato l'elettorato cattolico statunitense: dai dati sugli exit poll diffusi dal Pew Forum on Religion and Pubblic Life (uno dei maggiori istituti statistici americani), il senatore afro-americano ha ottenuto il voto del 54% dei cattolici degli States, mentre il suo avversario repubblicano, John McCain, si è fermato al 44%.
Un salto in avanti notevole: nel 2004, il 52% dei cattolici avevano infatti votato per George W. Bush, e il 47% per il democratico John Kerry (cattolico, ma osteggiato dai vescovi perché troppo filo-abortista). Il senatore nero è avanzato anche tra i protestanti: il 45% di loro lo ha votato, anche se la maggioranza è rimasta repubblicana; nel 2004 Kerry aveva ottenuto il 40% del voto protestante.
I cristiani rappresentano la religione dominante negli Stati Uniti, ovvero circa l'82% di una popolazione di oltre 300 milioni di abitanti. Alle varie chiese protestanti tradizionali, divise in una decina di denominazioni (dai battisti agli anglicani, dai luterani ai metodisti) appartengono oltre il 50% degli statunitensi; i cattolici costituiscono il 25% circa della popolazione (un dato in continua crescita grazie ai latinos) e i restanti cristiani a comunità minori, come ad esempio i Testimoni di Geova.
Il dato interessante, sia nel caso dei protestanti che dei cattolici, è che il senatore di origine africana ha conquistato consensi tra i bianchi, anche se il guadagno più consistente è stato tra gli altri gruppi etnici. Obama è avanzato del 5% tra gli evangelici bianchi, tradizionalmente repubblicani, e del 4% tra i bianchi cattolici.
Sulla Cns, agenzia di stampa della Conferenza episcopale cattolica statunitense, si ammette che gli elettori hanno basato il loro voto in primo luogo su questioni come l'economia, l'assistenza sanitaria e la guerra in Iraq, anzichè su temi su cui tradizionalmente si incentrano le preoccupazioni religiose, come l'aborto o le unioni tra persone dello stesso sesso. Negli Stati dove i vescovi hanno martellato di più sulle questioni etiche, ad esempio in Missouri o in Pennsylvania, i cattolici hanno dato il loro voto in percentuale maggiore a McCain.
Stavolta la Conferenza episcopale americana, nella sua dichiarazione pre-elettorale Faithful Citizenship, aveva sì sottolineato l'importanza dell'aborto tra i criteri di scelta, lasciando però alla fine libertà di coscienza ai propri fedeli. Evidentemente nè il “laico” McCain nè l'ultraconservatrice Sarah Palin davano sufficienti garanzie.
Contro Kerry, invece, i presuli erano stati molto più duri, favorendo, nonostante le divergenze sull'Iraq, la vittoria di Bush junior.

martedì 4 novembre 2008

Il Pd organizza il processo alla Binetti Gli ex dc lo smontano

Il Pd organizza il processo alla Binetti Gli ex dc lo smontano

Libero del 4 novembre 2008, pag. 14

di Elisa Calessi

Se non altro Paola Binetti ha battuto un record. Non era mai successo, infatti, che alla Commissione di garanzia del Partito democratico venisse sottoposta una frase. L’oggetto del contendere, che, forse (ma i dubbi sono tanti), porterà a un "processo" disciplinare, è una presa di posizione del deputato del Pd in difesa di un nota del Vaticano che invitava a prestare più attenzione, nell’ammissione dei seminaristi, per chi ha orientamenti omosessuali. Giusto, ha detto Binetti al Corriere della Sera, perché «tendenze omosessuali radicate» possono portare al «rischio pedofilia». Si è scatenato un putiferio. Andrea Bendino e altri gay del Pd hanno presentato ricorso ai Garanti. Ieri Paola Concia, altra esponente omosessuale, ha scritto una lettera a Walter Veltroni, dicendo che la questione è «politica». Binetti si è resa protagonista di un «atto di odiosa e intollerabile omofobia». Altro che libertà di espressione. «Le tue», le ha detto Franco Grillini, «non sono idee ma calunnie, che sono reato». Molto più cauta Imma Battaglia, leader del movimento omosessuale, che ha scritto a Binetti dicendosi contraria alla sua espulsione. «Ma basta conl a caccia alle streghe gay». L’accusata, presunta cacciatrice di streghe, le ha risposto con una lettera in cui spiega che il suo era un «criterio di prudenza», intendeva sottolineare «il rischio che si poteva presentare in alcuni possibili preti omosessuali, anche per i compiti di formazione accanto ai giovani». La vicenda americana, ricorda, è lì a provarlo.



La rivolta, però, non è solo dei gay. Silenziosa, ma non meno forte, è l’irritazione dell’area cattolica del Pd. Per Pierluigi Castagnetti, l’esposto è «totalmente irricevibile» : «Non voglio credere che la commissione di Garanzia del Pd possa occuparsene». Perché «si può acconsentire o dissentire con le opinioni di chiunque, ma l’unica cosa certa è che in un partito democratico non esiste il reato d’opinione». Diversamente, «vorrebbe dire che non esisterebbe il Partito democratico, esisterebbe una cosa in cui non solo la Binetti ma neppure io e tantissimi altri potrebbero starci». Prende le sue difese anche Renzo Lusetti: «Francamente», dice a libero, «il ricorso mi pare eccessivo. Si sapeva che nel Pd, su certi argomenti, c’erano convinzioni differenti». Si può condividere o meno quanto lei ha detto, «ma questa è materia politica, mi auguro che i provibiri non diano seguito al ricorso». Della stessa opinione è il prodiano Franco Monaco, secondo cui è «fuori luogo invocare il giudizio della Commissione di garanzia», visto che «sulle opinioni, anche le più eccentriche, tanto più in un partito laico e democratico, è meglio affidarsi alla libera discussione piuttosto che alla disciplina». Polemico è il commento di Mario Lettieri: Binetti non si preoccupi perché, tanto, «qualsiasi decisione non avrà alcuna conseguenza». Prova ne è, dice, il ricorso che lui ha presentato per l’illegittimità dell’assemblea nazionale. Gli hanno dato ragione, l’organismo è ancora h. E un assist all’accusata arriva persino dai Radicali. La commissione, dice Marco Cappato, farebbe meglio ad «autosciogliersi» perché il loro riunirsi può avere solo una funzione: «violare la Costituzione e il diritto alla libertà di espressione». Se il Pd vuole occuparsi di laicità, «lo deve fare sul piano delle riforme, non del controllo disciplinare sulle dichiarazioni dei suoi parlamentari». In ogni caso non è detto che il "processo" si faccia. Come spiega a libero Bianca Trillò, avvocato civilista e uno dei garanti, i ricorsi finora esaminati hanno sempre riguardato questioni procedurali. Uno è quello di Lettieri. Un altro riguardava l’elezione del segretario regionale in Sardegna. Trillò è prudente: «Finché non vedo le carte, non dico nulla». Detto questo, «bisogna valutare se la commissione è competente sulla materia». Cioè se può esprimersi su materia politica. Senza contare che l’organismo dei garanti è una sorta di Cassazione. Come nella giustizia ordinaria, è l’ultimo gradino a cui appellarsi. «In genere ci si rivolge prima ai collegi di garanzia regionali ». Oggi si riuniranno per esaminare il ricorso.

giovedì 30 ottobre 2008

Così Obama vuole conquistare il voto di Dio

La Repubblica 30.10.08
Così Obama vuole conquistare il voto di Dio
di Giancarlo Bosetti

