giovedì 17 settembre 2009

Tutti i laici che ora vanno pazzi per la Cei

il Riformista 8.9.09
Tutti i laici che ora vanno pazzi per la Cei

Uno degli effetti collaterali e paradossali del caso Boffo è che ha un po' rimescolato le carte delle amicizie e inimicizie. Secondo la logica tribale che vige nel dibattito pubblico italiano, secondo la quale il nemico del mio nemico è mio amico, molti nemici di Boffo, e della Cei e della Chiesa cattolica italiana, sono diventati improvvisamente suoi amici.
Così in questi giorni stiamo vedendo fior di laici, e talvolta di laicisti, schierarsi come un sol uomo al fianco di colui che più di tanti altri ha interpretato per quindici anni la politica e la strategia della Cei di Ruini. Eugenio Scalfari, per esempio, nel suo fondo domenicale, accedendo alla tesi secondo la quale il segreterio di Stato vaticano Tarcisio Bertone avrebbe lasciato da solo Boffo per colpire la Cei di Ruini, ha simpatizzato con i vescovi condannati fino a ieri per il loro interventismo nel dibattito pubblico e legislativo. «È compito del clero combattere i peccati - ha scritto il fondatore di Repubblica - Denunciarli. Avvertire i fedeli affinché a loro volta non cadano in tentazione. Lo fanno. Lo ha fatto la stampa diocesana. L'ha fatto l'Avvenire. Con prudenza ma con chiarezza». Più che giusto, oggi che è riferito alla vita privata di Berlusconi. Ma forse era giusto anche quando i vescovi intervenivano in campi, come il biotestamento, altrettanto pubblici, dai quali invece Scalfari ha più volte intimato loro di tenersi alla larga.
Allo stesso tempo, fior di esponenti del movimento gay hanno trovato parole ferme e giuste per denunciare l'uso neanche tanto sottilmente omofobo che Feltri ha fatto della vicenda della condanna penale di Boffo, ma senza aggiungere una parola - con l'eccezione di Grillini - sulle accuse di omofobia che fino a ieri avevano rivolto proprio alla Cei e alla Chiesa italiana.

Non azzerate la cultura laica

l’Unità 8.9.09
Non azzerate la cultura laica
Lettera aperta ai tre candidati del Pd: temi e protagonisti del riformismo liberal-democratico emarginati dal dibattito e dai gruppi dirigenti
di Stefano Passigli

