venerdì 22 maggio 2009

"Non si fanno leggi seguendo la fede"

"Non si fanno leggi seguendo la fede"

La Repubblica del 19 maggio 2009, pag. 4

Francesco Bei
Gianfranco Fini si conferma contraltare laico dentro il Pdl. «Il Parlamento non deve fare leggi orientate da precetti di tipo religioso». Una considerazione semplice quella del presidente della Camera, quasi scontata, pronunciata davanti agli studenti delle scuole di Monopoli, ma che riapre nuovamente una polemica accesa tra guelfi e ghibellini. E questo nonostante Fini si auguri che il dibattito sulla bioetica «venga affrontato senza gli eccessi propagandistici che ci sono stati da entrambe le parti», perché si tratta di questioni nelle quali «il dubbio prevale sulle certezze».
Ma la Chiesa cattolica non ci sta. «I temi sui quali il mondo cattolico intende portare il suo contributo - replica monsignor Elio Sgreccia, presidente emerito della pontificia accademia per la vita - non sono definibili come precetti religiosi perché riguardano i diritti fondamentali dell´uomo, sono iscritti nella natura umana, difendibili con la ragione e iscritti anche nella Costituzione». Insomma, secondo Sgreccia «i cattolici hanno tutte le carte in regole per lanciare appelli su famiglia, contro l´eutanasia, contro la gravità aborto». Per tale motivo, «tanto più forte faremo sentire la nostra voce».
A difesa del Vaticano e del "diritto d´ingerenza" si schierano anche l´Udc e i cattolici del Pdl. Manca poco che il centrista Luca Volontè dia del nazista a Fini: «Siamo alla vergognosa e inaccettabile discriminazione dei credenti come ai tempi dei totalitarismi neri del ?900». «Noi - spiega Rocco Buttiglione - non diciamo mai che una cosa è vera perché lo dice il Papa. Semmai diciamo che il Papa lo dice perché è vera, e ci impegniamo a dimostrarlo con argomenti ragionevoli». Interviene anche Pier Ferdinando Casini per difendere «valori e principi» che, sostiene il leader Udc, richierebbero altrimenti di essere messi al bando dalla politica: «Per fortuna che in Parlamento c´è ancora qualcuno che vuole fare battaglie su valori e principi che ormai non hanno diritto di cittadinanza in politica».
Ma Fini, com´è già accaduto in passato, si deve scontrare con l´ostilità e l´imbarazzo che le sue uscite provocano nel suo stesso partito. «Stupito» dalle parole di Fini, si dichiara ad esempio il pidiellino Maurizio Lupi, perché l´ex di leader di An «si pone su un piano di scontro ideologico molto lontano dalla laicità positiva da lui stesso evocata». E critico è anche il senatore Gaetano Quagliariello, paladino della battaglia sul decreto Englaro ed esponente dell´ala teocon del Pdl. Secondo Quagliariello «il vero Stato etico» non è quello in cui è la Chiesa a dettar legge, bensì «quello in cui si pretende di governare per legge ogni aspetto della libertà della persona, sottraendolo alla sua responsabilità». Un discorso che vale «sui temi di biopolitica, dall´eutanasia alle coppie di fatto, dal matrimonio omosessuale al testamento biologico fino a progetti che rasentano l´eugenetica».
Nel centrodestra Fini trova sponda nelle sparute voci laiche rimaste. Come quella di Benedetto Della Vedova, che fa notare come «in una qualunque delle democrazie avanzate» l´affermazione di Fini «sarebbe considerata scontata e pacifica. Invece, in Italia, suscita scandalo e il presidente della Camera, per il solo fatto di averla pronunciata, viene accusato di discriminazione anticristiana». «Pieno sostegno» a Fini anche dal segretario del Pri Francesco Nucara, perché il presidente della Camera «ancora una volta difende al meglio i principi dello Stato laico e della Costituzione». Dall´opposizione si fa sentire Massimo Donadi, capogruppo dipietrista alla Camera: «Apprezziamo le parole di Fini. Peccato che sia una posizione isolata nel Pdl, un partito non solo autoritario, ma ormai anche confessionale».