Nei sondaggi Obama conquista i credenti più di McCain e rimescola i rapporti tra fede e politica. Quello religioso non è il tema dell´ultima fase della sua campagna, ma lo è stato di tutta. «Riconciliare» fedeli e Democrats è un suo messaggio base fin dal principio. E molto prima di candidarsi, alla convention di Boston del 2004, il senatore di Chicago scosse i liberals americani con un discorso che cominciava parlando di fede: «Anche noi Democratici veneriamo un Dio formidabile».
Adesso è riuscito a sorpassare l´avversario tra i cattolici e i protestanti storici (non evangelici). Nei sondaggi che scompongono gli elettori tra gruppi confessionali (Pew Research-Forum on Religion) il rovesciamento dei rapporti di forza nelle intenzioni di voto è netto da 39-52% a 50-40% tra i cattolici e da 40-50% a 48-43% tra i protestanti. E si tratta dei cattolici non ispanici, perché tra i latinos la prevalenza del Democratico sul Repubblicano è meno problematica, così come tra i non affiliati ad alcuna Chiesa, per non parlare dei protestanti neri, stabilmente pro Obama intorno al 95%. Ma qualcosa si muove, negli ultimi due mesi, anche nella roccaforte inespugnabile del voto repubblicano: gli evangelici, tra i quali sale dal 18 al 24% (McCain dal picco del 74 al 67%, effetto Palin). Si tratta del serbatoio profondo di consensi che Bush riuscì a mobilitare nel 2004 spostando la campagna dal disastro Iraq ai "valori morali" e contro il matrimonio gay.
L´efficacia di Obama tra i credenti non ha niente di casuale. È il risultato di un progetto. E rappresenta il più evidente valore aggiunto della candidatura di Obama nei confronti di Hillary Clinton, la quale difficilmente avrebbe potuto rompere la diffidenza dell´elettorato religioso (la stragrande maggioranza degli americani). L´ex first lady, protestante metodista, non ha mai sottovalutato, ovviamente, l´importanza della fede nella vita politica del suo paese, ma la sua generazione è collegata, nell´immaginario sociale, al ´68 e all´ascesa dei diritti di scelta, all´evoluzione individualista e libertaria del costume. E anche a molte altre cose, che più o meno rozzamente nella campagna avversaria, hanno intrecciato il progressismo americano con una visione materialistica, edonistica ed egoista della vita, e anche a una rottura con la fede.
Il "liberalismo standard", inteso come – diremmo noi – progressismo laico, presta il fianco alle offensive del populismo conservatore, agli attacchi anti-elitisti condotti nel nome dei principi della famiglia e delle paure della gente comune. La parte della società che si preoccupa del deficit etico, della perdita di coesione, della crisi generale di orientamento, aveva trovato in questi anni risposte più soddisfacenti tra i Repubblicani. La crisi economica avrebbe potuto non ridurre, ma acutizzare questa tendenza. Non importa che i leader democratici degli ultimi decenni siano stati in qualche caso ferventi religiosi (vedi Carter) anche più dei Nixon e dei Reagan. Il pendolo dei consensi tra la gente di fede ha avuto una lunga oscillazione che l´ha portato a destra. Kerry non aveva saputo fare molto per contrastare la forza elettorale di Bush e la presa della New Right religiosa.
Solo Obama, in questo più attrezzato di McCain anche per ragioni biografiche, è riuscito – almeno nei sondaggi – a rompere questi allineamenti, facendo pienamente suo il tema del "deficit morale" della vita delle famiglie, del "deficit di empatia" nella condizione della società americana contemporanea, e assumendo la religione, la pluralità delle fedi, come risorsa indispensabile per fronteggiare la crisi. Una prospettiva che in Europa si usa ora definire "post-secolare". Di fronte alla richiesta dei religiosi di influire sulla vita pubblica, la risposta standard di un liberal – ha teorizzato Obama in questi due anni di battaglie politiche – consiste nel rimandare alla libertà lasciata da un regime pluralista. (Sei cattolico o evangelico? Allora non unirti a un omosessuale, non abortire, ma non impedirlo agli altri), ma oggi questa risposta non gli appare più sufficiente.
La comprensione reciproca tra credenti e non credenti deve andare oltre per apprezzare meglio gli uni le ragioni degli altri, e per cercare di interpretarne e tradurne il senso anche nella vita politica. Nulla da revocare della cultura costituzionale americana jeffersoniana che, con il primo emendamento, preserva le istituzioni e la società dal pericolo di un monopolio religioso da parte di qualsivoglia chiesa, ma il passo avanti che Obama invoca a gran voce (anche se sull´aborto ha finora votato come un laico standard europeo) è la fine di una contrapposizione che ha scavato un solco tra chi pratica una confessione e chi non la pratica, mettendo gli uni e gli altri in caricatura: da una parte i religiosi come ossessionati esclusivamente dalla lotta ai matrimoni gay, dalle preghiere a scuola e dal desiderio di proibire l´insegnamento darwiniano, dall´altra i liberal come viziosi dediti all´aborto e a ogni genere di devianza sessuale. Viva la forza morale e coesiva delle religioni, dice Obama, ne abbiamo bisogno, ne hanno bisogno anche i liberals, non solo per ragioni elettorali, ma anche e soprattutto perché, senza quelle risorse e divisi, non potremmo affrontare le sfide del tempo e del nostro destino comune.

mercoledì 24 settembre 2008

Il Partito-che-non-c’è, un’eterna illusione dei laici

Il Partito-che-non-c’è, un’eterna illusione dei laici

Corriere della Sera del 24 settembre 2008, pag. 47

di Filippo La Porta

Massimo Teodori con Storia dei laici (Marsilio) ha scritto un saggio accurato di storia dei movimenti e delle idee, ma anche un libro «visionario», un malinconico elogio del Partito-che-non-c’è (pensando al Neverland di Peter Pan potremmo dire il Neverparty...). La galassia della terza forza - il mondo laico e antitotalitario - pur influente su altri piani (della cultura, del giornalismo) non si è mai tradotta in una forza politica incisiva, a parte certi tentativi riformatori di Lombardi. Perché? Colpa delle due chiese ideologiche incombenti (Pci e Dc), e anche perché si trattava di un «ircocervo»(Croce), una costruzione cioè astratta e troppo problematica per non essere minoritaria nell’Italia elenco-comunista...



Teodori riempie meritoriamente un vuoto storiografico e ci offre un repertorio documentato della terza forza nell’ultimo mezzo secolo, attraverso i ritratti di singole personalità (notevole quello di Adriano Olivetti) e di riviste.



Vorrei solo aggiungere una riflessione. La terza forza, elettoralmente ininfluente, ha avuto però negli anni Settanta un clamoroso risarcimento, ad opera di Pannella e Scalfari, un tempo uniti nelle file radicali. ll primo con la vittoria sul referendum per il divorzio, il secondo con la invenzione della Repubblica hanno per la prima volta tradotto idee e umori di ispirazione laica in un senso comune maggioritario. Hanno contribuito a modernizzare questo Paese. Eppure a entrambe queste esperienze è mancata una riflessione più radicale sugli italiani e sulla modernità stessa. Il divorzio, conquista civile decisiva, è stato anche - ambiguamente - un diritto in più, aggiunto ai molti diritti del cittadino-consumatore. La Repubblica, pur denunciando con puntiglio le tentazioni autoritarie della nostra democrazia, finisce con il celebrare - fatalmente, in quanto giornale di massa -- gli idoli sociali del successo, del denaro, della fama, eccetera.



Nell’area variegata della terza forza convivevano filoni diversi. La sua storia è attraversata non solo dall’opposizione tra i due numi tutelari Croce e Salvemini (già nel 1945!), e dalla varietà multiforme di correnti ideali, ma dal persistere di un,pensiero radicale sul mondo contemporaneo: penso a Nicola Chiaromonte, alla sua limpida riflessione sul potere, sulla verità, sul senso del limite, al suo sforzo di ripensare le basi stesse - precarie - della nostra civiltà dopo la catastrofe bellica, in sintonia con Camus, Simone Weil, Hannah Arendt e altri maestri eretici ospitati sulla rivista Tempo presente... Nel’68 scrisse che la rivolta studentesca, pur legittima, condivideva con il nemico l’unico ideale indiscusso dell’uomo moderno: la soddisfazione di tutti i bisogni, l’«egomania». Al Neverparty, via via appiattito sul presente, sulla società italiana, è mancato sempre più quel senso di emergenza storica e soprattutto quella dimensione critica, di riflessione antropologica (mescolando cultura e politica le ha perse entrambe...). Se l’avesse conservata, la nostra immaginazione morale ne sarebbe oggi rinforzata.

sabato 13 settembre 2008

Le banche islamiche preparano lo sbarco in Italia

La Repubblica 10.9.08
Allo sportello con le regole del Corano
Le banche islamiche preparano lo sbarco in Italia. Il dossier sul tavolo di Draghi
di Ferdinando Giugliano

Rischi di conflitto con la nostra normativa anche su un semplice mutuo

ROMA - Un´opportunità per gli immigrati nel nostro paese, ma anche e soprattutto per le aziende italiane. È la cosiddetta finanza islamica, un insieme di strumenti basati più sull´etica del Corano che sulla religione islamica, e che potrebbe garantire ai mussulmani in Italia un sistema bancario adatto alle loro esigenze, oltre ad avere tutte le potenzialità per diventare un canale preferenziale per gli investimenti arabi nel nostro Paese.
Sono quattro i princìpi cardine del sistema finanziario islamico: il divieto del pagamento di interessi (riba), quello di investire in attività che comportino irragionevole incertezza ed ambiguità (gharar), il divieto di speculazione (maisir) e quello di investire in attività economiche proibite dal Corano, quali armi, pornografia o gioco d´azzardo (haram). Princìpi, questi, che hanno permesso alle banche islamiche di navigare in acque relativamente tranquille durante la crisi dei subprime, proprio per il divieto di commercializzare prodotti particolarmente complessi come i derivati.
Queste stesse norme possono, però, entrare in conflitto con la normativa vigente in Italia. Il rischio non riguarda tanto il caso in cui prodotti di finanza islamica venissero venduti da banche del nostro Paese. «Il problema - spiega Ermanno Mantova, presidente dell´Istituto di Studi Economici e Finanziari per lo Sviluppo del Mediterraneo - riguarderebbe soprattutto la creazione di un vero e proprio "istituto di banca islamica"». Un istituto che, conferma l´ex-direttore generale della banca italo-libica Ubae, Matragna, «potrebbe presentare problemi di tipo normativo e fiscale».
Questo perché, per esempio, la finanza islamica non permette di accendere un mutuo con interesse, ma fa comprare la casa alla banca per poi farla affittare al cliente ad un prezzo che comprende il costo del denaro, fino a quando, corrisposto il pagamento, la casa viene "regalata" al cliente. Così facendo, il problema normativo sorge perché le banche sono di fatto possessori della casa e perciò meno attente alla solvibilità del cliente, andando ad minare uno dei pilastri del sistema creditizio italiano. Quello fiscale, invece, nasce perché il doppio passaggio di proprietà porta le parti a pagare due volte l´imposta di registro, la prima quando la banca compra la casa e la seconda quando la dà al cliente.
Problemi di questo tipo richiedono un intervento da parte del legislatore e delle autorità di vigilanza. «Abbiamo avviato contatti informali con il governo e con la Banca d´Italia, e queste istituzioni - dichiara Hatem Abou Said, incaricato per conto della Islamic International Bank di Londra di costituire una banca islamica in Italia - e credo che non sarà impossibile avere le autorizzazioni necessarie entro il 2008». Non ci sono risposte ufficiali, ma è noto che la Banca d´Italia ha cominciato a studiare l´argomento. L´opportunità è grande, e non solo per gli stranieri in Italia. «Con le banche islamiche - aggiunge Mantova - potrebbero arrivare i petroldollari del Golfo». E, di questi tempi, chi è che direbbe loro di no?

