martedì 7 aprile 2009

L'uso di Dio in politica. è finita la modernità?

Liberazione 2.4.09
Da oggi a sabato un convegno a Torino, "Soggetto e norme. Individuo, religioni, spazio pubblico"
L'uso di Dio in politica. è finita la modernità?
di Tonino Bucci

Le religioni sono diventate una presenza nella politica. La vecchia distinzione sulla quale si è retta la modernità - che assegnava alla religione la sfera privata del credente e allo Stato quella pubblica - è saltata. Ma questo provoca un cortocircuito della democrazia laica. Si può davvero conciliare la libertà dell'individuo con l'aspirazione delle religioni di adeguare la società contemporanea al proprio modello assoluto? E qual è il ruolo delle religioni nel mondo globalizzato dove i fondamentalismi si trovano a rappresentare nella percezione pubblica le uniche visioni antagoniste al potere del denaro? Saranno questi i temi al centro del convegno "Soggetto e norme. Individuo, religioni, spazio pubblico" che si apre a Torino, da oggi fino a sabato (al circolo dei lettori di via Bogino 9, sabato a Villa Gualino, viale Settimio Severo 63). Ne parleranno filosofi, teologi e politici, da Salvatore Natoli a Rosy Bindi, Da Stefano Rodotà a Piero Coda.
Il primo intervento sarà quello di Ugo Perone, presidente dell'associazione italiana per gli studi di filosofia e teologia (Aisfet), oltre che membro del comitato di direzione della rivista Filosofia e teologia - i due enti promotori del convegno. Si è rotta la convivenza delle religioni con la modernità, intesa come progressiva conquista di autonomia da parte dell'individuo? «Questa divaricazione tra modernità e religione non può essere composta, nel senso che non si può fare come se con la secolarizzazione non fosse successo niente oppure sperare in una riconciliazione in sé e per sé tra modernità e religione. Questo però non vuol dire che ci debba essere una lotta senza confini tra le due o che una debba prevalere sull'altra. La mia impressione, a dirla tutta, è che stiano tramontando l'uno e l'altro modello sociale: sia il modello premoderno delle religioni che volevano essere orientamento di tutta la società, sia il modello della modernità che mette al centro la pura individualità e la sua autonomia». Ma può la convivenza sociale fare a meno del principio di autodeterminazione della coscienza? «In effetti sul piano della modernità non è possibile abbandonare il riferimento alla coscienza, all'individualità e all'autonomia. Va salvaguardato in ogni caso. Ma ciò non significa che da questo principio si possano far discendere tutti gli altri principi. E' il problema del rapporto tra soggetto e norma . L'autonomia e la libertà del soggetto vanno protette, ma è vero anche che le norme fondamentali non possono mai essere oggetto di una normazione puramente giuridica. Ci sono degli assoluti che si sottraggono alla nostra disponibilità come si sottrae alla nostra disponibilità il principio di coscienza. Bisognerebbe andare oltre la modernità e oltre la religione teocratica».
Il principio dell'autodeterminazione del soggetto è stata la rivoluzione filosofica che ha fondato la modernità. Almeno da Kant in poi la filosofia non ha più concepito che si potessero fondare i principi ultimi per via metafisica o trascendente. Tutto doveva passare al vaglio di una coscienza capace autonomamente di dare a se stessa le leggi della conoscenza e della morale. Oggi però rischia di accendersi di nuovo il conflitto. Quale margine di autonomia resta alla coscienza se prevale la tendenza delle religioni a imporre a tutte/i norme assolute che per definizione non ammettono negoziazioni e mediazioni? «Non si può retrocedere dal principio dell'autodeterminazione. E' un fatto culturale da cui ormai non possiamo prescindere. Se siamo diventati adulti non possiamo ritornare bambini. Però l'essere tutti adulti, tutti autodeterminati, tutti dotati di libertà di coscienza ci obbliga a costruire una società nella quale convivere tutti assieme. E' un percorso difficile perché ognuno rivendica a sé il diritto ad essere l'arbitro ultimo». Come si fa a imporre l'osservanza a norme assolute, non negoziabili, a una società nella quale gli individui fanno riferimento a modelli culturali tra loro diversi? Non è forse questo il conflitto insanabile che si crea quando la Chiesa cattolica interviene nello spazio pubblico e spinge perché lo Stato legiferi sulle questioni bioetiche - sulla vita, sulla morte, sul testamento biologico, sulla riproduzione - in accordo con i propri principi? «Attenzione, la vita va considerata un valore indisponibile ma non sempre l'interpretazione che ne danno le gerarchie cattoliche corrisponde a quella di un valore assoluto. La vita non si riduce alla vita come mero biologismo. Altrimenti si genera questa contraddizione per cui l'assoluto della vita si manifesta nella sua biologicità pura e semplice». Un assoluto mondano, troppo mondano che rischia di indebolire, se non degradare, la stessa concezione del divino, piegandola alla politica e agli interessi delle gerarchie ecclesiastiche. Un vero cortocircuito dal punto di vista teologico. «E' un errore confondere il divino con la norma, con le leggi dello spazio pubblico», spiega Sergio Rostagno, già docente di teologia dogmatica alla facoltà valdese di teologia di Roma, ospite anche lui oggi alla prima giornata del convegno per coordinare la sessione "prospettive teologiche tra individualità e collettività". «Questa confusione agisce soprattutto in Italia dove c'è una situazione religiosa speciale. Forse anche nell'Islam. Ma non mi sembra che accada nel buddismo o nella religione giapponese o cinese».