Un nuovo scarto laico che mina la compattezza della maggioranza

Un nuovo scarto laico che mina la compattezza della maggioranza

Corriere della Sera del 19 maggio 2009, pag. 15

Massimo Franco

Gianfranco Fini torna ad ostentare le sue stimmate laiche. E chiedendo che il Parlamento non faccia leggi «orientate da precetti di tipo religioso», spiazza di nuovo il centrodestra; e dà del proprio ruolo un`interpretazione sgradita sia alla maggioranza sia a Palazzo Chigi. È vero che da tempo il presidente della Camera occupa una posizione eccentrica fino alla stucchevolezza, e di fatto minoritaria. Basta ricordare l`aprile scorso, quando lodò la sentenza con la quale la Consulta definì incostituzionale una parte della legge sulla fecondazione assistita, applaudito dal Pd. Ma la sua esternazione arriva in un momento in cui i rapporti con la Chiesa cattolica sono già tesi per il modo in cui il governo affronta il dramma dell`immigrazione clandestina; e dunque finisce per sottolineare la scarsa compattezza del centrodestra. Tanto più che l`ennesimo affondo sulla laicità si abbina alla richiesta di una «rivoluzione culturale» sull`immigrazione, che suona come ulteriore critica al governo. Lui, coautore con Umberto Bossi di misure su questo tema contestate dall`opposizione nella precedente legislatura guidata dal centrodestra, ora invoca un approccio diverso. E chiede che sia «quanto più lontano da campagne elettorali»: un`allusione neppure troppo velata ai risvolti strumentali della scelta di rispedire in Libia i clandestini. Eppure, probabilmente il Pdl ha qualche ragione quando si difende dall`accusa di xenofobia sostenendo che non si comporta diversamente da Spagna e Francia. Il dettaglio che fa riflettere politicamente è che però nessuno accusa il governo di Madrid o di Parigi; quello italiano, invece, rischia di diventare il parafulmine di un dramma condiviso col resto dell`Ue. Le intemperanze verbali di alcuni ministri e parlamentari contro l`Onu non aiutano. Anzi, hanno l`effetto di moltiplicare l`attenzione e le critiche contro la coalizione di Silvio Berlusconi; e di mettere in ombra l`assenza delle istituzioni europee. L`avvitamento polemico con l`Alto Commissariato per i rifugiati, emanazione delle Nazioni Unite, è emblematico. Non solo ha provocato la reazione del segretario Antonio Guterres contro il ministro della Difesa, Ignazio La Russa. Ha anche rivelato le crepa nella coalizione. Fini teme che se non si cambia la legge, l`Italia sarà travolta dalle ondate migratorie. Ma anche senza l`eterodossia del presidente della Camera, la maggioranza si sta rivelando meno granitica di quanto affermi. Ieri il ministro dell`Interno, il leghista Roberto Maroni, si è detto convinto del «ruolo fondamentale dell`Unhcr». Ed ha chiesto che sia archiviata una polemica ritenuta «incomprensibile». Sono parole diverse da quelle di chi, nel Pdl, reagisce con veemenza all`Onu. Con una conseguenza: la lite con le Nazioni Unite vede in prima linea il Pdl, convinto di subire accuse demagogiche. Il Viminale del leghista Maroni, invece, almeno in queste ore sembra attestato su posizioni più dialoganti. È un esito imprevisto, se si pensa a come la vicenda si è iniziata; ed al modo in cui il partito di Bossi ha rivendicato il respingimento dei barconi di clandestini come una propria vittoria. Sono i frutti paradossali della rincorsa ad invocare la paternità della linea dura: una gara fra berlusconiani e leghisti, dalla quale Fini si tira fuori, ponendosi ai confini del centrodestra.

