domenica 25 aprile 2010

L'ingerenza del Vaticano in campagna elettorale

L'ingerenza del Vaticano in campagna elettorale

Il Fatto Quotidiano del 21 aprile 2010

Il presidente dei Consiglio non si stanca di ripetere che "i cattolici sono con noi", cioè con il Pdl. "Il Pd - ha detto - è sempre più estremista e laicista, al traino politico di un movimento eversivo come I’Idv e culturale come i radicali". E infatti, nonostante la presa di posizione di Famiglia Cristiana all’epoca dello scandalo Noemi Letizia ("Si è superato il limite della decenza"), durante l’ultima campagna elettorale l’appoggio del Vaticano si è fatto sentire. E infatti il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, aveva indicato le priorità che dovevano guidare il voto dei cattolici nelle elezioni del 28 e 29 marzo scorsi: la tutela della vita, da difendere prima di tutto dall’aborto, ma anche il diritto al lavoro e alla casa, così come l’accoglienza e la difesa dell’ambiente.
Un messaggio diretto per scongiurare la vittoria nel Lazio della candidata Emma Bonino, la quale avrebbe sicuramente messo mano sul sistema sanitario che, nei dintorni di Roma, è importante resti sotto l’influenza della Chiesa. Così Bagnasco ha fatto la sua dichiarazione di voto che ha subito visto i frutti una volta vinte le elezioni: da qui, infatti, le dichiarazioni contro la pillola abortiva di Cota, neopresidente del Piemonte.

Dalla Chiesa quanti no

Dalla Chiesa quanti no
l'espresso del 23 aprile 2010

di Ignazio Marino

E se si ricominciasse a dialogare? Se le gerarchie ecclesiastiche accettassero di ascoltare tutti gli scienziati, senza separarli in credenti e non credenti, su molti temi delicati, per cercare di interpretare insieme i dilemmi del nostro tempo? Sembra un’ipotesi remota in un’epoca in cui i vertici della Chiesa appaiono irrigiditi, inflessibili e affrontano con atteggiamento dogmatico argomenti in cui il dogma, in effetti, non esiste.
Certamente la sacralità della vita è uno dei capisaldi della religione cattolica, come di altre religioni o filosofie. È logico che vi sia un’attenzione particolare perla tutela e il rispetto della vita, in ogni circostanza. Un principio che non vedo come elemento di separazione rispetto al pensiero laico. E non va dimenticato che, anche sul tema dell’aborto, la Chiesa in passato ha riconosciuto la complessità di alcune situazioni. Se per esempio la vita di una donna è messa in pericolo a causa di un problema clinico collegato a una gravidanza, oppure se una ragazza è rimasta vittima di violenza sessuale o, ancora, se la gravidanza riguarda una ragazzina appena adolescente, troppo giovane affrontare il peso fisico e psicologico di un figlio da crescere, viene invocata la cosiddetta "conscientia perplexa", ovvero quella condizione che rende incerto il giudizio morale e difficile la decisione e che permette tuttavia di trovare la soluzione più ragionevole e appropriata. Si tratta di scelte estreme condotte nel sacro luogo della coscienza.
Sull’interruzione di gravidanza, fatta eccezione dei casi appena citati, la regola è chiara, ma non si capisce il perché di una violenta opposizione alla possibilità di utilizzare, in Italia, la pillola RU486. L’aborto costituisce sempre un dramma, ma è regolato da una legge dello Stato. Il mezzo tecnico per attuarlo non rientra tra le questioni etiche o religiose, si tratta di una valutazione esclusivamente clinica e, in quanto tale, va discussa personalmente dal medico con la sua paziente. Ogni medico ha il dovere di spiegare le opzioni cliniche esistente e consigliare il percorso che ritiene più adatto, valutando ogni singola situazione. Una donna che ha preso la decisione di interrompere la gravidanza potrebbe avere una importante controindicazione all’anestesia: il medico deve dirle o no che oltre al metodo chirurgico esiste una opzione farmacologica?