Cari amici, Vi scrivo nella vostra veste di candidati alla se-
greteria del Pd. Sin dalla crisi della I Repubblica e dalla scelta di un sistema elettorale maggioritario si fece strada nel centrosinistra la convinzione che occorresse superare le precedenti appartenenze partitiche e unire in una casa comune le diverse tradizioni del riformismo italiano. Fu questo il principio ispiratore del progetto dell’Ulivo nel 1996, e della nascita dei Ds nel 1998 che segnò il definitivo incontro degli eredi del comunismo italiano con le varie espressioni del riformismo socialista, ambientalista, e azionista-repubblicano. Anche la nascita della Margherita segnò il superamento di una logica strettamente identitaria, unendo all’impegno politico dei cattolici quello di alcune componenti della cultura liberal-democratica.
Questo processo si è interrotto in questi ultimi 2-3 anni con la progressiva marginalizzazione di quella cultura “laica” che è stata tanta parte della storia unitaria del nostro paese; che con Gobetti, Croce, Amendola, i Rosselli, Salvemini, Spinelli ha fornito la più emblematica opposizione al Fascismo; che ha dato un contributo essenziale alla formulazione della nostra Costituzione; e infine che ha garantito le grandi scelte di politica estera (dall’alleanza atlantica all’Europa) e di politica economica (dal libero scambio alla politica dei redditi) che hanno assicurato all’Italia libertà, sicurezza e sviluppo economico.
Complici le liste bloccate introdotte dal porcellum e le scelte di un gruppo dirigente sempre più auto-referenziale, la cultura politica laica è stata insomma emarginata, come dimostra la progressiva esclusione dal Parlamento e da significative responsabilità di partito di personalità di origine socialista come Amato, Bassanini o Ruffolo, o azionista e repubblicana come per non autocitarmi Maccanico, Manzella o Ayala. Per non parlare di esponenti liberal-democratici come Zanone o Debenedetti.
Cari amici, vi siete candidati a guidare il futuro Pd e a rimediare ai tanti errori sinora compiuti dalla sua dirigenza, primo tra tutti l’aver contribuito ad accelerare la fine della scorsa legislatura senza aver prima corretto, se non le leggi ad personam e il conflitto di interessi garantendo la libertà dell’informazione, almeno la legge elettorale.
Tra errori così gravi l’emarginazione della cultura politica laica ancora largamente presente nell’università, nell’informazione, nell’imprenditoria e professioni: in breve nella classe dirigente potrebbe forse apparirvi una colpa minore. Non lo è. Il riformismo laico ha una matrice illuminista ed è legato alla storia del costituzionalismo liberal-democratico. È infatti con l’illuminismo che si apre la stagione dei diritti e si diffonde quel principio di tolleranza che è alla radice della laicità delle odierne società europee e ne rappresenta il tratto distintivo rispetto ai risorgenti fondamentalismi. Ed è con l’illuminismo che si consolida il principio dell’autonomia della scienza da ogni morale e la fiducia nella ricerca come fonte del benessere dell’individuo e della società.
È infine con il costituzionalismo liberal-democratico che si rafforza il principio della separazione e dell’equilibrio tra poteri; un principio che nell’Italia di oggi che vede un Governo sempre più onnipotente, un Parlamento esautorato e a rischio l’autonomia e indipendenza del Giudiziario impone una strenua difesa della forma parlamentare di Governo e degli equilibri sanciti dalla nostra Costituzione. Equilibri che anche l’eccessiva torsione maggioritaria della rappresentanza prodotta da un bipartitismo coatto porrebbe a rischio. Al di là di temi specifici (dalla scuola alla ricerca, dai Dico al testamento biologico) sono i principi fondamentali del riformismo laico che appaiono oggi negletti nel PD.
Mi auguro che condividiate le preoccupazioni che vi ho esposto e che vogliate con una risposta pubblica rassicurare i tanti che sperano che il congresso e le primarie segnino un deciso punto di svolta rispetto alla passata gestione del PD, ma temono che il confronto in atto tra voi possa risolversi solo in uno scontro tra schieramenti interni senza precise scelte di contenuto. In un momento in cui sembra riaprirsi la possibilità per le forze di opposizione di dar vita ad alleanze in grado di farle tornare ad essere maggioranza ciò sarebbe particolarmente grave. Con amicizia

Ora di religione il Vaticano vuole lo Stato catechista

La Repubblica 10.9.09
Ora di religione il Vaticano vuole lo Stato catechista
di Adriano Prosperi