Caro Fini l'Italia è già laica

Caro Fini l'Italia è già laica

La Stampa del 20 maggio 2009, pag. 37

Giovanni Gennari

Càpita che parole di politici complichino tutto, come mi pare accada quando il presidente Fini parla di «laicità» dello Stato. Al congresso di fondazione del Pdl - cito alla lettera dal Secolo d’Italia - ribadì prima «il confine che deve separare la sfera privata da quella religiosa», che quindi va ben oltre quella privata, ma dopo una settimana definì la religione come realtà del tutto privata. E curiosamente «la sfida di Fini» fu applaudita in ambedue i casi dai nostri «laici». Ora la versione è ancora più hard. La Stampa di ieri: «L’ultimo strappo. Fini: i precetti religiosi non diventino legge»! Vuol forse dire che le leggi dello Stato debbono per forza e sempre sancire l’opposto dei «precetti religiosi», quindi per esempio il contrario dei «dieci comandi» biblici «non rubare, non uccidere l’innocente, non testimoniare il falso»? Per fare leggi laiche va affermato l’opposto?
Forse serve qualche riflessione sulla laicità in senso moderno e condivisibile. La prima per ribadire che anche da noi il pluralismo morale è un fatto: i cittadini italiani hanno diversi criteri morali, ciascuno deve essere libero di seguire la sua coscienza e ogni violazione di essa è ingiustizia e delitto. A ciascuno la sua etica, religiosa o meno! Ma quando si tratta di fare le leggi, che per definizione «sono uguali per tutti», il discorso cambia, perciò tutti debbono poter contribuire alla loro formazione. Ordinariamente per questo c’è il Parlamento, ove ogni parlamentare ha il diritto e il dovere di giudicare le leggi proposte con il suo libero metro di giudizio, scegliendo quella che si avvicini il più possibile a ciò che egli pensa sia bene comune, o anche solo male minore. Idem nei referendum, dove ogni cittadino è elettore.
Con la formula ieri esposta dal presidente della Camera, i parlamentari o i cittadini che pensano bene comune o male minore una legge che corrisponde anche alla loro coscienza religiosa non avrebbero diritto di voto, o dovrebbero votare contro coscienza! Invece una laicità democratica non consente che principi religiosi o antireligiosi diventino «automaticamente» leggi civili, e perciò leggi giudicate liberamente dai parlamentari, o nei referendum dai cittadini, potranno sia corrispondere sia opporsi a principi religiosi, salvando in ambedue i casi tanto la laicità quanto la libertà di tutti. Da noi è accaduto sovente: nel 1974, nel 1981 e nel 2005. E perciò l’Italia è già laica.