sul «ritorno» della religione dopo la fine delle ideologie

Corriere della Sera 12.9.08
La religione c'è sempre stata, in alcune fasi è stata latente od oscurata dalle ideologie. Il comunismo era una religione sostitutiva
Il dibattito Su «Aspenia» dialogo sul rapporto tra il credo e la politica, sul «ritorno» della religione dopo la fine delle ideologie
di Giulio Tremonti e Massimo D’Alema

Tremonti, D'Alema e il Secolo Religioso «Era della coscienza». «Laicità a rischio»
Ministro ed ex premier d'accordo: qui la fede non è confinabile alla dimensione privata
Oggi vengono messi in discussione i fondamenti stessi dello Stato laico europeo, perché libertà e cittadinanza non si fondano sulla verità

Il nuovo numero di Aspenia, la rivista trimestrale diretta da Marta Dassù, ragiona di religione e politica: «Il ritorno della religione nel dibattito pubblico, sul piano della politica globale e della politica tout court». Apre il dibattito il dialogo tra l'ex premier Massimo D'Alema e il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, che si confrontano su «Dei, patrie e famiglie». La domanda di partenza è se il XXI secolo si profili come un secolo religioso dopo la crisi delle ideologie. Per entrambi è improprio parlare di ritorno della religione: secondo D'Alema «si presenta in modi e gradi diversi in aree differenti del mondo»; Tremonti giudica «falsa» quest'idea perché «la religione c'è sempre stata, se pure con intensità diverse». Tra i temi toccati anche la «deprivatizzazione» della religione in Europa, su cui D'Alema e Tremonti si trovano concordi nel sostenere che il fenomeno religioso non è mai stato confinabile in una dimensione privata.
Nella sezione Scenario, dedicata a fede e ragione, l'ex premier Giuliano Amato e il presidente della Fondazione Magna Carta Gaetano Quagliariello dialogano su «Il ritorno di Dio».

Aspenia: «Il XXI secolo si profila come un secolo religioso, dopo che la fine della guerra fredda ha segnato la crisi delle ideologie secolari del secolo scorso, non solo il comunismo ma anche le forme estreme di liberalismo economico. Condividete questa impostazione?
MASSIMO D'ALEMA: «Certamente è tramontata l'idea che aveva preso il sopravvento nella fase culminante della secolarizzazione, e cioè che la religione potesse essere confinata in una sfera privata. Il peso che le religioni sono tornate ad assumere nella sfera pubblica è legato al declino delle ideologie e delle grandi narrazioni novecentesche. In fondo, l'ultimo sussulto delle ideologie del Novecento è stata l'ideologia della fine delle ideologie, con la famosa teoria, dopo il crollo del Muro di Berlino, della fine della storia. Inutile dire quanto tale teoria si sia dimostrata fallace. E non c'è dubbio che l'11 settembre abbia aperto un secolo nuovo. Ma non so dire, onestamente, se sarà davvero un secolo religioso. Per la semplice ragione che il ritorno della religione — in quanto bisogno di dare un senso non solo all'esistenza ma alla convivenza umana — si presenta in modi e gradi diversi in aree differenti del mondo. (...) Dominique Moïsi distingue fra tre grandi aree: quella della paura, che saremmo noi, l'Occidente; quella del rancore, e cioè il mondo islamico; e infine l'area della speranza, in cui rientrano la società asiatica e le grandi aree emergenti. È in questa ultima parte del mondo che la religione conta di meno. Naturalmente, l'elemento religioso è comunque importante, per esempio in paesi come l'India; ma quel che voglio dire è che nelle aree emergenti ed economicamente vitali, lo spazio pubblico è dominato da una certa fiducia nel progresso, e quindi nel proprio futuro. La religione, invece, conta moltissimo nel mondo occidentale e nel mondo islamico; nel primo sono nate nuove paure, anche come risultato dei processi di globalizzazione; nel secondo domina la frustrazione».
GIULIO TREMONTI: «L'idea del «ritorno della religione» per me è un'idea falsa. Se l'unità temporale su cui si basa la domanda è quella del secolo, allora non credo proprio che la religione sia mai «scomparsa» e per di più per tutto un secolo, quale che sia il secolo. La religione c'è sempre stata, se pure con intensità diverse: in alcune fasi è stata dominante, in altre latente, in altre ancora — soprattutto nel Novecento— è stata in parte oscurata dalle grandi ideologie, configurate a loro volta come religione sostitutiva. Il comunismo è stato costruito, prospettato e poi vissuto come una religione sostitutiva. Lo stesso partito comunista, del resto, era gerarchicamente e simbolicamente costruito come una chiesa. Tra le tante, una delle follie del nazismo consisteva proprio nella sua cifra di religione pagana. Fuori dalla dimensione temporale (il secolo) c'è piuttosto nella domanda la dimensione dello spazio. Qui, se la dimensione spaziale coincide con la dimensione globale, concordo nel vedere forti asimmetrie e discontinuità. In molte società emergenti, la componente della religione ha, in effetti, una rilevanza abbastanza tenue. Ma non è così in altre parti del mondo. Sarebbe una forzatura dividere il mondo in aree omogenee. Prendiamo per esempio il caso della Cina: pur dentro il nuovo meccanismo comunista/capitalista, la dimensione religiosa è molto forte, l'etica confuciana continua a essere fondamentale.. (...)»
ASPENIA: Benedetto XVI sostiene che «in un mondo senza verità, la libertà perde il suo fondamento e la democrazia senza valori perde la sua anima». Come valutate il messaggio del papa dell'Occidente? È il segno di un'inversione di tendenza, di una sostanziale «deprivatizzazione » della religione nell'Europa postsecolare? L'Europa, insomma, abbandonerebbe il laicismo per diventare più simile all'America, dove la religione è sempre stata considerata una risorsa per la democrazia?
TREMONTI. «L'americanizzazione dell'Europa... lascerei questa formula, un po' novecentesca, a Gramsci e a Ortega y Gasset. Piuttosto, non credo nella separazione tra dimensione privata e dimensione collettiva della religione. Quella della privatizzazione della religione è un'idea laica e perciò un'idea esterna alla religione. La nostra religione, per come è costruita e per come è stata vissuta per secoli da milioni di persone, è sempre stata insieme interna ed esterna: un modo di riferirsi agli altri. Non c'è mai stato, in questa dimensione, l'individuo da solo, ma la persona in rapporto non solo con se stessa, ma anche con la famiglia, e la famiglia in rapporto con la collettività. È stato fatto anche un discorso sul progresso e sulla crisi. In Occidente, il progresso, l'idea del progresso con il crescente benessere che ne è derivato, ha creato un effetto di euforia, a sua volta progressiva. Ora la fase euforica sembra terminata con la crisi. Credo che sarebbe terminata comunque, per il suo stesso eccesso parossistico. Alla fine, quando hai troppe cose e inutili, quando tutto diventa insufficiente in modo paradossale, insufficiente per eccesso, torni a porti interrogativi più fondamentali e per così dire valoriali, sulla tua ragione d'essere esistenziale. Soddisfatta la domanda di beni materiali, torni naturalmente ai valori immateriali. Il crescere del benessere produce prima un'euforia che porta le persone in una dimensione «nuova» rispetto a quella tradizionale. Ma poi, fatalmente, l'euforia termina. La crisi, se c'è, se arriva, accelera solo questo processo. La crisi può rendere evidenti alcuni elementi di rottura, ma al ritorno della religione (che in realtà c'è sempre stata) saremmo arrivati comunque».
D'ALEMA: «Tornerei alla domanda di partenza: se il messaggio del papa sia il segno che il rapporto tra politica pubblica e religione, in Europa, è ormai più simile a quello americano. La mia risposta è semplice: sì. Sono d'accordo con Tremonti quando dice che il fenomeno religioso, in Europa, non è stato mai confinabile in una dimensione privata. Difficile dimenticare, del resto, che il cattolicesimo italiano, in particolare, è stato un grande fenomeno sociale e politico, tanto che ha governato per cinquant'anni l'Italia. Ma oggi, col ritorno della religione nella sfera politica, quella che viene messa in discussione non è la secolarizzazione edonistica. Vengono messi in discussione i fondamenti stessi dello Stato laico europeo, come si è venuto configurando dal XVII secolo in poi. La sfida culturale è a questa altezza. Lo Stato laico europeo nasce infatti dalla considerazione che la libertà non può fondarsi sulla verità. E nasce all'indomani delle guerre di religione, quando si prende atto che la pretesa di fondare la cittadinanza sull'appartenenza religiosa —
cuius regio eius religio — porta alla guerra e da tutto ciò si esce proclamando che lo Stato è laico perché le libertà e la cittadinanza non si fondano sulla verità. Ora, non vi è dubbio che oggi, per la crisi profonda dell'Occidente, che è una crisi culturale e ideale prima che economica, ci troviamo anche di fronte a un ritorno religioso che è legato alla ricerca di senso. Ma esiste anche questa vena integrista, che mette in discussione non l'edonismo, ma il fondamento stesso della laicità dello Stato. E quindi io distinguo tra il ritorno prepotente della fede religiosa come modo per dare un fondamento etico alla propria esistenza individuale, e l'uso politico della religione». (...)
ASPENIA: Di fronte ai dilemmi che pongono la scienza, la biotecnologia, non è un anacronismo paventare una restaurazione del potere temporale della chiesa?
D'ALEMA: «Io non temo la restaurazione del potere temporale della chiesa. È legittimo che i cristiani facciano vivere i loro valori, come disse Aldo Moro all'indomani della sconfitta cattolica al referendum sul divorzio; ma pretendere di imporli per legge urta con la coscienza moderna. Anche perché tutto ciò può rappresentare un impedimento alla libera ricerca scientifica, e questo va evitato. È evidente che il legislatore deve confrontarsi con problemi nuovi, ma il mio timore non è che torni il papa re. La mia paura è un'altra: che in questa sorta di sposalizio con l'Occidente malato, che si volge alla religione in chiave identitaria e che riscopre le radici cristiane in una chiave difensiva, la chiesa rischi di perdere l'universalità del messaggio cristiano. Questa universalità del messaggio cristiano la sentivo di più, devo ammetterlo, nel precedente pontificato, in cui peraltro l'elemento di integrismo religioso era fortissimo e anche molto critico verso gli esiti della globalizzazione, prendendo spesso il posto di una sinistra silente. Mentre nel papato di Ratzinger avverto assai di più il legame con l'Occidente, e l'avverto come un limite all'universalismo cristiano».
TREMONTI: «È corretto iniziare la nostra riflessione su questo punto, proprio, come suggerito, dalla pace di Westfalia, il cui dictum era cuius regio eius religio. Ma appunto: cuius regio eius religio. Religio. Questa parola e non altre. E questo semplice fatto è prova in sé, insieme assoluta e storica, della rilevanza propria della componente religiosa. Nei secoli la "cifra" religiosa sale, scende, viene oscurata, poi riprende, ma non per caso — ripeto — la formula che è usata ancora oggi è cuius regio eius religio, non eius altro. Ciò premesso, una discussione utile va comunque sviluppata, separando la dialettica strumentale da quella sostanziale. La prima utilizza i fatti religiosi in termini polemici. In questi termini, sullo stesso piano degli atei devoti, credo che possano essere messi anche i laici polemici. Zapatero, per esempio, ne è l'eroe eponimo. (...) Detto questo, escludo che, nel tempo presente, ci sia il rischio di un ritorno del potere temporale. La dialettica tra atei devoti e laici polemici, con il relativo apparato di argomenti strumentali, è tuttavia, come dicevo, e per fortuna, relativamente marginale. Sostanziali, sulla dividente "destra"-" sinistra", sono invece altre grandi questioni. Il matrimonio è stato una di queste grandi questioni. E, soprattutto, la scienza. (...) Non ci limitiamo più alla fase gnoseologica, a conoscere la vita, ma agiamo sulla vita, tentando di crearla o di ricrearla. Certo, anche la bomba atomica agiva sulla vita, ma in negativo, la distruggeva. Poneva dilemmi morali drammatici, ma diversi da quelli che si presentano ora. Un conto è infatti distruggere la vita, un conto è crearla. Distruggere la vita è drammatico, ma crearla è diverso e ancora più drammatico. Si sta avverando la profezia di Malthus, la profezia dell'uomo che non dipende da un'origine, ma che è origine esso stesso: la bestiaccia della favola era già la profezia del postumano, la fabbrica di nuovi corpi o di nuovi ectoplasmi. Sono dilemmi che non si pongono solo a destra, si pongono anche a sinistra. Ma è con questo e proprio per questo che la sinistra ha perso un'altra delle sue basi storiche di sicurezza: l'assoluta sicurezza nella scienza come matrice infallibile di progresso. Per come vedo e sento, sono fortemente convinto dell'ipotesi che una maggiore luce della scienza potrà portare con sé una maggiore luce della ragione e, con questa, anche della coscienza. La dialettica profonda è infatti tra ragione e fede, tra scienza e coscienza, sapendo che devono stare tutte insieme». (...)