Che fra i tanti problemi dell´Italia di oggi si debba porre in evidenza – ancora una volta – quello dell´ora di religione potrà sembrare un lusso da laicisti incalliti. E invece è probabile che proprio in questo dettaglio si trovi un bandolo dell´imbrogliata matassa italiana. Vediamo. Nel testo della lettera inviata dal prefetto della Congregazione vaticana per l´educazione cattolica ai presidenti delle conferenze episcopali si affermano punti secchi e precisi: 1. l´insegnamento della religione non può essere «limitato ad un´esposizione delle diverse religioni, in modo comparativo o neutro», ma deve concentrarsi nell´insegnamento della religione cattolica.
2. Il potere civile «deve riconoscere la vita religiosa dei cittadini e favorirla»; ma uscirebbe dai suoi limiti se presumesse di «dirigere o di impedire gli atti religiosi». Dunque «spetta alla Chiesa stabilire i contenuti autentici dell´insegnamento della religione cattolica nella scuola» garantendo così genitori e alunni che quello che viene insegnato è proprio il cattolicesimo.
Questa direttiva può essere letta da molti punti di vista: se ne ricava intanto un´idea di quanto scarsa sia l´autonomia dei vescovi e delle loro conferenze nazionali nel governo religioso dei fedeli cattolici. Il Concilio Vaticano II aveva segnato un momento di svolta rispetto all´avanzata del potere delle congregazioni vaticane, veri ministeri centralizzati capaci di ridurre i vescovi a obbedienti impiegati di concetto. Ma poi la Curia ha ripreso la sua marcia. Con qualche vittima e con evidenti conflitti tra figure dell´episcopato e mondo vaticano, come quelli intravisti nell´episodio dell´aggressione al direttore di «Avvenire» e delle sue dimissioni.
Oggi il capo del governo italiano si prepara a pagare alla dirigenza vaticana della Chiesa un prezzo tanto più salato in termini di limitazione o erosione dei diritti costituzionali quanto più logora appare la sua rappresentatività allo sguardo non offuscato dalla propaganda mediatica: dichiarare – come ha fatto Berlusconi – che quelle relazioni sono «eccellenti» significa solo che il debitore si impegna a pagare qualunque prezzo. Oltre al testamento biologico avremo dunque sempre più uno Stato catechista, anzi uno Stato chierichetto. Perché una cosa di cui il cardinale Grocholewski sembra non rendersi conto è questa: che quel pericolo di uno Stato che presuma di dirigere o di impedire atti religiosi è proprio ciò che la sua lettera tende a realizzare e che in Italia già esiste.
Non potremmo definire altrimenti lo Stato obbediente che a) impone nelle sue scuole pubbliche l´insegnamento di una sola e specifica religione; b) fa svolgere quell´insegnamento da persone scelte dall´autorità ecclesiastica; c) si prepara a garantire a quell´insegnamento la stessa autorevolezza delle altre discipline scolastiche e la stessa remunerazione in crediti, in barba alla sentenza del Tar del Lazio, assicurando che questa ora di religione ha «la stessa esigenza di sistematicità e di rigore che hanno le altre discipline». Noi non vogliamo negare che lo studio delle dottrine cattoliche possa avere sistematicità e rigore. In popoli che il caso geografico e le svolte storiche hanno lasciato più lontani di noi da Piazza San Pietro ci sono eccellenti facoltà di teologia cattoliche sorte per emulazione accanto a quelle protestanti. Qui, come ben sa l´attuale pontefice che ne è stato un docente, le questioni dottrinali dell´intricato sistema di segni e di concetti elaborato nel corso di millenni vengono dottamente discusse seguendo le regole della ricerca intellettuale: conoscenza critica dei testi, rigore di analisi. Ma nell´insegnamento scolastico di cui qui si tratta abbiamo solo la distribuzione di verità in pillole per lottare contro i pericoli sommi evocati dalla lettera cardinalizia di cui sopra: «creare confusione o generare relativismo o indifferentismo religioso».
Tra l´esercizio dell´intelligenza aperta e ancora fresca delle menti giovanili e l´obbligo di inculcare certezze, tra la libera ricerca del vero e l´apologetica di una religione c´è un abisso. Quale sia poi l´effetto di questa dimensione catechistica sulla vita religiosa di un popolo è la storia a dircelo. Da secoli, in un modo o nell´altro, con una breve parentesi di scuola laica nell´Italia dello Statuto albertino, gli italiani imparano il catechismo cattolico, da quello di San Roberto Bellarmino in poi. Ebbene, quale sia lo stato della religione degli italiani è sotto gli occhi di tutti. Non parliamo solo di conoscenza: ché qui l´abisso è grande come sanno i pochi volenterosi che tentano ogni tanto di diffondere la conoscenza della Bibbia. Parliamo di morale, quella dei Vangeli cristiani e del decalogo ebraico. Parliamo della capacità cristiana di testimoniare la fede in faccia al potere. L´Italia non ha conosciuto martiri se non quelli creati dal potere ecclesiastico. Ha conosciuto ipocriti, eredi di di ser Ciappelletto e di Tartufo. Nel paese dove un tempo fiorivano i marxisti immaginari, oggi pullulano i convertiti religiosi. «Franza o Spagna, purchè se magna», si diceva nel ‘600.