La laicità e l'etica delle leggi

La laicità e l'etica delle leggi

Il Mattino del 20 maggio 2009, pag. 1

Domenico Rosati

Affermare, come ha fatto Gianfranco Fini, che il Parlamento non deve fare leggi orientate da precetti di tipo religioso può essere, a seconda del punto di vista, un sacrilegio o una ovvietà. Se fosse possibile discuterne con «cuore aperto, menti aperte, parole equilibrate», seguendo il suggerimento del discorso sull`aborto pronunciato da Barack Obama all`università Notre Dame, forse ne potrebbe trarre vantaggio la qualità del dibattito pubblico. Purtroppo, invece, anche in questa circostanza su una «petite phrase» fuori contesto si è ripetuto il festiva] delle caricature, con la consueta rincorsa di politici di molti colori alla conquista del primato nell`ortodossia cattolica. Neppure si è riflettuto, per un attimo, al diverso significato che quelle dodici parole avrebbero assunto se fossero state riferite alla Sharia o ad altre espressioni di prevaricazione teocratica. Non era questa peraltro l`intenzione del presidente della Camera, il quale intendeva esorcizzare il ripetersi del conflitto degli opposti estremismi sulle questioni bioetiche. Ma la riflessione avrebbe almeno aiutato a comprendere che per un aspetto quell`asserzione meritava consenso, mentre per un altro apriva un capitolo di distinzioni utili per ragionare anziché per azzuffarsi. La discriminante fondamentale, per stare al caso concreto, poteva essere quella della filosofia tomistica che distingue il principio, che è sempre indeclinabile, e la norma che è sempre condizionata dalle circostanze di tempo, di luogo, di cultura in cui viene adottata. In regime di cristianità o di diritto pubblico ecclesiastico (che negava le libertà «moderne ») il potere politico è il prolungamento fisiologico della sfera religiosa, sicché lo scarto tra principio e norma tende a ridursi al minimo, anche se mai scompare del tutto. Si pensi, per stare al tema, al precetto del «non uccidere» e alle attenuazioni che ha ricevuto nella storia per quel che concerne la guerra, considerata più come ambito di intervento umanitario che come male da rifiutare in radice. Ma ancor oggi la differenziazione avviene concretamente quando, ad esempio, si sostiene una legge sulla procreazione assistita che consente un tipo di procreazione diverso dall`atto coniugale come invece prescrive la chiesa cattolica. O come quando, nel 1981, si pilotò il voto cattolico a sostegno di un quesito referendario che consentiva, come male minore, il ricorso all`aborto terapeutico, altrettanto tassativamente vietato. Se ne può quindi dedurre che, restando immutata l`inderogabilità dei valori, un margine di negoziabilità esiste e viene continuamente utilizzato per corrispondere ai casi concreti che giungono all`attenzione della politica: un terreno che ha regole proprie. Esige infatti confronto e ricerca in più direzioni e si fa guidare da due criteri essenziali: quello del bene comune e quello, dove c`è, della democrazia. Fedi religiose e principi etici connessi come indumenti da appendere in anticamera? No, ognuno indossa il proprio; e magari lo prende a noleggio. Ma nella prassi della politica la ricerca del bene comune e le metodologie democratiche funzionane come due pale di una impastatrice. La pasta non è mai la somma degli ingredienti originari; ed è sciocco pretendere che nella composizione le identità di provenienza non subiscano modificazioni. Tutte le denominazioni d`origine hanno dunque cittadinanza, specie in una realtà pluralistica e secolarizzata come quella di oggi, ma in democrazia tutte hanno da rendersi compatibili con un metodo che impone il riconoscimento dell`esistenza e dei diritti dell`altro; senza di che non c`è convivenza feconda e la pasta non lievita. La sintesi democratica non coincide mai, dunque, con le carte fondative, religiose o meno, di coloro che la producono. Consente però un reciproco riconoscimento di valori che regge la convivenza, fornisce criteri di giudizio, indica prospettive ragionevoli perché condivise. Quando nacque la Repubblica i contrasti tra i cattolici e i laici di allora erano più aspri di quelli di oggi; mai laici si sforzarono di comprendere le ragioni dei cattolici e questi, restando fedeli alla chiesa, riuscirono a lavorare costruttivamente con gli altri. Pensavano infatti, come disse Giuseppe Lazzati alla Costituente, che «la sensibilità cristiana non si impone con la forza».

Fini, i laici e i diktat vaticani

Fini, i laici e i diktat vaticani

La Stampa del 21 maggio 2009, pag. 37

Paolo Flores D'Arcais

Il presidente della Camera, on. Gianfranco Fini, ha pronunciato nei giorni scorsi un’assoluta ovvietà, che la legge dello Stato non deve ispirarsi ai precetti di una religione. Ovvietà in democrazia, beninteso. In una teocrazia farebbe notizia e scandalo (nell’Iran khomeinista con un’affermazione del genere finisci in galera, se ti va bene). Ora, l’ovvietà di Fini, anziché passare inosservata, è finita sulle prime pagine, ha fatto scandalo, ha scatenato lo «stracciarsi le vesti» ormai d’ordinanza. Applichiamo perciò la logica più elementare: se quella che in democrazia è un’ovvietà, ma in una teocrazia è una notizia, da noi suscita clamore, vuol dire che questo Paese già non è più una democrazia, e che nell’establishment le pulsioni teocratiche sono assai forti, e in Parlamento addirittura maggioritarie.

