giovedì 12 giugno 2008

Il Pd, i cattolici e le cipolle d’Egitto

l’Unità 12.6.08
Il Pd, i cattolici e le cipolle d’Egitto
di Stefano Ceccanti

Il dibattito sui cattolici e il Pd, anche da parte di qualche organo di stampa cattolica sembra spesso ignorare una saggia massima latina: contra factum non valet argumentum, che potremmo tradurre nell’invito a non fare commenti prima di aver letto attentamente i dati. La ricerca più elaborata, quella di Segatti e Vezzoni, divide l’elettorato in quattro spezzoni: praticanti regolari (tutte le settimane), praticanti irregolari (qualche volta al mese), scarsamente praticanti (qualche volta l’anno), non praticanti-non credenti. Il primo spezzone riguarda il 31% degli italiani, gli altri inglobano ciascuno un 23%.
I praticanti regolari, quelli su cui si discute di più sia per questa particolare consistenza quantitativa, specifica dell’Italia, ma anche perché dopo la fine della Dc è venuto a mancare un partito di riferimento “naturale”, riservano varie sorprese. In primo luogo, essi sono più “bipartitisti” dell’insieme della popolazione, votano sia per il Pdl sia per il Pd più dell’insieme degli italiani. Il Pdl sta al 44 rispetto al 37 tra gli italiani in genere, e il Pd sta al 35 rispetto al 33 complessivo. L’Udc è sostanzialmente nella media, e ciò, insieme ai dati di Pdl e Pd, dimostra che le nostalgie di partiti centristi sono minori tra i praticanti più che tra gli altri e questo persino in un’elezione, dove a differenza delle altre, l’Udc si presentava come equidistante, quindi particolarmente in grado di intercettare voto centrista nostalgico se esso fosse davvero esistito in modo consistente. L’Udc è scavalcato persino dalla Lega, che, però prende il 7% tra i praticanti rispetto all’8% tra gli italiani nel complesso, mentre la Sinistra Arcobaleno, quasi non esiste, si ferma all’1%.
Segatti e Vezzoni ci fanno anche vedere l’evoluzione diacronica del voto, mostrando che i praticanti, essendo più liberi da appartenenze politiche stabili, normalmente accentuano le dinamiche dell’insieme della popolazione. Il Pd era finito in un baratro del 20% circa delle intenzioni di voto intorno alle amministrative del maggio 2007, quando sull’insieme della popolazione stava, com’è noto, intorno al 25%. Per questo sembra destituita di ogni fondamento qualsiasi nostalgia per l’esperienza della coalizione litigiosa dell’Unione, che talora viene riproposta proprio a partire dall’analisi del voto dei praticanti. Nei mesi successivi, dalle primarie fino alle politiche, con la proposta dell’andare liberi, il Pd recupera ben 15 punti tra i praticanti regolari e finisce sovrarappresentato di due punti rispetto all’insieme della popolazione, mentre la Sinistra Arcobaleno, che viene maggiormente identificata con i veti di quella stagione, quasi scompare tra i praticanti. Non sembra pertanto evidente neanche un effetto negativo della presenza dei radicali.
Questo insieme di dati, statici (bipartitizzazione) e dinamici (netta e costante ripresa) conferma, come ha spesso sostenuto in controtendenza il sociologo Diotallevi, e al contrario di quello che sembra sostenere Famiglia Cristiana con la critica speculare a Veltroni e Berlusconi, che i praticanti italiani sono particolarmente in sintonia con la modernizzazione politica, sono elettori di centro, ma non sono interessati a partiti identitari di centro.
Più semplice il discorso sullo spezzone opposto, quello dei non praticanti e dei non credenti, dove il Pd raggiunge il 53%, e anche su quello ad esso limitrofo degli scarsamente praticanti dove ottiene il 39% contro il 34% del Pdl, il che dovrebbe indurre a non eccedere in enfasi sulla presunta carenza della laicità del Pd, su quella che sarebbe una timidezza nell’affrontare il tema dei diritti, dove invece il Pd cerca solo equilibrio e saggezza, visto che gli elettori “più laici” questi dubbi non sembrano avvertirli.
Il vero buco il Pd ce l’ha invece solo nella seconda fascia, quello dei praticanti irregolari, cioè tra quegli elettori che, ancor più dei praticanti regolari, sono più interessati alla tenuta complessiva del Paese, di cui colgono uno dei pilastri anche nella Chiesa a cui soggettivamente si sentono di appartenere con molte riserve, che non ai temi cosiddetti “eticamente sensibili” identificati in modo troppo semplicistico e unilaterale.
Qualche anno fa Arturo Parisi invitò i cattolici impegnati del centrosinistra ad affrontare questa parte di elettorato, che già allora era quella più difficile, non col complesso del figlio fedele della parabola del figliol prodigo che è geloso perché si sente stabilmente migliore. Continua ad avere ragione, anche se oggi finisce anch’egli per riproporre una nostalgia dell’Unione che aveva anche lui contribuito a denunciare con l’iniziativa dei referendum elettorali. Da questo punto di vista l’esperienza del Pd è preziosa per tutti, anche per i molti cattolici che vi militano perché, anche per attrarre queste fasce di elettorato, nessuna delle culture originarie che affluiscono nel Pd può considerarsi pienamente in grado di dare risposte da sola.
Le tentazioni vere o false di scissioni, sono come le nostalgie per le cipolle d’Egitto durante l’Esodo, e i tentativi di creare correnti rigide che alludono a divisioni di strategia politica rifiutando poi, se vi fossero davvero, la logica conseguenza di un Congresso, sono vie di fuga dell’adorazione di vitelli d’oro. Indietro non si può tornare, anche perché le soluzioni tradizionali legate alle culture politiche precedenti sono consumate, e neanche scartare di lato verso false certezze. Abbiamo iniziato un cammino con alcuni risultati non da poco: proseguiamolo o, se abbiamo dubbi, mettiamo democraticamente in discussione, se esistano altre mete ed altri percorsi per raggiungerle. I praticanti hanno accettato positivamente l’Esodo dai partiti di centro e così indicano anche al Pd la strada di vivere con fede laica comune un altro Esodo, quello iniziato con le primarie e non negato dal risultato elettorale.

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