martedì 9 settembre 2008

L'appello del Papa

il Riformista 9.9.08
L'appello del Papa
Dai movimenti al Parlamento. Politici cattolici, alla fine ci pensa Ruini?
di Paolo Rodari

Non sono pochi i vescovi della Chiesa italiana che ritengono che alle parole pronunciate l'altro ieri dal Papa, secondo le quali serve al mondo della politica «una nuova generazione» di «cristiani impegnati» che con «competenza e rigore morali» cerchino soluzioni di «sviluppo sostenibile», occorra rispondere in fretta. Ma per tutti una cosa è evidente: la risposta non possono più essere quelle scuole di formazione politica che, sul finire degli anni Settanta e l'inizio degli Ottanta, provarono a occupare quello spazio che gradatamente lo sfaldamento della Democrazia cristiana stava lasciando libero dietro di sé: le scuole fallirono (erano nate come funghi ovunque, soprattutto nelle parrocchie, negli istituti religiosi, nei centri culturali e nelle diocesi) anche perché - come spiega al Riformista Luca Diotallevi - «la politica è una prassi, non è un episteme, e dunque non s'impara a scuola». Non solo. Secondo Diotallevi il richiamo più importante fatto dal Pontefice domenica risiede nella richiesta «che queste nuove generazione di laici lavorino per il bene comune». In sostanza, è una richiesta che va in scia a quanto il cardinale Camillo Ruini intende debba essere la presenza cattolica in politica: non la fossilizzazione in un unico partito per difendersi dal nemico, quanto una proposta culturale della propria identità a 360 gradi, correndo magari il rischio della contestazione e, a volte, della marginalizzazione.
Dunque il cardinale Ruini: attraverso la presidenza del progetto culturale, sarà lui a continuare la linea intrapresa dalla Chiesa con la fine della Dc: basta col partito unico, sì al bipolarismo e soprattutto a un'opera di riavvicinamento, di ri-affezione dei cattolici al lavoro culturale e quindi anche all'impegno politico.
La risposta alle parole del Papa, insomma, è dal basso che deve sorgere, da dove già ci sono luoghi e persone "vivaci", interessate alla promozione del bene comune e, dunque, all'impegno anche in politica. Sono luoghi non difficili da elencare e che soltanto oggi, dopo i quindici anni di guida della Cei di Ruini, sembrano aver trovato le energie giuste per emergere. Per dire: «Eccoci, i nuovi cattolici in politica siamo noi».
Innanzitutto ci sono le Acli che stanno costituendo una propria fondazione. Si chiama "Achille Grandi" e il suo scopo è quello di creare un circolo virtuoso tra formazione alla cittadinanza e formazione politica. In sostanza, la fondazione vuole creare dei luoghi di incontro, aiuto e formazione permanente non soltanto per i politici, ma per tutti quei laici impegnati nella ricerca del bene comune. È, negli intenti, l'opposto di quelle scuole di formazione politica in voga all'inizio degli anni Ottanta. Il metodo è ribaltato. Si offrono luoghi di sviluppo di tutta la persona ai quali futuri politici e coloro che già sono impegnati in politica, possono attingere forze, energie, idee.
Anche il Movimento politico per l'unità dei focolarini si muove più o meno così: dare un'anima, un'ispirazione, alla politica attraverso incontri nelle sedi parlamentari, regionali, nelle città, convegni e seminari di studio, grandi manifestazioni. Affinché una politica volta all'unità e alla ricerca del bene comune sia messa in campo. È più o meno la stessa scia sulla quale navigano oggi l'Azione cattolica, la Fuci, l'Mcl e tanto associazionismo cattolico.
Simile, ma con sfaccettature diverse, è quella Rete Italia fondata dai politici Formigoni, Lupi e Mauro. I tre ciellini hanno aggregato attorno a sé amministratori locali, studenti universitari, giovani attirati dalla politica e simpatizzanti di vario genere, interessati a essere formati a un certo modo di fare politica. In pratica il modello a cui guardare è quello lombardo da anni nelle mani di Formigoni. I tre hanno messo su anche una scuola dove si apprende "come fare politica" ma, più in generale, anche qui è un luogo che fa da collante tra un certo cattolicesimo impegnato (Cl) e l'attività politica.
A Roma, nel palazzo detto dei "cento preti", un tempo ricovero per i sacerdoti della diocesi, risiedono tre organizzazioni cruciali per il mondo dell'associazionismo cattolico. Non fanno politica in senso stretto ma incarnano alla perfezione l'idea che più che di scuole politiche vi sia bisogno di uomini capaci di influenzare la politica sui temi più importanti. Ai "cento preti" c'è il settore "vita" coordinato da Scienza & Vita, quello "società" da Retinopera e la lobby della "famiglia" coordinata dal forum delle associazioni familiari.


