giovedì 26 giugno 2008

Chiese, sinagoghe e moschee così scelgono tra Obama e McCain

l’Unità 26.6.08
Chiese, sinagoghe e moschee così scelgono tra Obama e McCain

IN GOD WE TRUST Gli Stati Uniti sono una nazione profondamente religiosa, sta scritto persino sulle loro banconote. Dall’ultima inchiesta nazionale sul rapporto tra fede e vita pubblica, risulta che il 92% degli americani crede in Dio. La vera novità è che aumenta la tolleranza tra fedi diverse, mentre perde terreno ogni confessione rigidamente organizzata. In tutte le ultime presidenziali, l’affluenza in chiesa è stata il miglior indicatore dell’orientamento di voto. La schiacciante maggioranza di chi osserva i precetti ha regolarmente votato il candidato repubblicano. Ora in vista delle elezioni di novembre, il voto si presenta molto più fluido rispetto agli schieramenti tradizionali. I democratici guadagnano consenso tra la maggioranza protestante, soprattutto tra i giovani evangelici. E la campagna di Barack Obama ha dedicato uno straordinario impegno per stringere contatti con le varie organizzazioni religiose. Il terreno presenta tuttavia molte insidie: l’ultima è una polemica sull’interpretazione delle scritture in un comizio di Obama: «Nel Levitico la schiavitù sembra ok. Mangiare crostacei è un abominio».
Il rapporto del Pew Research Center’s Forum on Religion & Public Life, basato su un campione di 35mila adulti rappresentativi della popolazione Usa, indica che per la prima volta i consensi del Partito repubblicano tra gli evangelici scendono sotto il 60 per cento. «I nuovi evangelici, una sfida per la destra religiosa», titola il settimanale New Yorker. Si tratta di giovani pragmatici che mettono al primo posto solidarietà sociale e tutela dell’ambiente. Che si riconoscono maggiormente con la figura di Obama piuttosto che con quella di John McCain. Non solo per un fattore generazionale. E c’è la variabile di un impressionante 44 per cento di americani che ha cambiato almeno una volta la propria denominazione religiosa o ha deciso di gestire privatamente la propria spiritualità. Questo è un segmento dove gli indipendenti sono in crescita. La roccaforte repubblicana inespugnabile sono i mormoni, dove il consenso è stabile al 65 per cento.
I cattolici sono considerati un campo di battaglia e rappresentano quasi per il 25 per cento della popolazione Usa. Il 48 per cento è orientato verso i democratici, il 33 per cento verso i repubblicani. L’entusiasmo per gli anni di John F. Kennedy, primo e unico presidente cattolico degli Stati Uniti, si è stemperato negli anni di Reagan con un progressivo spostamento a destra. Gli storici ricordano inoltre che Kennedy non mise mai in primo piano la propria fede. E per meglio spiegare come ha gestito il rapporto tra religione e politica, hanno coniato l’espressione «cattolico per caso».
Più netto lo schieramento della comunità ebraica: 66% con i democratici, 24% con i repubblicani. Ma se si considerano i soli ebrei ortodossi, i democratici crollano al 49 per cento. In tutte le religioni i conservatori sono tali sia nella fede che nell’urna. Con un’unica eccezione: tra le congregazioni protestanti afro americane, dove l’opposizione all’aborto è fortissima e i diritti dei gay sono un tabù, il Partito democratico trionfa con il 77% delle preferenze.
Una coalizione tra i gruppi d’immigrati musulmani ha sostenuto George W. Bush nel 2000, solo per ritrovarsi completamente ignorata dalla Casa Bianca quando il Patriot Act scatena controlli e arresti di massa nelle loro comunità. «La lezione ci è servita e siamo ripartiti da zero - spiega Mahdi Bray, direttore della Muslim American Society Freedom Foundation di Washington - Abbiamo abbandonato una leadership politica composta principalmente da medici, avvocati e professionisti per tornare alla nostra base». E la barra si è velocemente spostata verso il Partito democratico. Ma lo stigma che ha colpito gli arabo americani dopo l’11 settembre rimane. «Basta dire Barack Hussein Obama e si è detto tutto- assicura Arsalan Iftikhar, un giurista specializzato in diritti umani che firma sul periodico Islamica Magazine - Non c’è nemmeno bisogno di pronunciare la parola musulmano». Per questo la comunità islamica ha mantenuto un profilo bassissimo nel sostenere Obama. Qualsiasi manifestazione di appoggio sarebbe sfruttata dai repubblicani per incitare la paura e associarlo a Osama Bin Laden.
Al centro culturale islamico nell’East Village a Manhattan gira una battuta: «Noi dobbiamo dare pubblicamente l’endorsement al candidato che vogliamo fare fuori».
La sinistra storica americana raccomanda un prudente secolarismo. In nome della beata separazione tra stato e chiesa. Ricordando anche gli imbarazzi creati a Obama dal suo ex pastore, il reverendo Jeremiah Wright. Scrive Katha Pollit sul settimanale The Nation: "Per anni i democratici hanno cercato di nascondere il proprio secolarismo per attrarre chi è convinto che Gesù sia repubblicano. Ma nessun partito può legittimamente accampare diritti su Gesù. E se si tiene fuori la religione dai temi della campagna elettorale, possiamo discutere di temi concreti come persone razionali. Dopotutto, quale ipotesi è più campata in aria: che il virus dell’Aids sia uscito dai laboratori del governo o che i morti risorgano dalle loro tombe?".

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