domenica 25 aprile 2010

Dalla Chiesa quanti no

Dalla Chiesa quanti no
l'espresso del 23 aprile 2010

di Ignazio Marino

E se si ricominciasse a dialogare? Se le gerarchie ecclesiastiche accettassero di ascoltare tutti gli scienziati, senza separarli in credenti e non credenti, su molti temi delicati, per cercare di interpretare insieme i dilemmi del nostro tempo? Sembra un’ipotesi remota in un’epoca in cui i vertici della Chiesa appaiono irrigiditi, inflessibili e affrontano con atteggiamento dogmatico argomenti in cui il dogma, in effetti, non esiste.
Certamente la sacralità della vita è uno dei capisaldi della religione cattolica, come di altre religioni o filosofie. È logico che vi sia un’attenzione particolare perla tutela e il rispetto della vita, in ogni circostanza. Un principio che non vedo come elemento di separazione rispetto al pensiero laico. E non va dimenticato che, anche sul tema dell’aborto, la Chiesa in passato ha riconosciuto la complessità di alcune situazioni. Se per esempio la vita di una donna è messa in pericolo a causa di un problema clinico collegato a una gravidanza, oppure se una ragazza è rimasta vittima di violenza sessuale o, ancora, se la gravidanza riguarda una ragazzina appena adolescente, troppo giovane affrontare il peso fisico e psicologico di un figlio da crescere, viene invocata la cosiddetta "conscientia perplexa", ovvero quella condizione che rende incerto il giudizio morale e difficile la decisione e che permette tuttavia di trovare la soluzione più ragionevole e appropriata. Si tratta di scelte estreme condotte nel sacro luogo della coscienza.
Sull’interruzione di gravidanza, fatta eccezione dei casi appena citati, la regola è chiara, ma non si capisce il perché di una violenta opposizione alla possibilità di utilizzare, in Italia, la pillola RU486. L’aborto costituisce sempre un dramma, ma è regolato da una legge dello Stato. Il mezzo tecnico per attuarlo non rientra tra le questioni etiche o religiose, si tratta di una valutazione esclusivamente clinica e, in quanto tale, va discussa personalmente dal medico con la sua paziente. Ogni medico ha il dovere di spiegare le opzioni cliniche esistente e consigliare il percorso che ritiene più adatto, valutando ogni singola situazione. Una donna che ha preso la decisione di interrompere la gravidanza potrebbe avere una importante controindicazione all’anestesia: il medico deve dirle o no che oltre al metodo chirurgico esiste una opzione farmacologica?
Un altro tema che ha visto un progressivo irrigidimento da parte del Vaticano riguarda la fine della vita. Il punto fermo, del tutto condivisibile, è un no netto all’eutanasia: in nessun caso una persona può volontariamente causare la morte di un’altra, anche se per scopi compassionevoli. Ma gli interrogativi, le "zone grigie", di cui saggiamente parla il cardinal Martini, sorgono rispetto alla interruzione delle terapie ormai inutili. Interrogativi che hanno impegnato anche la Chiesa, basti pensare al messaggio di Paolo VI ai medici cattolici nel 1970: «II che impedisce al medico di uccidere e che lo obbliga nello stesso tempo a dedicarsi con tutte le risorse della sua arte a lottare contro la morte. Questo non significa tuttavia obbligarlo a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli offre una scienza instancabilmente creatrice. In molti casi non sarebbe forse un’inutile tortura imporre la rianimazione vegetativa nella fase terminale di una malattia incurabile? In quel caso, il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece di voler prolungare il più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo
e in qualsiasi condizione, una vita che non è più pienamente umana e che va naturalmente verso il suo epilogo».
Oggi, invece, soprattutto nel nostro Paese, alcune gerarchie ecclesiastiche hanno preferito archiviare dubbi e sfumature in nome di certezze non discutibili e principi non negoziabili. Sottovalutando gli interrogativi che attraversano le coscienze dei fedeli. Pensiamo a un altro esempio, quello della fecondazione assistita. La posizione ufficiale della Chiesa è molto severa ma basta ascoltare le persone comuni per comprendere che, nella realtà, molti cattolici sono convinti che non sia importante se il concepimento avviene nell’utero di una donna o in una provetta; quello che conta è che si tratti del frutto dell’amoredi una coppia e del desiderio di costruire una famiglia.
In assenza di dialogo tra religione e scienza, diventa molto difficile individuare soluzioni condivise che sarebbero invece importanti perché prima o poi (più prima che poi) delle decisioni andranno prese. È il caso delle cellule staminali. Tutti ammettono che in passato è stato fatto un errore nel creare artificialmente migliaia di embrioni umani che tuttora sono congelati nelle cliniche per l’infertilità e che non saranno mai utilizzati a scopo riproduttivo. La loro fine è certa e le loro cellule, preziose per la ricerca, moriranno e andranno buttate perché una legge italiana ne vieta l’utilizzo.
Altri Paesi hanno scelto strade diverse e la ricerca oggi, lo sappiamo bene, non tiene conto dei confini geografici. Su questo tema il Vaticano, però, è netto: gli embrioni non si toccano. Ma proviamo a immaginare cosa accadrà se nei prossimi mesi, al termine di una sperimentazione in corso negli Usa, un uomo o una donna costretti da anni sulla sedia a rotelle per una grave lesione alla spina dorsale, riprendessero a camminare. Cosa potrà dire la Chiesa? Che alcuni esseri umani non hanno diritto alla guarigione perché non si possono usare cellule embrionali destinate a morire nei congelatori? Dubito che tale posizione potrebbe essere compresa anche dal più devoto dei fedeli.
Come ha scritto Carlo Maria Martini: « La Chiesa non va vista solo nel suo aspetto istituzionale, identificandola per giunta con la gerarchia, cioè con i preti, i vescovi e il papa... Essa è composta da tutti coloro che credono in Gesù Cristo...». E anche per questo la Chiesa dovrebbe accettare il dibattito su questi temi che, se non discussi, travolgeranno tutti, credenti e non credenti.

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