sabato 30 agosto 2008

L’alimentazione artificiale spacca le «due anime» del Pd

l’Unità 30.8.08
L’alimentazione artificiale spacca le «due anime» del Pd
I Teodem con i forzisti. Il senatore-chirurgo: rispettare la Carta
di Maria Zegarelli

RITARDI Negli Stati Uniti se ne è parlato - e si è fatta una legge - un terzo di secolo fa. A seguire tutti gli altri Paesi hanno affrontato il delicato tema del testamento biologico. Lo hanno fatto la Spagna, la Germania, l’Australia, la Nuova Zelanda, solo per citarne alcuni. L’Italia da tre legislature affronta il tema della fine della vita senza riuscire a trovare un punto di sintesi. Nel precedente governo Berlusconi l’allora senatore Cdl Antonio Tomassini - attuale presidente della Commissione Sanità - presentò un disegno di legge che fu approvato all’unanimità dalla Commissione ma non approdò mai in Aula. Il contenuto non era molto diverso da quello che durante la scorsa legislatura fu presentato da Ignazio Marino (suo successore a capo della Commissione) e firmato dall’allora capogruppo Anna Finocchiaro. Ma le posizioni della Cdl cambiarono, forte di quel fragile equilibrio su cui si reggeva l’Unione. Parlare di temi etici nell’Unione equivaleva a camminare sulle sabbie mobili. C’erano i cattolici di Mastella e i teodem del Pd che su aborto, fecondazione assistita, testamento biologico (ma anche i Dico) minacciavano le barricate. Un lavoro certosino quello di Marino per cercare la sintesi su cui far convergere i consensi. Dopo 49 audizioni di scienziati ed esperti Marino arrivò ad un testo caduto, poi, insieme al governo Prodi a cui Mastella aveva posto fine per altri motivi. Ma già allora era chiaro che difficilmente si sarebbe arrivati ad una legge. Su un punto il dialogo si è arenato: l’idratazione e la nutrizione artificiale del paziente. Quelle che ancora oggi tengono in vita-non vita Eluana.
Secondo Paola Binetti, deputata Pd, teodem, interrompere l’idratazione e la nutrizione artificiale del paziente equivale a mettere in pratica l’eutanasia. È tutto qui il nodo politico attorno a cui si è aggrovigliata la discussione parlamentare durante il governo Prodi (erano 12 i ddl depositati in commissione Sanità al Senato, mentre oggi ce ne sono 14 tra Palazzo Madama e Montecitorio) e su cui rischia di aggrovigliarsi durante quella in corso. Con la differenza che stavolta sembra profilarsi una pericolosa - per il Pd - «alleanza» tra teodem e pezzi di Pdl. Ignazio Marino - scienziato made in Italy con una esperienza ventennale negli States - ha depositato un ddl lo scorso aprile su cui hanno apposto la loro firma 101 senatori. «Durante la scorsa legislatura - spiega Marino - ho fatto tesoro di quelle 49 audizioni, ho ascoltato i dubbi e i suggerimenti che ognuno dava al nostro lavoro. Da qui la decisione di escludere dal testo depositato pochi mesi fa l’obbligatorietà del testamento biologico e di aggiungere un’intera parte dedicata alla terapia del dolore e alle cure palliative. Il nostro obiettivo è quello di dotare l’Italia di una legge umana, che rispetti il dettato dell’articolo 32 della Costituzione». Nessuno può essere sottoposto contro la sua volontà a trattamenti medici: questo il faro, la direzione da seguire.
Nella legge si affronta anche un altro drammatico problema: la distribuzione sul territorio degli «hospice». Attualmente ce ne sono 120: 103 nel Nord, 3 nel Sud, il resto nel Centro. Nel Nord ci sono 25 milioni di abitanti, nel Sud 22. Un paese a due velocità, anche in questo caso. «Con il nostro testo - dice Marino - prevediamo un potenziamento di queste strutture, che possono ospitare pazienti come Eluana, anche nel Sud per colmare un vuoto che ricade completamente sulle spalle delle famiglie». Eppure, ancora una volta, la politica si spacca. Il Pd stesso si spacca. Emanuela Baio Dossi, infatti, ha presentato un suo ddl di legge - con le firme bipartisan di molti senatori cattolici - che converge con le posizioni espresse ieri da Maurizio Lupi (Pdl): «Primo: idratazione ed alimentazione non sono cure mediche. Quindi non si possono sospendere. Secondo: la volontà della persona deve essere continuamente reiterata, oggi puoi pensare una cosa... ma domani?». «Licenziare una legge che esclude idratazione e nutrizione dai trattamenti medici vuol dire impedire alle persone di esprimere la propria volontà - replica Marino -. Di fatto la legge sarebbe peggiorativa del dettato costituzionale». Il presidente del Senato Renato Schifani si è impegnato alla ripresa dei lavori parlamentari a dare priorità al dibattito. Stesso impegno assunto dal presidente della Commissione Sanità. Come è emerso da un sondaggio Euripes è l’86% dei cittadini a chiedere una legge sul testamento biologico.

Pd, duello sul testamento biologico

l’Unità 30.8.08
Pd, duello sul testamento biologico
di Tommaso Galgani

«Non si tratta di voler staccare la spina a nessuno. Ma di dare la possibilità a tutti di decidere per sé quali trattamenti ricevere in caso di malattia terminale. E fino a che punto farlo, mettendolo per iscritto». Ignazio Marino replica così alle posizioni di Paola Binetti sul caso di Eluana che sull’argomento appare più vicina alle posizioni del Pdl. Il confronto tra i due parlamentari del Pd va in scena alla Festa di Firenze. Intanto il Parlamento è pronto ad affrontare l’esame delle proposte di legge.

«ELUANA? Il suo cuore batte, e di giorno passeggia anche in carrozzina». Paola Binetti fa scattare così il brusio del pubblico, ieri durante l'incontro col collega di partito Ignazio Marino sul tema del testamento biologico, alla Festa Democratica in Fortezza a Firenze. La senatrice teodem del Pd, dopo quella frase, scalda la platea: «Ah, Eluana passeggia pure», le urla sarcastica una signora dalle prime file. In diverse occasioni la Binetti, che ha ribadito di essere pronta a votare col Pdl una legge in materia perché «quando si parla della difesa della vita non hanno senso né la destra né la sinistra», suscita il borbottìo della cinquantina di persone accorse ad assistere al dibattito. Che lentamente lascia perdere anche gli applausi di cortesia e mano a mano che procede la discussione fa partire anche qualche fischio.
L'applausometro della platea decisamente sorride a Marino, che a fine serata si ritrova anche qualche bigliettino in tasca da parte di alcuni militanti democratici che lo esortano ad andare avanti sulle sue posizioni in materia. Ma soprattutto quando si sforza di ribadire dal palco il principio guida del suo ddl sul testamento biologico, sottoscritto da 101 senatori: «Non si tratta di voler staccare la spina a nessuno. Ma di dare la possibilità a tutti di decidere per sé quali trattamenti ricevere in caso di malattia terminale. E fino a che punto farlo, mettendolo per iscritto. È un fondamentale principio di autodeterminazione». Tra i due senatori democratici provano a confrontarsi due sensibilità che, pur nella ricerca del dialogo, non sembrano conciliabili (l'unico punto in comune è considerare una necessità l'affrontare la materia dal punto di vista legislativo, dopo anni di discussioni: cosa che il Senato ha messo in agenda per il 2008).
E la Binetti riaccende anche gli animi della platea quando afferma di aver letto sulla rivista dell'associazione Luca Coscioni un modello di testamento biologico in cui una persona afferma di «non voler vivere in caso di sopraggiunta demenza». Dicendo: «Così si va verso il nazismo, che eliminava le persone dementi. Stesso discorso per i malati di Alzheimer». Brusio. Marino prova a smorzare la tensione ricordando che «i Radicali, vicini all'associazione Coscioni, hanno sottoscritto il mio ddl. Anche se loro sono per l'eutanasia legalizzata, per la quale io non ritengo che adesso ci siano le condizioni in Italia. E alla quale sono contrario». Ma l'ennesima dimostrazione di disapprovazione del pubblico arriva quando contesta i dati ricordati da Marino, peraltro comunicati durante un'audizione al Senato dai Rianimatori italiani, sul fatto che il 62% degli anestesisti italiani, negli ultimi giorni di un malato terminale, applichi sui pazienti la «desistenza». «Garanzia reale per il paziente e riconoscimento nella relazione medico-paziente la massima fiducia e la massima dignità di entrambi», continua a ripetere la senatrice, anche lei firmataria di un ddl sul tema. «Sono rimasto molto soddisfatto del dibattito», commenta Marino a fine serata. Che insiste: «Perché dovremmo avere paura di fare una legge che sancisce un principio di libertà?».
Non manca una riflessione sul caso Eluana: «Consiglio a Paola Binetti di recarsi personalmente a trovarla. Si tratta di una persona in stato vegetativo permanente, che comunque può mantenere la sua dignità. Ma resta la mia domanda di fondo: perché non far decidere all'individuo, e non a chiese o magistrati, se vuole arrivare fino a lì?»

