sabato 14 giugno 2008

Il dio di Bush e di Obama

il Riformista 14.6.08
Il dio di Bush e di Obama
Obama, il missionario della nuova politica
di Benedetto Ippolito

Forse è il momento giusto per riflettere sulla religiosità di Bush e su quella di Obama. Siamo all'indomani del viaggio del presidente degli Stati Uniti a Roma e del suo incontro con Benedetto XVI. E siamo nelle settimane in cui si concretizzerà anche formalmente la candidatura democratica di Barak Obama.
Sembra quasi l'intersezione miracolosa di due periodi diversi della storia che si abbracciano nel presente.
Una cosa è sicura: Obama è il nuovo simbolo del nuovo, mentre Bush il vecchio simbolo del vecchio. Vi è però almeno un fattore unificante, qualcosa che li tiene uniti ineluttabilmente: si tratta dell'americanismo religioso. Benché, infatti, si muovano in uno spazio politico opposto, quasi agli antipodi - conservatore e texano Bush, progressista e afroamericano Obama - entrambi, però, non potrebbero dissociare mai la loro immagine politica da quella religiosa.
Questo fattore comune ad entrambi, tuttavia, non è per nulla un fattore in comune per entrambi.
Per Bush l'11 settembre è stato un evento provvidenziale. Qualcosa di simile ai signa temporum del passato. La sua risposta politico-militare all'evento tragico di minaccia globale del terrorismo si è tradotto in una campagna bellica complessiva al nemico di Dio e dell'Occidente. Lo spartiacque tra Est ed Ovest è divenuto una delimitazione degli spazi geografici e religiosi divisi tra le civiltà: quella cristiana, da un lato, e quella non cristiana, dall'altro. Una visione geopolitica quantomeno discutibile. Così tanto problematica da aver trovato il maggiore oppositore proprio in Papa Giovanni Paolo II. Le conseguenze di quelle scelte le abbiamo viste tutti nel "sotto tono" di questa breve visita romana di Bush, quasi un canto del cigno malgrado la cordialità formale.
Dall'altro lato, invece, con Obama ci troviamo davanti ad un modo opposto di concepire la dimensione religiosa nella propria vita e in quella altrui. Si tratta di una diversa «missione» della politica nel globo. Visitando proprio la scorsa settimana una comunità di credenti, Obama ha rivelato al pubblico che la religione è stata sempre per lui il veicolo più efficace per scoprire e comprendere i valori universali che fondano il suo impegno civile e il suo programma di riforma dell'America.
In fondo chi se non un pazzo o un religioso potrebbe credere di candidarsi contro i Clinton e contro i Repubblicani, e magari batterli pure?
Davanti alla staticità monolitica e trionfalistica di Bush, Obama appare come l'incarnazione della novità, il volto riformista dell'America: un'immagine sorridente e popolare che reclama il suo futuro anche per il nostro bene. A noi europei, d'altra parte, Obama piace. E piace perché quello di Obama appare veramente come un fenomeno inconsueto, anomalo, pieno di freschezza. In una visione in cui la religiosità si iscrive soltanto nell'aspetto solenne della gerarchia ecclesiastica, forse egli appare addirittura blasfemo, per non dire eretico. Ma la forza dell'immagine politica di Obama è proprio la naturale traduzione che egli propone dei valori religiosi creduti in un impegno politico personale di trasformazione e di miglioramento pubblico della società. Non si tratta, quindi, di obbedire ad una voce che dal passato indichi cosa deve fare la società per conservarsi, ma l'emergere repentino e sfavillante di una forza e di una vitalità civile a partire dal cuore stesso dell'America. Ben diverso da quel «farsi perdonare» la fede con cui Kennedy mosse i suoi primi passi politici.
Così gli Stati Uniti ci presentano, in definitiva, un duplice volto: quello delle grandi identità, dei grandi riferimenti rassicuranti, e quello delle grandi aspirazioni universali di libertà. Quale sia la strada migliore emergerà dal succedersi delle vicende. Bisogna vedere, infatti, se Obama convincerà gli elettori clintoniani del suo partito e, soprattutto, se convincerà i cittadini americani nel loro insieme a non privilegiare il consolante McCain.
Di sicuro, però, a prescindere dal tipo di percorso che inizierà a novembre, gli Stati Uniti hanno risolto da sempre alla radice un problema che per noi appare invece insormontabile: quello della laicità. Non soltanto Obama esprime un pensiero politico che si oppone ad ogni forma di fondamentalismo religioso e di conservatorismo teo-con, ma egli propone un'alternativa forte a tutte le forme di esibizione strumentale della religione che vengono fatte di solito anche a sinistra. Il tutto partendo da una legittima motivazione religiosa.
In questo senso, la visione politica di Obama è espressione pubblica dei valori religiosi, i quali tuttavia sono corrispondenti alla più schietta e più autentica laicità. Non viene usata la politica come strumento religioso di parte, ma viene fatta vivere la religione su di un piano che è autenticamente politico, autenticamente democratico, animatamente riformista, senza ostentazioni confessionali e in modo condivisibile anche da chi non crede per nulla.
Chissà se sarà mai realmente possibile anche da noi vedere qualcosa di simile.
Benedetto Ippolito

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