Va da sé: la pulsione teocratica in Italia non si esprime nella forma khomeinista canonica («il Corano è la nostra Costituzione» - anche perché: ve li immaginate Berlusconi e Bagnasco a prendere sul serio il Vangelo?), ma come servitù volontaria ai diktat del Vaticano. Che hanno solo la sottigliezza teologica di non presentarsi come precetti della fede, dogmi del Ratzinger di turno, ma come «evidenze» della «natura umana». Se non è zuppa è pan bagnato: la «natura umana» secondo un laico libertario ha «evidenze» opposte a quelle della Chiesa gerarchica. I laici libertari non appartengono dunque al genere «sapiens sapiens»?

Ora, benché sfugga ai Gennari, Formigoni e altre Roccella, in una democrazia liberale la maggioranza dei voti non è tutto, prima di tutto viene l’autonomia di ciascuno sulla propria vita e la propria libertà. Se una maggioranza parlamentare, anche schiacciante, votasse il battesimo cattolico obbligatorio per ogni nascituro, noi non saremmo più una democrazia, meno che mai se un successivo referendum ratificasse plebiscitariamente questa teocratica violenza.

A maggior ragione sulle questioni «eticamente sensibili». Sulla tua vita (e dunque anche fine-vita), amico lettore, o decidi tu o decide un altro. Ma se sulla nostra vita può decidere sovranamente l’on. Lupi, sulla sua potrà domani decidere la tua volontà, o la mia, o di chiunque detenga una transitoria maggioranza. Mostruosità. Che i nipotini di don Giussani (o di mons. Escrivá de Balaguer) accettano solo in una direzione. Stalin voleva imporre a tutti l’ateismo di Stato. I catto-khomeinisti di Berlusconia vogliono imporre a tutti i malati terminali (o vegetativi permanenti) la tortura di Stato. No.

venerdì 15 maggio 2009

Spagna, nuova legge sull’aborto Zapatero lancia la sfida ai vescovi

La Repubblica 15.5.09
Spagna, nuova legge sull’aborto Zapatero lancia la sfida ai vescovi
di Cristina Nadotti

Le manifestazioni di piazza, gli anatemi dei vescovi e le immagini forti usate dall´opposizione, che ha parlato di «bambini al settimo mese di gestazione finiti nel tritacarne», non hanno fermato il governo Zapatero. Ieri il Consiglio dei ministri spagnolo ha mosso un altro passo sulla strada dell´acquisizione dei diritti civili e ha approvato la nuova legge sull´aborto. Con la norma che la stampa locale ha definito «un mutamento storico», l´interruzione di gravidanza diventa ora il diritto a scegliere liberamente la maternità e non una concessione fatta alla donna da medici o giudici, come stabilito dalla legge in vigore varata nel 1985. E basterà aver compiuto 16 anni per poter decidere da sole, entro le 14 settimane di gestazione, di non volere aver un figlio.
L´approvazione del progetto da parte del Parlamento non è in discussione, visto che la maggioranza relativa ha consentito a Zapatero di governare con tranquillità e anche una parte dei cattolici, tra i quali il leader del Partito Popolare Mariano Rajoy, ha dichiarato in passato di non opporsi alla nuova legge, salvo tuonare ora contro la concessione dell´aborto alle ragazze di 16 anni. Ma in questo la norma sull´interruzione di gravidanza non fa che adeguarsi alla "Legge sull´autonomia del paziente", per la quale in Spagna i maggiori di 16 anni possono decidere da soli di tutte le terapie mediche alle quali devono sottoporsi.
L´unico requisito chiesto prima di procedere all´aborto è che il centro pubblico o privato a cui le donne si rivolgeranno fornisca informazioni scritte sui programmi sociali di aiuti alle madri, sui diritti di cui godono le lavoratrici in caso di maternità e sulle terapie anticoncezionali. Fatto ciò, la donna avrà tre giorni per riflettere, scaduti i quali nessuno le potrà negare l´intervento. L´aborto sarà consentito anche fino alla ventiduesima settimana in caso di grave rischio fisico o psichico per la salute dalla donna o di malformazione del feto, se constatate dai medici. E ancora, sarà possibile interrompere la gravidanza in qualunque momento in caso di «anomalia incompatibile con la vita» o di «malattia incurabile del feto», ma allora la decisione finale spetterà ad una commissione medica. La nuova legge obbligherà gli enti pubblici ad adeguamenti dispendiosi, poiché al momento solo il tre per cento degli aborti si svolge in strutture pubbliche e la sanità spagnola è impreparata a garantire il diritto all´aborto cui fa riferimento la nuova legge.
María Teresa Fernádez de la Vega, vicepresidente del consiglio, ha detto che «termini quali "diritti", "garanzie", "sicurezza" e "rispetto" caratterizzano il testo di legge, con il fine ultimo di salvaguardare la dignità della donna». Ma queste rassicurazioni non fermeranno la campagna a tappeto lanciata nelle scorse settimane dai vescovi, i quali hanno sostenuto che «in Spagna gli embrioni delle linci sono più tutelati di quelli umani», un riferimento ai finanziamenti e alla ricerca per la salvaguardia della lince iberica.