giovedì 28 agosto 2008

Fede e politica il dibattito radicale

La Repubblica 27.8.08
Fede e politica il dibattito radicale

BRUXELLES - "Secularism and Religions in the European Union", ovvero "Religiosità e laicità (di fronte alla violenza fondamentalista)", è la serie di "colloqui" in programma da oggi a venerdì a Bruxelles, nella sede del Parlamento europeo. L´iniziativa è promossa dai Radicali italiani come Partito Nonviolento Transnazionale e Transpartito insieme al gruppo Alde (l´alleanza di liberali e democratici) del Parlamento europeo. Radio Radicale trasmetterà in diretta gran parte dell´evento che sarà messo in Rete, in differita, sul sito Internet Radioradicale.it. L´obiettivo del convegno? «È quello di non accettare che di certi temi si dibatta solo nel chiuso dello Stato vaticano-italiano da una parte, e dall´altra nel relativo chiuso dello Stato spagnolo», spiega polemicamente in Rete Marco Pannella.
A discutere di religione, laicità e politica e dei loro intrecci saranno personalità del mondo scientifico, politico e religioso. Da Emma Bonino e lo stesso Marco Pannella a Jacqueline Herremans, presidente dell´Admd, l´associazione belga per il diritto a morire con dignità e Fathy Sidibé Fatoumata del comitato "Ni Putes ni soumises" che interverrà sulla laicità e il diritto delle donne. E poi, tra gli altri: Angiolo Bandinelli, saggista e consigliere generale dell´associazione Luca Coscioni, il teologo Salvatore Rapisarda, Frans Goetghebeur, presidente dell´Unione buddista belga, Chéref-Chan Chemsi, presidente dell´Istituto Europeo per l´Umanismo Musulmano.

martedì 26 agosto 2008

Famiglia Cristiana, il Vaticano si schiera col governo

l’Unità 15.8.08
Famiglia Cristiana, il Vaticano si schiera col governo
Padre Lombardi: «Non ha titolo per riportare i pensieri della Santa Sede». Il Pdl gongola
di Luca Sebastiani

CHIAREZZA Tanto per evitare gli equivoci e mettere i puntini sulle i, ieri il Vaticano è intervenuto nella polemica che da giorni oppone il governo e Famiglia cristiana. Per chiarire la sua posizione e prendere la distanza di sicurezza dagli editoriali del settimanale dei Paolini che ultimamente hanno fatto saltare i nervi, peraltro fragili, della maggioranza. Come quando ha avanzato i dubbi che in Italia stia progredendo una forma strisciante di fascismo.
«Il settimanale è una testata importante della realtà cattolica», ha riconosciuto padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana. Che ha subito aggiunto che nonostante questo «non ha titolo per esprimere né la linea della Santa Sede né quella della Conferenza episcopale italiana». Ergo: «le sue posizioni sono quindi esclusivamente responsabilità della sua direzione». Un’ovvietà per chiunque abbia una minima cognizione di come funzioni la stampa, ma non evidentemente per la destra. Che nel tirarsi fuori dalla mischia polemica da parte del Vaticano, ha voluto leggerci il nulla osta della Santa Sede alla condotta del governo. Maurizio Gasparri, che solo il giorno prima brandiva le minacce di querela ad Antonio Sciortino, il direttore di Famiglia Cristiana, ieri gongolava soddisfatto. «Una sconfessione di questa portata vale mille volte di più di una vittoria processuale per gli insulti subiti». Come lui hanno gioito innumerevoli esponenti della maggioranza. L’ellittico ministro per l’Attuazione del programma Gianfranco Rotondi, che incassate le parole del Vaticano ha benignamente analizzato che «Famiglia cristiana adotta una tecnica pubblicitaria collaudata, a cui collaboriamo tutti con simpatia». O come il battagliero sottosegretario Carlo Giovanardi, che salito sulle barricate contro il settimanale «cattocomunista» negli scorsi giorni, ieri ha preferito smentire le accuse di fascismo rivolte al governo adoperandosi in una visita ad un centro di recupero per tossicodipendenti del vicentino.
Ma la dichiarazione del Vaticano è stata una sconfessione di Famiglia Cristiana? «Non ci sentiamo sconfessati», ha dichiarato il direttore Sciortino che ha precisato a sua volta di non essersi «mai sognato di essere la voce ufficiale del Vaticano o della Cei». Per quello ci sono, rispettivamente, L’Osservatore romano e Avvenire. Quindi, per Sciortino, la dichiarazione del Vaticano è «corretta». «Scorretto», per il direttore è invece chi cerca di usare strumentalmente la voce della Santa Sede. E a destra di questi tentativi ce ne sono stati in abbondanza. Tanto che in serata anche Rosy Bindi è intervenuta per mettere in guardia la maggioranza di «non gioire troppo per l’ovvia precisazione di padre Lombardi, ma di prendere invece sul serio le critiche pesanti che vengono rivolte all'azione di Governo». Critiche, aggiunge la Bindi, «che sicuramente sono condivise da molte famiglie cattoliche italiane, che magari hanno votato per il centrodestra e che oggi sono deluse da un'azione di governo che discrimina la parte più debole del nostro paese». In effetti le critiche di Famiglia Cristiana al governo riguardavano, oltre alla sicurezza, anche la sua incapacità di rispondere alla crescente povertà delle famiglie. Prima che ciò gli valesse l’accusa di «cattocomunismo». «La libertà d'informazione non può essere messa in discussione» ha tuonato ieri Vincenzo Vita del Pd, il quale ha giudicato «alquanto discutibile» anche l’intervento del Vaticano che, ha detto, «non può che apparire come censorio».

domenica 3 agosto 2008

Per restare unito il pd se ne sta zitto

il Riformista 1.8.08
Per restare unito il pd se ne sta zitto
Ora la Procura chiede di fermare la sentenza
di Alessandro Calvi

Corte Costituzionale e Corte di Cassazione. Entrambe potrebbero occuparsi molto presto, direttamente o indirettamente, del caso di Eluana Englaro. Si tratta della ragazza da oltre 16 anni in stato di coma vegetativo permanente sulla quale di recente si è pronunciata, sulla base di una sentenza della Cassazione, la corte di appello di Milano, autorizzando la sospensione dell'alimentazione forzata.
Ebbene, proprio contro quella sentenza della Cassazione si è mossa ieri la Camera che ha dato il suo via libera al conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, chiedendo che la Corte Costituzionale stabilisca se la Cassazione abbia interferito o meno con le prerogative del legislatore. Lo stesso dovrebbe fare oggi il Senato. Se il Parlamento va al frontale con la Cassazione, la procura generale di Milano ha deciso di impugnare la sentenza della corte di appello, ricorrendo proprio in Cassazione. Insomma, un intreccio quasi inestricabile in cui rischia di finire stritolato Beppino Englaro, il papà di Eluana, che ieri, per bocca del legale di famiglia, aveva fatto sapere di voler andare avanti, dando esecuzione alla sentenza della corte di appello di Milano. Ora, però, l'iniziativa della procura generale potrebbe portare in linea teorica alla sospensione della esecutività di quella sentenza, effetto che invece l'iniziativa parlamentare non poteva avere.
Dunque, Beppino Englaro rischia, in un attimo, di vedersi sfuggire dalle mani ciò per cui aveva combattuto, in nome della figlia, per tanti anni ovvero, come ha spesso detto lui stesso, la possibilità di «liberarla». E comunque la pressione sulle sue spalle sta divenendo davvero forte. Quella della magistratura milanese, certo, ma anche quella della politica.
Ad aprire la strada alla possibilità di sollevare un conflitto di attribuzione tra Parlamento e Cassazione era stata una iniziativa del Pdl al Senato. Alla fine, però, complice il dibattito sulla manovra economica che si è preso la precedenza a Palazzo Madama, è arrivata prima la Camera che ha dato un via libera scontato ma anche sofferto. Che infatti Pd e Pdl debbano fare i conti con qualche smagliatura non è un segreto. A favore si è espresso il Pdl, seppure con qualche importante dissenso come quello di Benedetto Della Vedova - ex radicale come Quagliariello con il quale si è giocato quasi un derby. A favore anche Lega e Udc. Contro, invece, l'Idv. E contro sarebbero stati anche i radicali se non fossero stati impegnati a occupare le stanze della commissione di vigilanza sulla Rai. «Niente Aventino», era la richiesta al Pd. Invece, alla fine, Aventino è stato perché il Pd ha preferito non votare. La ragione l'ha spiegata ieri su queste pagine il vicepresidente del Senato, Vannino Chiti, sottolineando che il Pd non avrebbe partecipato al voto per non legittimare una «operazione politica cinica» e l'uso «strumentale di un dramma umano».
E così la giornata di ieri è terminata con un rimbalzo di notizie tra Parlamento e tribunali, tra Roma e Milano. E con il via libera a portare la decisione della Cassazione all'attenzione della Consulta. Soddisfatto, naturalmente, il Pdl. E soddisfatti anche i teodem del Pd per la «manifestazione di unità» data dal partito «non partecipando al voto». È una soddisfazione che porta con sé l'annuncio di una nuova proposta di legge sul testamento biologico che darà qualche grattacapo ai laici del partito. E, anche per questo, quella dei teodem è una soddisfazione che suona quasi come una beffa per il resto del Pd, costretto - anche per evitare di rendere pubbliche le divisioni al proprio interno - a ripiegare sulla strategia del silenzio, se non fosse per una lettera inviata da Antonello Soro a Gianfranco Fini per chiedere una sessione parlamentare dedicata al fine vita.
Oggi si replica in Senato. Non sono previste novità di rilievo se non un ordine del giorno del Pd che, nei contenuti, ricalca la lettera di Soro a Fini. Qualche mal di pancia potrebbe venire a galla nel centrodestra - anche qui ricalcando lo schema già andato in scena alla Camera - ma da quelle parti nessuno sembra agitarsi più di tanto. Il Pd, invece, non voterà, proprio come a Montecitorio. E ieri Donatella Poretti ha confermato lo marcamento radicale anche al Senato.
Insomma, si replica, con un Pd che ieri, se non ci fossero stati i radicali, per il timore di apparire diviso sarebbe rimasto in silenzio, trincerato dietro una posizione ufficiale che è quella di non legittimare l'operazione del Pdl. Si tratta di una posizione comprensibile e che fa perno sulla lettera di Soro a Fini e sull'ordine del giorno portato oggi in Senato per dimostrare che non è vero che il partito abbia perso la voce su temi così importanti. Ma è anche una posizione che, proprio nel chiedere che il Parlamento si attivi sul fine vita e nel negare che il non voto sia dovuto alle divisioni interne, non spiega come mai per ben due anni nella scorsa legislatura il Parlamento non sia stato in grado di farla quella legge. E allora il centrosinistra in Parlamento aveva la maggioranza.

