martedì 15 novembre 2011

Ministri, nella lista tre poltrone “pesanti” per il mondo cattolico

La Stampa 13.11.11
Ministri, nella lista tre poltrone “pesanti” per il mondo cattolico
Riconoscimento alla Chiesa per il ruolo nella caduta del governo
di Fabio Martini

Michele, il fidatissimo chef ciociaro di Berlusconi, ha dovuto cucinare quello che resterà l’ultimo pranzo a Palazzo Chigi del Cavaliere per un ospite molto particolare: il più probabile successore del suo capo. Per due ore Mario Monti è stato ricevuto a Palazzo Chigi (e non a Palazzo Grazioli) da Silvio Berlusconi nel corso di un pranzo che è servito a chiarirsi le idee, spianare gli ultimi ostacoli verso la nascita del nuovo governo. Il pranzo tra un premier ancora in carica e uno in pectore è stata una delle tante originalità di una crisi politica che, oramai da mesi, sta cambiando la Costituzione materiale del Paese.
Nel corso della giornata di ieri Mario Monti, ad appena 24 ore dalla sua prima giornata da senatore a vita, ha impresso una decisa accelerazione in vista del conferimento dell’incarico del Capo dello Stato, svolgendo quel giro esplorativo tra i potenziali leader della maggioranza che di solito viene compiuto non prima ma dopo il mandato presidenziale. Prassi inedita, imposta dalla emergenza-mercati: il Quirinale vorrebbe che nel corso della giornata di domani, alla riapertura delle Borse, l’Italia avesse già un nuovo governo, che abbia espletato la prima formalità, quella del giuramento dei ministri.
Proprio per evitare vuoti di potere, Monti si è imposto una giornata da politico a tutto tondo: in mattinata si è incontrato con Pier Luigi Bersani, a pranzo si è visto con Silvio Berlusconi e nel pomeriggio ha avuto colloqui con Pier Ferdinando Casini, Gianfranco Fini e Francesco Rutelli, in altre parole con tutti e cinque i leader del «pentapartito di unità nazionale». Un lavoro di bulino, che spesso viene esercitato dagli sherpa appositamente incaricati e che invece Monti ha dovuto svolgere in prima persona. Col macigno di Gianni Letta da rimuovere, una grana aggravata dal fatto che il «Richelieu» di Berlusconi ha partecipato al pranzo nel quale Monti ha dovuto comunicare che non c’erano i margini per quella soluzione.
Nel corso della giornata Monti ha proseguito anche il lavoro di composizione della sua squadra, nel caso in cui oggi venisse incaricato di formare il nuovo governo. Un lavorio che dura da diversi giorni e che si è andato componendo secondo lo schema di gioco iniziale: quello di un governo di soli tecnici. Uno schema che nei giorni scorsi era stato condiviso da Pdl e Pd ma che nelle ultime ore ha vacillato per effetto della pressione del Popolo della libertà a favore di Gianni Letta, ma che alla fine ha tenuto. I ministri con portafoglio saranno dodici come imposto dalla riforma Bassanini, ma quasi certamente se ne aggiungeranno uno o due senza portafoglio, con una drastica riduzione rispetto agli attuali dieci. Forte dimagrimento anche per quanto riguarda i sottosegretari: anche questi tutti tecnici, dovrebbero essere non più di venticinque.
Interessante anche la filosofia che presiede alla struttura del governo. Molta attenzione al mondo cattolico, che dovrebbe contare due, forse tre ministri chiaramente identificabili. Un’attenzione che sarebbe semplicistico etichettare come «quota Todi», ma che ha due motivazioni. Anzitutto il riconoscimento, certo non esplicito, al contributo che la Chiesa italiana ha dato all’erosione culturale e alla fine anche politica del berlusconismo. Ma c’è un motivo in più: Oltretevere guardano con interesse ma, per ora, senza particolare afflato all’operazione-Monti. Come dimostra quanto scrive il direttore di «Avvenire» Marco Tarquinio: «Non serve solo “tecnica”, ma anche moltissima buona politica» e in ogni caso «l’Italia nonpuò essere commissariata da qualcuno o qualcosa». Dovrebbero entrare nel governo Monti, come Guardasigilli il professor Cesare Mirabelli (docente alla Lateranense e consigliere generale presso la Città del Vaticano), ma anche Stefano Zamagni, bolognese, vicino a Romano Prodi, che ha collaborato alla stesura della enciclica «Caritas in veritate». In corsa anche il rettore della Cattolica Lorenzo Ornaghi. In alternativa a Zamagni - più difficile, ma non impossibile - l’ingresso di Andrea Riccardi, leader della Comunità di Sant’Egidio, mentre sono in caduta le azioni di Umberto Veronesi, una sorta di «uomo nero» per Santa Romana Chiesa.
Per quanto riguarda il comparto economico, la candidatura di Fabrizio Saccomanni, direttore generale di Bankitalia, si sarebbe indebolita per effetto della contrarietà del centrodestra, ma da via Nazionale potrebbe arrivare lo stesso un ministro, meglio una ministra: Anna Maria Tarantola, il cui nome era entrato nel toto-governatore dopo la nomina di Mario Draghi alla Bce. La Tarantola potrebbe andare allo Sviluppo economico. Per quanto riguarda il ministero-chiave, l’Economia, suspense fino all’ultimo. Potrebbe essere lo stesso Monti a tenere per sé l’incarico con un interim, ma il presidente della Bocconi potrebbe chiedere di occupare quella poltrona a Guido Tabellini, dal 2008 rettore alla Bocconi. Molto probabile anche l’ingresso di Giuliano Amato, da tre anni e mezzo non più parlamentare e presidente della Treccani: per lui si continua a ipotizzare un incarico da ministro degli Esteri. Alla Difesa resta forte la candidatura del generale Rolando Mosca Moschini. Come sottosegretario alla presidenza, il favorito è Enzo Moavero Milanesi, già capo di gabinetto di Monti a Bruxelles e prima, consigliere a Palazzo Chigi di Amato e Ciampi.