venerdì 4 settembre 2009

"Fine vita", non servono le scorciatoie retoriche

"Fine vita", non servono le scorciatoie retoriche

Secolo d'Italia del 1 settembre 2009, pag. 6

Agostino Carrino

Giù le mani del governo dal mio Medicare: così un gruppo di critici di Obama, nella Carolina del Sud, hanno protestato con il loro deputato Bob Inglis, repubblicano. Il progetto democratico di riforma sanitaria sta infatti suscitando negli Stati Uniti un dibattito aspro, purtroppo privo di coerenza, di raziocinio e di qualsivoglia senso della prudenza. Si protesta senza conoscere i termini reali della questione, dal rischio di un (ulteriore) indebitamento catastrofico per il governo federale alla mancanza di copertura sanitaria per un numero crescente di nuovi e vecchi poveri (si è già raggiunta la cifra di 46 milioni); emblematico di tutto ciò è la su citata protesta, perché Medicare è già gestita dal governo, anche se qualcuno finge di ignorarlo. E così si diffondono le interpretazioni più balorde sugli effetti della riforma, dalla impossibilità di farsi curare al diritto di aborto e di eutanasia a spese del governo al dispendio di denari per cure agli immigrati illegali (in America questi sono già tutelati dalla legge). Chi fa le spese di questo circo della fantasia è Obama, descritto a seconda dei casi come un nuovo Hitler (Glenn Beck di Fox News) o un detestabile filo-europeo che amerebbe essere il Presidente degli «Stati Uniti di Francia» (Rush Limbaugh in una sua seguitissima trasmissione radiofonica). Come ha giustamente osservato Fareed Zakaria (Newsweek) il dibattito politico in argomento è diventato «surreale, coni conservatori che sostengono che Obama è a favore dell’eutanasia e dei "comitati di assassinio" e che sta trasformando l’America nella Russia (scommetto che non si sono accorti che la Russia non è più comunista)». E ciò proprio nel momento in cui occorrerebbero delle critiche serie per evidenziare, tra l’altro, anche ciò che effettivamente andrebbe corretto nelle proposte di legge dei Democratici. Le polemiche sul disegno di legge in materia di testamento biologico che hanno increspato in Italia - insieme con la solita (pseudo) bagattella leghista a proposito dell’insegnamento dei dialetti e la "scoperta" di Feltri sul direttore di Avvenire - le onde tranquille dei mari d’agosto sono qualcosa di molto simile a quanto sta accadendo in America, il risultato di una incomprensibile svista che se non corretta in tempi rapidi rischia di produrre disastri a catena. Non ci si è ancora accorti, almeno in certi ambienti, sia di destra sia di sinistra, che il mondo è cambiato e sta cambiando e che nel XXI. secolo i riferimenti intellettuali, concettuali, morali devono essere ripensati e riformulati. Si continuano a usare armamentari superati, da guerra fredda, con i cavalli cosacchi alle porte di San Pietro e capitalisti dal cuore duro e insensibili alla libertà di stampa pronti a tutto. Il dibattito sulle dichiarazioni di Gianfranco Fini alla festa del Pd e la questione del direttore di Avvenire sono solo due esempi. Anche nel merito delle dichiarazioni di Fini c’è stata molta ideologia e poca sostanza intellettuale, esattamente come in America, dove anche lì la riforma di Obama si sta impantanando in una serie di menzogne e di invenzioni sulla questione del "fine vita". Si tratta di un tema che non può essere affrontato con contrapposizioni pregiudiziali, perché nessuno è in possesso di una verità assoluta e sicura, nemmeno la Chiesa cattolica. Chi ha ragione, per esempio, su un altro tema altrettanto sensibile, quello dell’aborto, chi sostiene che il concepito è già persona all’atto del concepimento (le gerarchie ecclesiastiche attuali) o un santo della Chiesa, non proprio l’ultimo, Tommaso d’Aquino, per il quale si diventa persona (cioè si riceve l’anima) al quarantesimo giorno dal concepimento? E quale può essere il fondamento di verità di una organizzazione religiosa che nega i sacramenti al divorziato incolpevole, che ha semplicemente subito la volontà altrui? E che tuttavia vuole affermare le sue verità con una legge dello Stato? Come dire che su questi temi, e specificamente sul "fine vita", chi parla in maniera apodittica rischia facilmente di sbagliare. Sicché la proposta di Fini - semplicemente la riproposizione di tesi già prima manifestate e ora reiterate non nella sua veste di Presidente della Camera, ma di co-fondatore del Pdl -, di lasciare che il Parlamento e non la Chiesa cattolica discuta, rifletta e poi decida in autonomia e coscienza, è un invito al buon senso, una dichiarazione di sana laicità, che in qualunque altro Paese europeo sarebbe stata accolto come un normale invito a far ben funzionare sia le istituzioni sia i cervelli nel rispetto dei propri obblighi; mentre in Italia assume quasi il sapore di una dichiarazione rivoluzionaria ed eversiva, sol perché prende atto che il tempo delle ideologie è finito, con tutto quello che di buono e di cattivo (molto) portavano con sé. Oggi la laicità dello Stato è anche un’ovvia conseguenza della fine delle ideologie, che in Italia arriva in ritardo a causa della peculiarità del nostro Paese, che ospita (croce e delizia) il centro della cristianità. Nessun cattolico tedesco o francese è talmente lacerato nella sua coscienza come quello italiano, diviso quotidianamente dal suo voler essere un buon cittadino e dal suo sentirsi cattolico. In Germania la Chiesa aiuta i cattolici a ricomporre ogni frattura del genere, ma in realtà lo stesso catechismo della Chiesa cattolica, valido per tutti, prevede ipotesi di fine vita senza accanimento terapeutico che sono un modello di razionalità: al paragrafo 2278 infatti si legge: «L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’accanimento terapeutico». In Francia e in Germania questo è il protocollo di base accettato quasi da tutti (un caso Englaro li non sarebbe mai sorto); in Italia non si riesce a superare la soglia di prese di posizione pregiudiziali. Al di là della destra e della sinistra, è questa l’esigenza prioritaria: cercare di affrontare i problemi con la aristotelica della prudenza, che vuol dire lasciarsi orientare da un sano senso delle cose e della loro realtà, non dai propri pregiudizi.

