venerdì 4 settembre 2009

"Fine vita", non servono le scorciatoie retoriche

"Fine vita", non servono le scorciatoie retoriche

Secolo d'Italia del 1 settembre 2009, pag. 6

Agostino Carrino

Giù le mani del governo dal mio Medicare: così un gruppo di critici di Obama, nella Carolina del Sud, hanno protestato con il loro deputato Bob Inglis, repubblicano. Il progetto democratico di riforma sanitaria sta infatti suscitando negli Stati Uniti un dibattito aspro, purtroppo privo di coerenza, di raziocinio e di qualsivoglia senso della prudenza. Si protesta senza conoscere i termini reali della questione, dal rischio di un (ulteriore) indebitamento catastrofico per il governo federale alla mancanza di copertura sanitaria per un numero crescente di nuovi e vecchi poveri (si è già raggiunta la cifra di 46 milioni); emblematico di tutto ciò è la su citata protesta, perché Medicare è già gestita dal governo, anche se qualcuno finge di ignorarlo. E così si diffondono le interpretazioni più balorde sugli effetti della riforma, dalla impossibilità di farsi curare al diritto di aborto e di eutanasia a spese del governo al dispendio di denari per cure agli immigrati illegali (in America questi sono già tutelati dalla legge). Chi fa le spese di questo circo della fantasia è Obama, descritto a seconda dei casi come un nuovo Hitler (Glenn Beck di Fox News) o un detestabile filo-europeo che amerebbe essere il Presidente degli «Stati Uniti di Francia» (Rush Limbaugh in una sua seguitissima trasmissione radiofonica). Come ha giustamente osservato Fareed Zakaria (Newsweek) il dibattito politico in argomento è diventato «surreale, coni conservatori che sostengono che Obama è a favore dell’eutanasia e dei "comitati di assassinio" e che sta trasformando l’America nella Russia (scommetto che non si sono accorti che la Russia non è più comunista)». E ciò proprio nel momento in cui occorrerebbero delle critiche serie per evidenziare, tra l’altro, anche ciò che effettivamente andrebbe corretto nelle proposte di legge dei Democratici. Le polemiche sul disegno di legge in materia di testamento biologico che hanno increspato in Italia - insieme con la solita (pseudo) bagattella leghista a proposito dell’insegnamento dei dialetti e la "scoperta" di Feltri sul direttore di Avvenire - le onde tranquille dei mari d’agosto sono qualcosa di molto simile a quanto sta accadendo in America, il risultato di una incomprensibile svista che se non corretta in tempi rapidi rischia di produrre disastri a catena. Non ci si è ancora accorti, almeno in certi ambienti, sia di destra sia di sinistra, che il mondo è cambiato e sta cambiando e che nel XXI. secolo i riferimenti intellettuali, concettuali, morali devono essere ripensati e riformulati. Si continuano a usare armamentari superati, da guerra fredda, con i cavalli cosacchi alle porte di San Pietro e capitalisti dal cuore duro e insensibili alla libertà di stampa pronti a tutto. Il dibattito sulle dichiarazioni di Gianfranco Fini alla festa del Pd e la questione del direttore di Avvenire sono solo due esempi. Anche nel merito delle dichiarazioni di Fini c’è stata molta ideologia e poca sostanza intellettuale, esattamente come in America, dove anche lì la riforma di Obama si sta impantanando in una serie di menzogne e di invenzioni sulla questione del "fine vita". Si tratta di un tema che non può essere affrontato con contrapposizioni pregiudiziali, perché nessuno è in possesso di una verità assoluta e sicura, nemmeno la Chiesa cattolica. Chi ha ragione, per esempio, su un altro tema altrettanto sensibile, quello dell’aborto, chi sostiene che il concepito è già persona all’atto del concepimento (le gerarchie ecclesiastiche attuali) o un santo della Chiesa, non proprio l’ultimo, Tommaso d’Aquino, per il quale si diventa persona (cioè si riceve l’anima) al quarantesimo giorno dal concepimento? E quale può essere il fondamento di verità di una organizzazione religiosa che nega i sacramenti al divorziato incolpevole, che ha semplicemente subito la volontà altrui? E che tuttavia vuole affermare le sue verità con una legge dello Stato? Come dire che su questi temi, e specificamente sul "fine vita", chi parla in maniera apodittica rischia facilmente di sbagliare. Sicché la proposta di Fini - semplicemente la riproposizione di tesi già prima manifestate e ora reiterate non nella sua veste di Presidente della Camera, ma di co-fondatore del Pdl -, di lasciare che il Parlamento e non la Chiesa cattolica discuta, rifletta e poi decida in autonomia e coscienza, è un invito al buon senso, una dichiarazione di sana laicità, che in qualunque altro Paese europeo sarebbe stata accolto come un normale invito a far ben funzionare sia le istituzioni sia i cervelli nel rispetto dei propri obblighi; mentre in Italia assume quasi il sapore di una dichiarazione rivoluzionaria ed eversiva, sol perché prende atto che il tempo delle ideologie è finito, con tutto quello che di buono e di cattivo (molto) portavano con sé. Oggi la laicità dello Stato è anche un’ovvia conseguenza della fine delle ideologie, che in Italia arriva in ritardo a causa della peculiarità del nostro Paese, che ospita (croce e delizia) il centro della cristianità. Nessun cattolico tedesco o francese è talmente lacerato nella sua coscienza come quello italiano, diviso quotidianamente dal suo voler essere un buon cittadino e dal suo sentirsi cattolico. In Germania la Chiesa aiuta i cattolici a ricomporre ogni frattura del genere, ma in realtà lo stesso catechismo della Chiesa cattolica, valido per tutti, prevede ipotesi di fine vita senza accanimento terapeutico che sono un modello di razionalità: al paragrafo 2278 infatti si legge: «L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’accanimento terapeutico». In Francia e in Germania questo è il protocollo di base accettato quasi da tutti (un caso Englaro li non sarebbe mai sorto); in Italia non si riesce a superare la soglia di prese di posizione pregiudiziali. Al di là della destra e della sinistra, è questa l’esigenza prioritaria: cercare di affrontare i problemi con la aristotelica della prudenza, che vuol dire lasciarsi orientare da un sano senso delle cose e della loro realtà, non dai propri pregiudizi.

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