Lo Stato va in crisi per Eluana

il Riformista 1.8.08
Lo Stato va in crisi per Eluana
UN'ACCUSA GRAVE CHE MINA L'EQUILIBRIO ISTITUZIONALE
di Mario Ricciardi

C on il voto favorevole della Camera si mette in moto il procedimento che potrebbe portare la Corte Costituzionale a pronunciarsi sul conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato relativamente alle sentenze sul caso Englaro. Secondo i parlamentari del centro-destra, che chiedono il ricorso a questo strumento di tutela, i giudici hanno violato il confine tra interpretazione e produzione del diritto, arrogandosi di fatto il potere di fare le leggi. Un'accusa di straordinaria gravità che aprirebbe una crisi senza precedenti nei rapporti - per niente sereni - tra magistratura e parlamento.
Tuttavia, ci sono almeno due ragioni di perplessità sulla pretesa avanzata con il voto della Camera. In primo luogo, c'è un dubbio di natura concettuale. Secondo i parlamentari che hanno votato a favore, la Corte di Cassazione avrebbe «travalicato i limiti della funzione ad essa affidata dall'ordinamento, esercitando di fatto un potere legislativo in una materia non disciplinata dalla legge e ponendo a fondamento della sua decisione presupposti non ricavabili dall'ordinamento vigente, neppure mediante l'applicazione dei criteri ermeneutici». L'allusione è ai due principi che la Cassazione ha proposto come guida per le future decisioni in materia, che hanno orientato la successiva pronuncia della Corte di Appello di Milano che ha autorizzato la sospensione dell'alimentazione di Eluana Englaro. Come si ricorderà, la Corte di Cassazione aveva stabilito che tale sospensione è lecita quando «a) secondo un rigoroso apprezzamento clinico la condizione vegetativa sia irreversibile e non vi sia possibilità di recupero della coscienza; b) la richiesta sia espressiva, in base a elementi di prova chiari, univoci e convincenti, tratti dalle precedenti dichiarazioni del malato ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, della sua identità e del suo modo di concepire la dignità della persona». Si tratta di standard formulati in modo generale il cui scopo è suggerire una cornice interpretativa, alla luce del diritto vigente, per le corti di merito che dovessero trovarsi in futuro a decidere su casi simili. Un modo di orientare gli indirizzi della giurisdizione che la Cassazione esercita abitualmente, e che risponde a una ragionevole esigenza di uniformità nell'applicazione del diritto. Suggerire, non ordinare, perché in un ordinamento in cui i precedenti - anche quelli delle corti superiori - non sono in senso stretto fonte del diritto non è immaginabile che la Cassazione abbia inteso produrre norme da applicare immediatamente, senza ulteriore valutazione da parte dei giudici di merito. Ovviamente la sentenza della Cassazione sul caso Englaro è criticabile, come tutte le sentenze, e non si può escludere che essa sia in parte il frutto di un ragionamento fallace. Tuttavia, un'interpretazione poco convincente del diritto da parte di una Corte non è un attacco alle prerogative del parlamento. Gli effetti legali della sentenza rimangono infatti strettamente nell'ambito della questione che le è stata sottoposta, che è quella della legittimità di una sentenza di merito.
La Cassazione non ha legiferato surrettiziamente, i principi che ha formulato sono aperti a revisione da parte di sentenze future, che potrebbero modificarli radicalmente, ad esempio specificandone i contenuti alla luce di considerazioni ulteriori. Dal canto suo, il parlamento rimane nella pienezza dei poteri e può legiferare come e quando ritiene opportuno sull'interruzione dell'alimentazione di una persona in stato di coma vegetativo permanente, anche se c'è stata una sentenza della Corte di Cassazione. A questa perplessità concettuale sull'iniziativa del parlamento, se ne accompagna una che riguarda il "galateo" istituzionale. Ricorrere a uno strumento concepito per situazioni eccezionali per impedire l'esecutività di una sentenza che ripugna - a torto o a ragione - a una parte dell'elettorato, è una leggerezza grave, che potrebbe avere conseguenze serie per un equilibrio tra poteri costituzionali che è fragile da tempo. Sarebbe davvero triste se la vicenda di Eluana Englaro diventasse il pretesto per l'ennesimo sfregio ai principi dello stato di diritto.


Nel Pd. La vittoria di teodem e rutelliani «E ora la legge anti-eutanasia»

Corriere della Sera 1.8.08
Nel Pd. La vittoria di teodem e rutelliani «E ora la legge anti-eutanasia»
di M.Antonietta Calabrò

ROMA — «Noi abbiamo tenuto duro: avevamo detto a chiare lettere che se il Pd avesse votato contro il conflitto, noi avremmo votato a favore». Paola Binetti, capofila dei teodem, (Bobba, Carra), cioè dei cattolici nel Partito democratico, e con loro i rutelliani (Calgaro, Lusetti, Mosella, Ria, Sarubbi) ieri mostravano grande soddisfazione. «Proprio a motivo del nostro atteggiamento — continua Binetti — già martedì scorso a Palazzo Madama era emerso nel nostro gruppo l'orientamento di non partecipare al voto». Della loro posizione si era fatto interprete e garante l'ex presidente del Senato, Franco Marini, e così, nel Pd, si è arrivati alla scelta del «non voto», nonostante il capogruppo alla Camera Soro abbia ribadito in Aula che sollevare il conflitto è sbagliato e che «non ce la si può prendere con i giudici ».
La linea dei teodem insomma è risultata vincente, mentre è rimasta nell'angolo quella della cattolica «adulta» e prodiana Bindi, l'ex ministro della Famiglia, che nell'ufficio di presidenza di Mon-tecitorio, mercoledì, si era apertamente dichiarata contraria a che ci si rivolgesse alla Corte Costituzionale. Anche se poi la Bindi, disciplinatamente, ieri in Aula, si è astenuta. «Oggi il Pd con una sofferta mediazione ha offerto una importante manifestazione di unità e di compattezza non partecipando al voto sul conflitto di attribuzione », hanno commentato i rutelliani. Ma hanno anche voluto subito mettere in evidenza che la nuova legge da tutti richiesta non potrà in ogni caso essere il lasciapassare per forme più o meno larvate di eutanasia, «inclusa la sospensione della nutrizione e della idratazione, che in nessun caso possono essere assimilate a qualsivoglia forma di accanimento terapeutico». «Il vuoto legislativo attorno al fine vita va colmato al più presto», ha scritto Soro al presidente della Camera Fini. Ma proprio per questo già ieri i teodem hanno depositato un loro progetto di legge alternativo a quello del collega di partito Ignazio Marino. Nel ddl della Binetti «ci sono altri due no altrettanto forti: no all'abbandono terapeutico e no all'accanimento terapeutico ». Viceversa «ci saranno anche tre sì chiari e decisi»: «alle cure palliative», «alla garanzia che la volontà del paziente sarà rispettata nei fatti e nelle intenzioni», «alla possibilità per il medico di fare obiezione di coscienza».
Quanto ad Eluana, per i parlamentari rutelliani del Pd «la sua vita appesa ad un sondino è la vera immagine della precarietà e non può che suscitare un profondo senso di smarrimento e un altrettanto profondo desiderio di tutelarla». Per questo, «nonostante tutta la comprensione e la compassione con cui partecipiamo alla vicenda della famiglia Englaro, vogliamo che Eluana viva, riaffermando che nessuno può assumersi la tragica responsabilità di togliere la vita ad un'altra persona ».