La biopolitica non ammette libertà di coscienza

La biopolitica non ammette libertà di coscienza

Il Secolo XIX del 1 settembre 2009, pag. 17

Paolo Becchi

Che la bioetica sia diventata biopolitica sta ormai sotto gli occhi di tutti. La politica si è divisa su una legge riguardante la fecondazione assistita, una legge che approvata dal Parlamento e confermata dal popolo, il quale per via referendaria ne ha impedito l'abrogazione, viene ora - in parte - rimessa in discussione dai giudici della Corte Costituzionale. La politica si è divisa sul caso Englaro a tal punto da spingere il governo (unanime!) a una decretazione d'urgenza per impedire che una sentenza di morte pronunciata da altri giudici venisse eseguita. La politica continua a dividersi sul testamento biologico di cui è prossima la discussione alla Camera.

In questa situazione di aspro, ma sano conflitto politico, che pone un freno al governo dei giudici, è abbastanza sorprendente che chi aspira naturalmente alla successione di Silvio Berlusconi nella guida del più grande partito italiano - Gianfranco Fini - non perda l'occasione per smarcarsi. Ieri la fecondazione assistita, oggi il testamento biologico, domani - chissà - l'eutanasia. Parole grosse sono riecheggiate: la legge sulla fecondazione assistita e quella in itinere sul testamento biologico sarebbero il frutto dell'invadenza della Chiesa cattolica nell'ambito dello Stato laico. Si è scambiato lo spazio pubblico che la religione ha ormai di fatto planetariamente riacquistato nella società postsecolarizzata per una pretesa ingerenza del Vaticano nella politica italiana. il fatto epocale è un altro. La religione non riguarda più soltanto la sfera privata, la fede, ma è ritornata ad esprimere delle ragioni, occupa uno spazio nella sfera pubblica.

Dal punto di vista politico un dato va comunque registrato: non solo Fini si è posto al di fuori dello schieramento politico cui appartiene, ma ha assunto posizioni radicali, neppure condivise da una parte consistente dell'opposizione. La legge sulla fecondazione assistita è uscita dal Parlamento italiano e non dal Vaticano e anzi, credo, che per un cattolico doc gran parte delle tecniche di fecondazione assistita ammesse dalla legge sarebbero di per sé peccaminose: quella legge non è cattolica, è soltanto una legge che tiene conto dei diversi soggetti coinvolti nella fecondazione assistita, anche degli embrioni.

Sul versante del fine vita il discorso è aperto e c'è sicuramente da augurarsi che il lavoro parlamentare possa modificare radicalmente il disegno di legge approvato dal Senato, riparando notevoli guasti. Ma questo richiede impegno e non dichiarazioni a effetto che mirano in anticipo a gettare discredito su qualcosa che invece si può (anzi si deve!) modificare.

Si dirà: opinioni diverse. E su questioni eticamente sensibili è alla libertà di coscienza che bisogna fare appello. Ma proprio qui casca l'asino. Nel momento in cui la bioetica si è trasformata in biopolitica e la discussione non avviene più nell'ambito di un comitato di bioetica, ma nei congressi di partito e nelle aule parlamentari, non è più possibile affrontare la cosa ricorrendo a superati cliché liberali. Nell'epoca della riproducibilità tecnica della vita e del differimento tecnologico della morte naturale un movimento politico deve avere una sua precisa linea politica anche su questi temi d'importanza decisiva. Stiamo invece assistendo a qualcosa di paradossale: Berlusconi viene fatto passare per un fautore dello Stato etico di gentiliana memoria, mentre Fini aspira a presentarsi come un vecchio liberale alla Constant. In realtà entrambi i modelli sono oggi obsoleti: né di Gentile, né di Constant abbiamo bisogno, ma di qualcosa di meglio di entrambi.