Epperò è proprio questa "mondanità" la forza della Chiesa cattolica che le ha permesso di uscire dalla sfera privata e occupare lo spazio pubblico. Non sarà forse molto coerente dal punto di vista teologico, ma nella sfera politica la mondanità dà i suoi frutti, eccome. «Il problema - torniamo a Ugo Perone - è che abbiamo avuto della politica una visione proceduralistica. Abbiamo inteso lo spazio pubblico come una sorta di arena dove ciascuno cerca di far valere i propri interessi al momento della scrittura delle regole comuni». Lo Stato liberaldemocratico finisce per assomigliare all'amministrazione di un condominio che deve muoversi nel conflitto di interessi tra individui (proprietari). «Questa concezione laica di spazio pubblico presuppone che la disponibilità di ciascuno a partecipare all'amministrazione del condominio dipenda dalla misura in cui esso soddisfa i suoi interessi. In questo spazio è consentito a ognuno di coltivare il suo orticello, ma manca una visione del bene comune. Può garantire interessi minimi per i quali però non vale la pena di spendere la vita. Da questo è dipeso il disamoramento per la politica». La religione, qui, ha dimostrato d'essere meglio attrezzata, di muovere le passioni meglio di quanto non abbia saputo fare quella concezione condominiale della politica? «Se faccio la carità promuovo nel mondo il regno di Dio. In ciascuno dei miei gesti concreti vedo crescere l'anticipazione di ciò a cui, nella mia fede, tendo. La religione ha mostrato la capacità di dare un contenuto allo spazio pubblico, di non farne un condominio. Può essere uno stimolo a ripensare lo spazio pubblico della nostra convivenza. Non ci può essere nulla di buono per me che non sia contemporaneamente almeno un po' buono anche per tutti e viceversa. Questa è la sfida per la politica oggi. Trasformare la vita sociale in una convivenza, in un progetto comune. A condizione di non opprimere la libertà individuale, altrimenti l'assoluto, i grandi ideali, i progetti di liberazione dell'uomo si trasformano in dittature».
Religione e modernità non stanno invece in contraddizione necessaria secondo Sergio Rostagno.
«Democrazia e religione possono convivere. Non sempre però la convinzione religiosa deve essere vissuta in maniera dogmatica. Può benissimo andare d'accordo con una cultura democratica. Obama è un credente, ad esempio. Eppure non ci sono fondamentalismi nella sua politica. Ce lo spiegherà domani (oggi per chi legge, ndr) Olivier Abel, un filosofo che viene dalla facoltà teologica protestante di Parigi». C'è anche una lettura "religiosa" della globalizzazione nella quale le religioni diventano lo strumento critico del dominio dell'occidente. «Esiste anche questa contrapposizione tra i popoli occidentali pieni di illuminismo e di sussiego e gli altri popoli che non vogliono essere sudditi di nessuno e si servono per questo anche della religione.Come dargli torto»?
Ma perché nella Chiesa cattolica è mancato l'antidoto alla strumentalizzazione della religione nello spazio pubblico? «Per una mancanza di distinzione tra teologia ed etica, tra fede e comportamento. Ma non necessariamente la presenza religiosa è un'invasione. Anche i credenti hanno dato un contributo alle costituzioni democratiche». Ma qual è allora il confine oltre il quale l'impegno della religione nella sfera pubblica degrada il divino a strumento di lotta politica? Qual è il limite oltre il quale la pratica contraddice la fede? «E' quello che i valdesi contestano da sempre alla Chiesa cattolica. Ancora oggi sopravvive qualcosa della vecchia concezione del Papato che si riteneva depositario dell'unica verità e cercava d'imporla a tutti. Questo modo di agire ha come avversario lo Stato. Finché non si riesce a sottometterlo non si è contenti. Il cattolicesimo aveva superato questa idea, eppure risorge sempre». Sta qui, insomma, nella confusione tra potere temporale e potere spirituale l'eterno rischio per la religione cattolica: il degradamento dell'ideale stesso di Dio. «E questa è la vecchia idea di rendere immanente la fede, di concretizzarla in tutti i modi possibili. Magari chiedendo soldi allo Stato».

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