giovedì 5 giugno 2008

D’Alema, laicità e senso dello Stato

l’Unità 4.6.08
D’Alema, laicità e senso dello Stato
di Giuseppe Tamburrano

Nessuno crede che D’Alema si sia ritirato nella sua Fondazione come in un monastero benedettino per dedicarsi a severi studi. È amante sì della cultura ma, come Croce diceva di Togliatti (al quale somiglia), è totus politicus, e la sua cultura non è «disinteressata»: ha sempre un lucido fine politico.
Al recente convegno nel Cilento su «religione e democrazia», di altissimo livello teorico, D’Alema si è scoperto difensore del laicismo nei confronti della Chiesa tentata di un patto col potere politico. E dico a ragione veduta «scoperto» perché questo impegno è nuovo, non lo abbiamo mai notato in passato, né in lui né nel suo partito attuale, recente e antico. E a chi come me e i tanti socialisti dispersi questo D’Alema piace.
In Italia il laicismo come difesa dei diritti dello Stato nei confronti della Chiesa ha, in varie guise, radici millenarie. E per venire ai fondamenti della nostra Repubblica, ha avuto nei componenti la folta pattuglia liberale, repubblicana, azionista, radicale e soprattutto socialista - ma mai comunista - i protagonisti della lotta contro il clericalismo e le «tentazioni del potere» della Chiesa.
Questi partiti e movimenti sono tutti pressoché svaniti; ma sopravvive largamente lo spirito pubblico laico: dunque, viva D’Alema che se ne fa interprete. Se i giornali e i telegiornali «aprono» con il servizio sui vescovi che intervengono non sui temi («eticamente sensibili») che attengono all’insegnamento della Chiesa, ma su sicurezza, immigrazione e rifiuti napoletani, è bene che qualcuno autorevolmente ci ricordi che «lo Stato è di tutti e che il potere non può essere posto al servizio delle convinzioni pur nobili di una parte» (D’Alema, Corriere della Sera 28 maggio 2009). Dunque la Chiesa, nell’esercizio del suo magistero, non può pretendere che quella parte dei cittadini, i suoi fedeli che credono e praticano, trasformino i suoi precetti in legge vincolante per tutti.
D’Alema è stato subito criticato come «comunista», «vetero marxista» da Fioroni e da Riccardi. Eh no! Semmai è «vetero cavourriano».
Ma non è questo del laicismo il solo intervento «alto» di D’Alema. La sua critica alla globalizzazione e, a mio parere, l’anticipo di un ripensamento sul liberismo. Dico a ragion veduta un «ripensamento» perché egli è stato in prima linea nella conversione dal collettivismo comunista al mercato. Ma oggi il numero degli apologeti del liberismo e della globalizzazione si sta diradando in tutto il mondo capitalistico. È l’establishment - Clinton, Obama, l’Economist - che vuole l’intervento dello Stato per salvare il sistema dalle gravi difficoltà in cui si dibatte; è il direttore generale del Wto, Lamy, che chiede un welfare per «addolcire la globalizzazione». È Tremonti che critica il mercatismo e spezza più lance a favore dello Stato. È Bondi che giudica (su l’Unità del 27 maggio 2008) la sinistra «inadeguata... alla sfida... della crisi attuale del mondo globalizzato» per via del suo «liberismo» d’accatto. Può il PD restare l’unica roccaforte a difesa del mercato senza Stato? Credo che su questo problema, che attraversa la crisi del laburismo e del socialismo europeo, sentiremo cose nuove dalla Fondazione Italianieuropei.
Completo il quadro. Subito dopo le elezioni vi è stato un confronto tra Veltroni e D’Alema. Il primo ha difeso la priorità della definizione dell’identità del nuovo partito rispetto alla ricerca delle alleanze, D’Alema invece ha sostenuto che un partito che raccoglie appena un terzo del consenso elettorale non può chiudersi in se stesso, ma deve cercare alleanze, in particolare con quella larga sinistra priva di rappresentanza parlamentare.
Ho osservato a D’Alema (e mi scuso per l’autocitazione: l’Unità 9 maggio 2008) che chi propone alleanze deve anche dire su che cosa. D’Alema lo sta facendo.
Credo che i contenuti del nuovo dalemismo si stiano precisando ed in termini che sono di alto profilo, culturale e strategico, più che tattico-politico. È una linea poggiata su due pilastri: laicismo e rapporto Stato-mercato. Se è così, sarebbe il lancio di una grande idea-forza: un nuovo socialismo, una casa non una cosa, in cui si potrebbe ritrovare tutta la sinistra dispersa, sommersa, diffusa. Sarebbe - come ho scritto - finalmente la nostra Epinay. D’Alema ha promesso che ad ottobre, quando le cose saranno più chiare, parlerà. Non vedo l’ora.

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