Ora un pezzo di Cei è pronto alla guerra vera col Governo

il Riformista 4.9.09
Ora un pezzo di Cei è pronto alla guerra vera col Governo
Scenari. Il compromesso tra Santa Sede ed episcopato che ha portato alle dimissioni di Boffo non ha chiuso le ostilità nella Chiesa. Berlusconi punta al canale privilegiato con Bertone. Oltretevere si confida nel ruolo del Colle. Bossi incontra Bagnasco. Ma il nuovo Avvenire non sarà più indulgente col Cavaliere.
di Stefano Cappellini

«Non è detto che chi ride oggi continuerà a farlo domani». Così dice al Riformista una fonte vicina alla Cei. Come dire: oggi hanno vinto i nemici di Boffo, dentro e fuori la Chiesa. Ma le conseguenze sul lungo periodo di questa vicenda sono ancora tutte da decifrare, sia nei rapporti tra Santa Sede e Conferenza episcopale, sia in quelli tra la politica e le gerarchie cattoliche. Del resto, nel caso Boffo poco è come appare: vinti e vincitori, congiurati e vittime, testimoni e complici.
I vincitori di giornata, Silvio Berlusconi e Vittorio Feltri, sono nell'imbarazzo di non poter celebrare il successo. Non solo per le ovvie ragioni di opportunità e prudenza, ma perché il risultato ottenuto è andato oltre le previsioni: Boffo si è dimesso - e questo era certo messo in preventivo nella campagna stampa contro di lui - ma il terremoto che ha investito la Chiesa italiana è troppo forte per pensare che questa vicenda possa chiudersi con l'uscita di scena del direttore di Avvenire. Non solo: chiunque sia il successore di Boffo al giornale, si può fin d'ora prevedere che non sarà troppo indulgente con il presidente del Consiglio. Perché il vertice dei vescovi italiani può accettare di sacrificare un proprio uomo, sebbene centrale nelle traiettorie di potere degli ultimi tre lustri, ma non si può certo pensare che adesso avalli una linea rinunciataria verso il Governo, trasmettendo l'idea di una resa incondizionata al potere dei media e della politica. Sarebbe la liquidazione definitiva dei tre lustri in cui il cardinale Camillo Ruini ha rifondato il ruolo e l'influenza della Chiesa italiana orfana del partito unico dei cattolici. Ruini ha difeso Boffo con orgoglio e forza. E Bagnasco è ormai esposto quanto il suo predecessore. La principale preoccupazione della Cei sarà di qui in avanti non lasciare che la sconfitta si trasformi in disfatta. Le tensioni con maggioranza e Governo potrebbero addirittura intensificarsi. E, non a caso, dopo aver aperto più di un fronte polemico con la Chiesa, ieri il leader della Lega Nord Umberto Bossi e il ministro Roberto Calderoli si sono precipitati a incontrare Bagnasco. Un'ora di colloquio, a quanto si apprende, per stemperare i toni delle polemiche e provare a siglare una tregua.
Berlusconi, per parte sua, è concentrato a ripartire da dove tutto è iniziato, quando Tarcisio Bertone annullò la cena della Perdonanza per via delle uscite di Feltri. Il premier può ora tornare a concentrarsi sull'obiettivo di una interlocuzione privilegiata con la Segreteria di stato vaticana. Questo, del resto, era anche dall'altra parte un obiettivo di Bertone fin dall'insediamento: semplificare i canali di comunicazione con le istituzioni italiane, centrandoli sul rapporto con le figure del presidente del Consiglio e del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che sopra tutti è considerato Oltretevere il garante degli equilibri tra Stato italiano e Santa sede.
Ieri - dopo i tuoni e fulmini di padre Lombardi in sala stampa vaticana («Feltri fomenta il caos») - è prevalso Oltretevere un circospetto silenzio. «Il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Angelo Bagnasco prende atto, con rammarico, delle dimissioni irrevocabili del dottor Dino Boffo dalla direzione di Avvenire, Sat2000 e RadioInblu». Così l'Osservatore Romano ha dato ieri la notizia delle dimissioni di Boffo, senza aggiungere altri commenti. Una asciuttezza non certo inedita per il quotidiano vaticano, ma che nel turbine di ricostruzioni legate al caso ha contribuito ad avvalorare la tesi secondo cui la Santa Sede ha ottenuto ciò che voleva: un passo indietro del direttore di Avvenire, per fermare il flusso di indiscrezioni e notizie sulla sua vecchia condanna per molestie e sottrarre la Chiesa a una situazione sempre più imbarazzante.
C'era già due giorni fa un accordo tra segreteria di Stato vaticana e Cei per chiudere la partita con un compromesso? Ovvero da una parte la disponibilità del pontefice a dare solidarietà all'istituzione e dall'altra l'impegno dell'episcopato a convincere Boffo della necessità di dimettersi? Questo è ciò che si sussurra, portando a suffragio della tesi una interpretazione più sottile della solidarietà che Benedetto XVI ha offerto a Bagnasco con la telefonata resa nota martedì scorso dall'ufficio comunicazione della Cei: Boffo non era mai citato nel resoconto della telefonata, mentre si dava conto della volontà di Benedetto XVI di avere informazioni sulla vicenda. Un modo, sottolineano gli esegeti delle liturgie vaticane, per separare il destino della singola persona (e i suoi eventuali errori personali, non troppo eventuali, in questo caso) da quello dell'istituzione.
Pure in Vaticano, comunque, non mancano motivi di preoccupazione. Perché, com'è evidente, questa vicenda è stata gestita senza un piano razionale e meditato. E i suoi esiti sono il frutto di compromessi e scontri ovattati, ma non per questo meno forti. La verità è che l'onda d'urto provocata dagli articoli del Giornale sui trascorsi giudiziari di Boffo ha colto di sorpresa tutti, sia gli amici di Boffo nella Chiesa sia i suoi detrattori. Paradossale, visto che numerosi e consistenti indizi testimoniano del fatto che veleni e veline sul conto del direttore di Avvenire erano a conoscenza di decine e decine di ecclesiastici (e non solo) e che quindi sarebbe stata logica una reazione pronta. Ma, evidentemente, regnava la convinzione generale che le carte - il certificato del casellario giudiziario e il cosiddetto lato B con il dossier sulle inclinazioni sessuali del giornalista - non avrebbero mai visto la luce. Convinzione non priva di qualche speranza dato che il documento, certamente anteriore al marzo 2007 (e cioè al cambio di guardia tra Ruini e Bagnasco alla guida della Cei), era stato diffuso e offerto a molti, ben prima che sul finire della primavera scorsa fosse inviato a decine di vescovi.

