venerdì 22 maggio 2009

La laicità e l'etica delle leggi

La laicità e l'etica delle leggi

Il Mattino del 20 maggio 2009, pag. 1

Domenico Rosati

Affermare, come ha fatto Gianfranco Fini, che il Parlamento non deve fare leggi orientate da precetti di tipo religioso può essere, a seconda del punto di vista, un sacrilegio o una ovvietà. Se fosse possibile discuterne con «cuore aperto, menti aperte, parole equilibrate», seguendo il suggerimento del discorso sull`aborto pronunciato da Barack Obama all`università Notre Dame, forse ne potrebbe trarre vantaggio la qualità del dibattito pubblico. Purtroppo, invece, anche in questa circostanza su una «petite phrase» fuori contesto si è ripetuto il festiva] delle caricature, con la consueta rincorsa di politici di molti colori alla conquista del primato nell`ortodossia cattolica. Neppure si è riflettuto, per un attimo, al diverso significato che quelle dodici parole avrebbero assunto se fossero state riferite alla Sharia o ad altre espressioni di prevaricazione teocratica. Non era questa peraltro l`intenzione del presidente della Camera, il quale intendeva esorcizzare il ripetersi del conflitto degli opposti estremismi sulle questioni bioetiche. Ma la riflessione avrebbe almeno aiutato a comprendere che per un aspetto quell`asserzione meritava consenso, mentre per un altro apriva un capitolo di distinzioni utili per ragionare anziché per azzuffarsi. La discriminante fondamentale, per stare al caso concreto, poteva essere quella della filosofia tomistica che distingue il principio, che è sempre indeclinabile, e la norma che è sempre condizionata dalle circostanze di tempo, di luogo, di cultura in cui viene adottata. In regime di cristianità o di diritto pubblico ecclesiastico (che negava le libertà «moderne ») il potere politico è il prolungamento fisiologico della sfera religiosa, sicché lo scarto tra principio e norma tende a ridursi al minimo, anche se mai scompare del tutto. Si pensi, per stare al tema, al precetto del «non uccidere» e alle attenuazioni che ha ricevuto nella storia per quel che concerne la guerra, considerata più come ambito di intervento umanitario che come male da rifiutare in radice. Ma ancor oggi la differenziazione avviene concretamente quando, ad esempio, si sostiene una legge sulla procreazione assistita che consente un tipo di procreazione diverso dall`atto coniugale come invece prescrive la chiesa cattolica. O come quando, nel 1981, si pilotò il voto cattolico a sostegno di un quesito referendario che consentiva, come male minore, il ricorso all`aborto terapeutico, altrettanto tassativamente vietato. Se ne può quindi dedurre che, restando immutata l`inderogabilità dei valori, un margine di negoziabilità esiste e viene continuamente utilizzato per corrispondere ai casi concreti che giungono all`attenzione della politica: un terreno che ha regole proprie. Esige infatti confronto e ricerca in più direzioni e si fa guidare da due criteri essenziali: quello del bene comune e quello, dove c`è, della democrazia. Fedi religiose e principi etici connessi come indumenti da appendere in anticamera? No, ognuno indossa il proprio; e magari lo prende a noleggio. Ma nella prassi della politica la ricerca del bene comune e le metodologie democratiche funzionane come due pale di una impastatrice. La pasta non è mai la somma degli ingredienti originari; ed è sciocco pretendere che nella composizione le identità di provenienza non subiscano modificazioni. Tutte le denominazioni d`origine hanno dunque cittadinanza, specie in una realtà pluralistica e secolarizzata come quella di oggi, ma in democrazia tutte hanno da rendersi compatibili con un metodo che impone il riconoscimento dell`esistenza e dei diritti dell`altro; senza di che non c`è convivenza feconda e la pasta non lievita. La sintesi democratica non coincide mai, dunque, con le carte fondative, religiose o meno, di coloro che la producono. Consente però un reciproco riconoscimento di valori che regge la convivenza, fornisce criteri di giudizio, indica prospettive ragionevoli perché condivise. Quando nacque la Repubblica i contrasti tra i cattolici e i laici di allora erano più aspri di quelli di oggi; mai laici si sforzarono di comprendere le ragioni dei cattolici e questi, restando fedeli alla chiesa, riuscirono a lavorare costruttivamente con gli altri. Pensavano infatti, come disse Giuseppe Lazzati alla Costituente, che «la sensibilità cristiana non si impone con la forza».

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