Un altro tema che ha visto un progressivo irrigidimento da parte del Vaticano riguarda la fine della vita. Il punto fermo, del tutto condivisibile, è un no netto all’eutanasia: in nessun caso una persona può volontariamente causare la morte di un’altra, anche se per scopi compassionevoli. Ma gli interrogativi, le "zone grigie", di cui saggiamente parla il cardinal Martini, sorgono rispetto alla interruzione delle terapie ormai inutili. Interrogativi che hanno impegnato anche la Chiesa, basti pensare al messaggio di Paolo VI ai medici cattolici nel 1970: «II che impedisce al medico di uccidere e che lo obbliga nello stesso tempo a dedicarsi con tutte le risorse della sua arte a lottare contro la morte. Questo non significa tuttavia obbligarlo a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli offre una scienza instancabilmente creatrice. In molti casi non sarebbe forse un’inutile tortura imporre la rianimazione vegetativa nella fase terminale di una malattia incurabile? In quel caso, il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece di voler prolungare il più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo
e in qualsiasi condizione, una vita che non è più pienamente umana e che va naturalmente verso il suo epilogo».
Oggi, invece, soprattutto nel nostro Paese, alcune gerarchie ecclesiastiche hanno preferito archiviare dubbi e sfumature in nome di certezze non discutibili e principi non negoziabili. Sottovalutando gli interrogativi che attraversano le coscienze dei fedeli. Pensiamo a un altro esempio, quello della fecondazione assistita. La posizione ufficiale della Chiesa è molto severa ma basta ascoltare le persone comuni per comprendere che, nella realtà, molti cattolici sono convinti che non sia importante se il concepimento avviene nell’utero di una donna o in una provetta; quello che conta è che si tratti del frutto dell’amoredi una coppia e del desiderio di costruire una famiglia.
In assenza di dialogo tra religione e scienza, diventa molto difficile individuare soluzioni condivise che sarebbero invece importanti perché prima o poi (più prima che poi) delle decisioni andranno prese. È il caso delle cellule staminali. Tutti ammettono che in passato è stato fatto un errore nel creare artificialmente migliaia di embrioni umani che tuttora sono congelati nelle cliniche per l’infertilità e che non saranno mai utilizzati a scopo riproduttivo. La loro fine è certa e le loro cellule, preziose per la ricerca, moriranno e andranno buttate perché una legge italiana ne vieta l’utilizzo.
Altri Paesi hanno scelto strade diverse e la ricerca oggi, lo sappiamo bene, non tiene conto dei confini geografici. Su questo tema il Vaticano, però, è netto: gli embrioni non si toccano. Ma proviamo a immaginare cosa accadrà se nei prossimi mesi, al termine di una sperimentazione in corso negli Usa, un uomo o una donna costretti da anni sulla sedia a rotelle per una grave lesione alla spina dorsale, riprendessero a camminare. Cosa potrà dire la Chiesa? Che alcuni esseri umani non hanno diritto alla guarigione perché non si possono usare cellule embrionali destinate a morire nei congelatori? Dubito che tale posizione potrebbe essere compresa anche dal più devoto dei fedeli.
Come ha scritto Carlo Maria Martini: « La Chiesa non va vista solo nel suo aspetto istituzionale, identificandola per giunta con la gerarchia, cioè con i preti, i vescovi e il papa... Essa è composta da tutti coloro che credono in Gesù Cristo...». E anche per questo la Chiesa dovrebbe accettare il dibattito su questi temi che, se non discussi, travolgeranno tutti, credenti e non credenti.