Nel duello Bertone-Bagnasco spunta il "Piano Esterno" per il "Nuovo Centro"

La Repubblica 4.9.09
Nel duello Bertone-Bagnasco spunta il "Piano Esterno" per il "Nuovo Centro"
di Massimo Giannini

«E adesso niente sarà più come prima...». Non è un anatema. Piuttosto è una presa d´atto, dura ma netta, quella che si raccoglie Oltre Tevere in queste ore difficili e amare.
La solidarietà tardiva a Boffo e un progetto politico con Casini e Montezemolo

Se è vero che Dino Boffo è «l´ultima vittima di Berlusconi», come scrive persino il New York Times, è chiaro che questa vicenda apre una doppia, profonda ferita. Sul corpo della Chiesa, già attraversato da divisioni latenti. E nel rapporto tra Santa Sede e governo, già destabilizzato da incomprensioni crescenti.
Per la Chiesa, il doloroso sacrificio di Boffo nasconde la frattura che si è aperta tra Segreteria di Stato e Conferenza Episcopale. Per rendersene conto basta ricostruire le tappe che hanno portato alla drammatica uscita di scena del direttore di Avvenire. Venerdì scorso si consuma il primo atto, con l´operazione di killeraggio del Giornale e il conseguente annullamento della Cena della Perdonanza tra Bertone e Berlusconi. Un colpo a freddo, che nelle alte gerarchie nessuno si aspettava, ma che innesca reazioni differenti. Nel fine settimana Boffo comincia a meditare sull´ipotesi delle dimissioni. L´idea prende materialmente corpo lunedì mattina, quando sul Corriere della Sera esce un´intervista al direttore dell´Osservatore Romano. Una sortita altrettanto inaspettata, quella di Gian Maria Vian, che giudica «imprudente ed esagerato» un certo modo di fare giornalismo dell´Avvenire e conclude con un sibillino «noi non ci occupiamo di polemiche politiche contingenti».
Per l´intera mattinata Boffo aspetta una correzione di tiro della Segreteria di Stato. Ma non arriva nulla. Oltre Tevere si racconta di una telefonata di Bagnasco: «Scusate, ma quell´intervista è cosa vostra?», avrebbe chiesto a Bertone. «Non lo è - sarebbe stata la risposta - e ci siamo anche lamentati con Vian, che ha impropriamente parlato in prima persona plurale». Ma questo è tutto. Dalla Segreteria di Stato non esce nulla di pubblico. Così, lunedì pomeriggio Boffo va personalmente da Bagnasco, e gli consegna la sua lettera di dimissioni. Mentre il direttore parla con il cardinale, arriva la telefonata di Ratzinger, che chiede: «Il dottor Boffo come sta? Mi raccomando, deve andare avanti...». Il presidente della Cei riferisce a Boffo, che di fronte al Papa non può certo tirarsi indietro.
Martedì mattina lo scenario in parte cambia. Repubblica dà la notizia: solidarietà del Pontefice a Boffo. Solo a quel punto, molte ore dopo, il direttore della Sala Stampa Vaticana padre Lombardi annuncia che Bertone ha effettivamente telefonato al direttore di Avvenire, per offrirgli il suo sostegno. Ma sono passati ben cinque giorni dal siluro di Feltri, prima che la Segreteria di Stato muovesse un passo ufficiale. Intanto Boffo è rimasto sulla graticola. E nel frattempo persino monsignor Fisichella, nel silenzio della Curia, contesta apertamente il quotidiano per le critiche al governo sull´immigrazione.