Pd. Chiesta accelerazione della legge sul testamento biologico

l’Unità 2.8.08
Pd. Chiesta accelerazione della legge sul testamento biologico
Il non voto lascia strascichi. Tra rutelliani e teodem...
di Maria Zegarelli

Giornata controversa nel Partito democratico alle prese in Senato con il voto sul conflitto di attribuzione per il caso Eluana. Passi avanti verso un punto di sintesi, come il progetto di legge sul testamento biologico depositato con la firma di 101 senatori tre mesi fa, ma anche tensioni, come dimostra la decisione di non partecipare al voto dettata dalla consapevolezza che quello resta un terreno minato, malgrado le dichiarazioni unanimi sul fatto che quella di ieri non è stata una “via di fuga”. E poi ci sono i teodem. Lettura controversa, dunque, per la giornata politica di questo venerdì di inizio agosto.
È il botta e risposta fra i democratici a rivelare lo stato d’animo. Binetti, Bobba, Carra, Calgaro, Lusetti, Musella, Ria e Sarubbi (i teodem e i cattolici più intransigenti) firmano un comunicato per dire che il «Pd con sofferta mediazione ha offerto una importante manifestazione di unità e di compattezza non partecipando al voto sul conflitto di attribuzione», e aggiungono, in sintesi, che alla fine ha avuto la meglio la posizione dei «rutelliani», che non vogliono «collaborare in nessun modo a trasformare un dramma personale e familiare in una sentenza di morte». Il passo successivo è stato il deposito di un loro progetto di legge sul testamento biologico nel quale si prevede un deciso «no» all’eutanasia e all’interruzione dell’idratazione e della nutrizione artificiale del paziente. I malumori e le prese di distanza sono stati immediati. Non solo tra gli ex ds e gli ex popolari. Anche dagli stessi rutelliani sono arrivati i distinguo. «Non se esista nel Pd una corrente “rutelliana” - ha commentato a caldo Roberto Della Seta - ma di sicuro i rutelliani del Pd, cioè coloro che in questi anni, dalla nascita del Democratici in poi, hanno condiviso l’esperienza collettiva rappresentata da Rutelli, non possono essere confusi con le posizioni dei cosiddetti “teodem”, sul caso Englaro come in generale sulle questioni eticamente sensibili». Un colpo, per la minicorrente dei cattolici «duri e puri» che durante la scorsa legislatura ha cercato di imporre la linea al partito minacciando ogni volta di far mancare i voti necessari alla maggioranza a Palazzo Madama. Il loro “peso specifico” è in caduta libera eppure il Pd non può ignorare le posizioni che esprimono e che rappresentano una fetta di elettorato cattolico.
Di contro, nel pomeriggio il partito del Nazareno ha registrato come un proprio successo l’ approvazione a Palazzo Madama - il Pdl non ha partecipato al voto - di un ordine del giorno presentato dal Pd (firmatari Anna Finocchiaro, Luigi Zanda e Nicola La Torre) in cui si chiede che entro la fine dell’anno si arrivi a dotare il paese di una legge sul testamento biologico. Proposito auspicato anche dallo stesso presidente Renato Schifani. Ma il percorso - malgrado le intenzioni - non si annuncia per niente facile. Sarà importante giungere a maggioranze trasversali perché nello stesso Pd, ancora una volta, i teodem annunciano battaglia. Non sono d’accordo su uno dei punti fondamentali - e per questo non l’hanno sottoscritto - del disegno di legge depositato a Palazzo Madama, (primi firmatari Ignazio Marino, Anna Finocchiaro e Vittoria Franco) firmato da 101 senatori. Tra i 23 articoli che lo compongono c’è anche quello che prevede l’interruzione dell’idratazione e della nutrizione artificiale nei casi in cui le condizioni del paziente siano disperate. «Farraginoso, complesso e complicato approvare un testo come quello a cui ha lavorato Marino», commenta Paola Binetti avvisando che i teodem, «ma anche tanti altri del partito» non voteranno mai una legge che prevede l’interruzione dell’idratazione e della nutrizione artificiale. Per loro quella resta «una sentenza di morte». «Abbiamo già presentato una nostra proposta di legge, anzi tre», spiega la senatrice. Sintetica la risposta di un senatore Pd: «Abbiamo 101 firme per un testo di legge che è un grande lavoro di sintesi. I teodem? Non sono loro il partito».

Pd. Chiesta accelerazione della legge sul testamento biologico

l’Unità 2.8.08
Pd. Chiesta accelerazione della legge sul testamento biologico
Il non voto lascia strascichi. Tra rutelliani e teodem...
di Maria Zegarelli

Giornata controversa nel Partito democratico alle prese in Senato con il voto sul conflitto di attribuzione per il caso Eluana. Passi avanti verso un punto di sintesi, come il progetto di legge sul testamento biologico depositato con la firma di 101 senatori tre mesi fa, ma anche tensioni, come dimostra la decisione di non partecipare al voto dettata dalla consapevolezza che quello resta un terreno minato, malgrado le dichiarazioni unanimi sul fatto che quella di ieri non è stata una “via di fuga”. E poi ci sono i teodem. Lettura controversa, dunque, per la giornata politica di questo venerdì di inizio agosto.
È il botta e risposta fra i democratici a rivelare lo stato d’animo. Binetti, Bobba, Carra, Calgaro, Lusetti, Musella, Ria e Sarubbi (i teodem e i cattolici più intransigenti) firmano un comunicato per dire che il «Pd con sofferta mediazione ha offerto una importante manifestazione di unità e di compattezza non partecipando al voto sul conflitto di attribuzione», e aggiungono, in sintesi, che alla fine ha avuto la meglio la posizione dei «rutelliani», che non vogliono «collaborare in nessun modo a trasformare un dramma personale e familiare in una sentenza di morte». Il passo successivo è stato il deposito di un loro progetto di legge sul testamento biologico nel quale si prevede un deciso «no» all’eutanasia e all’interruzione dell’idratazione e della nutrizione artificiale del paziente. I malumori e le prese di distanza sono stati immediati. Non solo tra gli ex ds e gli ex popolari. Anche dagli stessi rutelliani sono arrivati i distinguo. «Non se esista nel Pd una corrente “rutelliana” - ha commentato a caldo Roberto Della Seta - ma di sicuro i rutelliani del Pd, cioè coloro che in questi anni, dalla nascita del Democratici in poi, hanno condiviso l’esperienza collettiva rappresentata da Rutelli, non possono essere confusi con le posizioni dei cosiddetti “teodem”, sul caso Englaro come in generale sulle questioni eticamente sensibili». Un colpo, per la minicorrente dei cattolici «duri e puri» che durante la scorsa legislatura ha cercato di imporre la linea al partito minacciando ogni volta di far mancare i voti necessari alla maggioranza a Palazzo Madama. Il loro “peso specifico” è in caduta libera eppure il Pd non può ignorare le posizioni che esprimono e che rappresentano una fetta di elettorato cattolico.
Di contro, nel pomeriggio il partito del Nazareno ha registrato come un proprio successo l’ approvazione a Palazzo Madama - il Pdl non ha partecipato al voto - di un ordine del giorno presentato dal Pd (firmatari Anna Finocchiaro, Luigi Zanda e Nicola La Torre) in cui si chiede che entro la fine dell’anno si arrivi a dotare il paese di una legge sul testamento biologico. Proposito auspicato anche dallo stesso presidente Renato Schifani. Ma il percorso - malgrado le intenzioni - non si annuncia per niente facile. Sarà importante giungere a maggioranze trasversali perché nello stesso Pd, ancora una volta, i teodem annunciano battaglia. Non sono d’accordo su uno dei punti fondamentali - e per questo non l’hanno sottoscritto - del disegno di legge depositato a Palazzo Madama, (primi firmatari Ignazio Marino, Anna Finocchiaro e Vittoria Franco) firmato da 101 senatori. Tra i 23 articoli che lo compongono c’è anche quello che prevede l’interruzione dell’idratazione e della nutrizione artificiale nei casi in cui le condizioni del paziente siano disperate. «Farraginoso, complesso e complicato approvare un testo come quello a cui ha lavorato Marino», commenta Paola Binetti avvisando che i teodem, «ma anche tanti altri del partito» non voteranno mai una legge che prevede l’interruzione dell’idratazione e della nutrizione artificiale. Per loro quella resta «una sentenza di morte». «Abbiamo già presentato una nostra proposta di legge, anzi tre», spiega la senatrice. Sintetica la risposta di un senatore Pd: «Abbiamo 101 firme per un testo di legge che è un grande lavoro di sintesi. I teodem? Non sono loro il partito».