venerdì 9 aprile 2010

«Decide la donna con il medico, non i politici»

l’Unità 8.4.10
Intervista a Ignazio Marino
«Decide la donna con il medico, non i politici»
Il senatore Pd: Cota voleva bloccare l’uso del farmaco perché ha vinto le elezioni. La destra ha fatto ritardare di anni l’arrivo della Ru486. E su biotestamento il Pd sia compatto
di Natalia Lombardo

Abortire per una donna è sempre una sconfitta ma la scelta su quale metodo usare nasce solo dal dialogo intimo fra la donna e il medico, non può essere un presidente di Regione, un ministro o una commissione parlamentare a imporla». Ignazio Marino, cattolico del Pd, è nel suo studio al Senato; oggi si riunisce la sua componente «Cambia l’Italia». Ieri si è insediata la commissione del ministero della Salute per monitorare l’uso della pillola e capire, dicono, se c’è il rischio che si effettuino «aborti a domicilio». Una forma di controllo? «Si sta confondendo tra problemi etici e clinici. Quando una donna ha preso la drammatica decisione di interrompere una gravidanza, ha già affrontato la questione etica. Il medico decide con la donna quale sia il percorso migliore, che sia chirurgico o farmacologico, spiegando i rischi di entrambi. Magari ci sono donne che hanno paura di un’anestesia totale per una brutta esperienza avuta prima. Il ginecologo, oggi, 7 aprile 2010, deve dire che esistono diversi tipi di aborto, uno dei quali con il farmaco Ru486. Poi la scelta nasce solo dal suo dialogo intimo con la donna».
I detrattori della Ru486 reclamano il ricovero ospedaliero obbligatorio, anche se la pillola viene somministrata in due tempi. Un’ambiguità voluta? «Può esistere un rischio concreto se una donna assume il farmaco e poi resta separata dal contatto immediato con una struttura sanitaria. Ma è difficile che accada in Italia. Occorre un monitoraggio di tutto il percorso, o col ricovero finché l’aborto non è completato, o un day hospital con assoluto controllo fino alla fine. Ma tutto ciò si muove nel binario delle raccomandazioni scientifiche e del rispetto della legge 194. E poi esiste la libertà della donna di firmare la cartella clinica e uscire dall’ospedale».
Tra leghisti o politici del Pdl, maschi, c’è l’idea sprezzante che la pillola possa essere usata con leggerezza. «Nasce il sospetto che i politici di destra abbiano ritardato l’uso della Ru486 di due anni, dopo che era stato autorizzato dalla Agenzia Europea del Farmaco e la stessa Aifa ha tardato molto a dare il via. Poi con l’indagine della commissione Sanità la destra ha ritardato di alcuni mesi l’uso della pillola in Italia, convinti che il solo aborto chirurgico fosse un deterrente. Un discorso né sensato, né rispettoso per la donna. Si tratta, semmai, di prevenire l’aborto con più informazione sulla contraccezione, soprattutto fra le donne immigrate».
Il sottosegretario Mantovano non lo nega: «Si cambia la Costituzione, perché non si può toccare la 194?». L’obiettivo è questo?
«Da trent’anni c’è la 194 e gli aborti sono dimezzati. È una delle leggi più equilibrate. Uno Stato laico deve avere una legge sull’aborto. Ricordo negli anni 70 a Roma arrivare al pronto soccorso donne sanguinanti per gli aghi da calza infilati dalle mammane nell’utero, altre che andavano nelle cliniche dove si effettuavano gli aborti clandestini; chi se lo poteva permettere volava a Londra, dove era libero. Ecco, non voglio tornare a questo».
I proclami di Cota e di Zaia hanno bloccato la partenza della Ru486 negli ospedali? «Il ministro Fazio li ha fermati con un linguaggio disarmante: c’è la legge, leggetela e rispettatela. Il ritardo c’è stato, ma l’intervento del ministro ha impedito che si propagasse in altre regioni».
Per Livia Turco è «federalismo etico» illegale e ingiusto e chiama Fazio a riferire in Parlamento. «Cota ha deciso che questo farmaco non si sarebbe dovuto usare solo perché ha vinto le elezioni. Questa destra pensa di avere potere su tutto perché ha vinto. Sul testamento biologico, che riprende in commissione: l’articolo 3 obbliga all’alimentazione e all’idratazione forzata, a introdurre un tubo nell’intestino anche a chi non lo voleva. Va contro la Costituzione».
I dissidenti nel centrodestra riusciranno a modificare il testo? «Con Fini condividiamo l’idea che i familiari possano scegliere se usare o no quelle terapie. Il Pd dev’essere compatto con un voto unico. Spero che Bersani non lasci libertà di coscienza: l’obbligo di cura non è libertà, ma sopraffazione».

mercoledì 7 aprile 2010

Ore di attesa anche in Vaticano

Ore di attesa anche in Vaticano

Il Sole 24Ore del 30 marzo 2010

Carlo Marroni

Quando il cardinale Angelo Bagnasco ha parlato delle elezioni regionali indicando ai cattolici di votare peri candidati anti-abortisti è stato fin troppo chiaro che parlava di Emma Bonino (e Mercedes Bresso). Poco importa che anche Renata Polverini sia favorevole al mantenimento della legge 194: la sola idea che una radicale storica possa stringere la mano a Benedetto XVI è davvero troppo.
Il testa a testa nello spoglio che rende fino a tardi incerto il risultato nel Lazio tiene con il fiato sospeso gli esponenti italiani della Santa sede - dove pur ribadendo la «non negoziabilità» del valore della vita e della famiglia serpeggia un cauto realismo politico ma anche del Vicariato. E proprio al cardinale Agostino Vallini considerato vicino al cardinale Bertone - è stata affidata una posizione più moderata e attenta anche alle opzioni sociali. Di certo oltre Tevere l’idea di avere la Bonino alla guida della regione «è un ulteriore passo nel processo di secolarizzazione», e le voci che hanno lanciato l’allarme non sono mancate. Avvenire si è mostrato molto combattivo, e uno spaccato di quello che serpeggiava nel mondo cattolico lo ha messo in luce il Foglio, che ha parlato di ampie fasce di cattolici, preti e laici di Roma e del Lazio, che appoggiavano la Bonino. Al di là dei valori non negoziabili, in ballo c’è soprattutto la gestione della sanità, che nel Lazio contaben43 ospedali della galassia riferibile al Vaticano, come emerso da un’inchiesta del Sole 24 Ore. Ma se nel Lazio c’è incertezza, di certo al Nord sfonda la Lega, forza politica su cui da tempo le gerarchie hanno puntato. Era dicembre quando Bertone, disse: «Il presidio del territorio un tempo era appannaggio di vescovi e parroci, e sappiamo quanto è importante dentro la
Chiesa il concetto di territorialità. Oggi va considerato che la Lega è una forza politica fortemente radicata nel territorio».