Mercoledì Feltri torna all´attacco, e sostiene che la «nota informativa» che getta fango sulla vita privata di Boffo è una velina uscita dal Vaticano. Padre Lombardi smentisce. E aggiunge l´ultima novità: papa Ratzinger ha chiamato il cardinal Bagnasco, per avere notizie «sulla situazione in atto». Ma dalla Segreteria di Stato ancora silenzio. Così si arriva al colpo di scena di ieri: dopo una settimana di fuoco incrociato, il direttore di Avvenire getta la spugna e se ne va.
Ma perché all´offensiva volgare e violenta del Giornale la Santa Sede ha fatto scudo in modo così discontinuo e frammentato? «Qui - secondo la ricostruzione che si raccoglie negli ambienti della Cei - si apre la frattura con l´episcopato». Il cardinal Bertone, due anni fa, aveva lanciato la candidatura di Bagnasco alla Conferenza episcopale con una convinzione, che la realtà dei fatti ha presto svilito in pia illusione: trasformare la conferenza dei vescovi in una «cinghia di trasmissione» della Santa Sede, dopo la stagione troppo lunga dell´autoreferenzialità ruiniana. Il tentativo è fallito, ben prima che scoppiasse il caso Avvenire e che scattasse l´imboscata mediatica ordita dal Cavaliere e dai suoi giornali ai danni del direttore. «Lo stesso Bertone lo ha riconosciuto - raccontano Oltre Tevere - quando qualche settimana fa si è lasciato scappare che la nomina di Bagnasco è stato il suo errore più grave. E certe cose, in questi palazzi, si vengono a sapere molto presto...».
Secondo questa stessa ricostruzione, il caso Boffo precipita proprio in questa faglia, che divide Bertone da Bagnasco. E in questa faglia si inserisce anche l´ultima, clamorosa indiscrezione di queste ore: cioè quello che Oltre Tevere qualcuno definisce «il Piano Esterno». Contrariamente a quello che si pensa - raccontano - «il Segretario di Stato non vuole una Cei schierata con Berlusconi, che considera ormai già fuori dai giochi. Il vero progetto che sta a cuore alla Santa Sede riguarda la nuova aggregazione di centro, che ora avrebbe Pierferdinando Casini come perno politico, e che in futuro vedrebbe Luca di Montezemolo come punto di riferimento finale». A questo «Piano Esterno» si starebbe lavorando da tempo, tra Segreteria di Stato e una piccola, ristretta cerchia di intellettuali esterni, laici e cattolici, che orbitano intorno al Vaticano e allo stesso direttore dell´Osservatore Vian.
Vera o falsa che sia, questa ipotesi spiega molto di quello che è accaduto e può ancora accadere. Bertone - sostengono ambienti vicini alla Cei - potrebbe aver gestito il caso Boffo proprio in questa logica: usare l´aggressione al direttore di Avvenire prima per rimettere in riga l´episcopato, e poi per assestare il colpo finale contro il presidente del Consiglio, aprendo le porte del paradiso alla Cosa Bianca di Casini e Montezemolo. Di qui, fino a ieri, la difesa intermittente e quasi forzata a Boffo. Di qui, da domani in poi, la rottura definitiva e irrimediabile con Berlusconi. «Niente sarà più come prima», appunto. Vale per la Chiesa di Roma, ma vale anche per il Cavaliere di Arcore.