sabato 9 maggio 2009

La rivoluzione sessuale di Obama "tagli" ai predicatori dell´astinenza

La Repubblica 9.5.09
La rivoluzione sessuale di Obama "tagli" ai predicatori dell´astinenza
Tolti i fondi ai programmi di Bush. Il Vaticano: attacco alla famiglia
E nella "Giornata nazionale di preghiera" la Casa Bianca cancella il rito pubblico
I finanziamenti andranno a programmi che parlino anche di anticoncezionali
di Alberto Flores d’Arcais

NEW YORK - Giovedì era il «giorno nazionale della preghiera» e Barack Obama l´ha onorata «pregando privatamente». La Casa Bianca non è andata oltre un laconico commento, ma il piccolo strappo del presidente Usa rispetto a un´usanza che negli anni di Bush si era consolidata - quella di una pubblica preghiera nella residenza presidenziale - ha irritato non poco i gruppi della destra cristiana. Nel silenzio del Gop - nessuna protesta ufficiale è arrivata dal partito repubblicano - a guidare le critiche ci hanno pensato la rete televisiva Fox (una bella inquadratura della Casa Bianca con la scritta «amen, adieu»), il guru delle radio conservatrici Rush Limbaugh - oggi vero leader della destra americana - e Shirley Dobson, presidente della «National Day of Prayer Task Force» che negli ultimi otto anni era stata sempre invitata alla cerimonia alla Casa Bianca: «Siamo profondamente delusi. In questo momento della storia del nostro Paese speravamo che il presidente comprendesse più profondamente l´importanza della preghiera».
In realtà Obama non ha fatto altro che ripristinare una tradizione che risale agli anni di Truman. Il «giorno nazionale della preghiera» venne infatti creato dal Congresso nel 1952, ed è considerato la giornata in cui i cittadini si raccolgono a pregare per il bene dell´America. In mezzo secolo poco era cambiato ed è solo con George W. Bush che la cerimonia era diventata di fatto una «preghiera ufficiale» alla Casa Bianca.
Obama fa dunque un nuovo strappo con il suo predecessore, il cui successo coincise con il boom della destra cristiano-evangelica.
Nel giorno della preghiera, poi, Obama ha preso un´altra decisione che irrita evangelici e destra, quella di tagliare i fondi pubblici destinati ai programmi di astinenza sessuale tra i giovani. Un programma che la Casa Bianca di Bush aveva lanciato e sostenuto con forza, grazie al quale la destra cristiana aveva avuto accesso a notevoli finanziamenti (cento milioni di dollari) e che adesso verrà in larga parte sostituito da «iniziative di prevenzione, anche religiose e di comunità, delle gravidanze dei teenager», in cui sono previsti anche modelli «sperimentati e sicuri». Ossia l´uso degli anticoncezionali.
Sono piccoli segnali di una svolta che non piace neanche al Vaticano. Ieri l´arcivescovo Raymond Burke, Prefetto della Segnatura Apostolica, ha accusato Obama di «promuovere una agenda contro la vita e contro la famiglia», definendo poi uno «scandalo» la decisione della università cattolica di Notre Dame, nell´Indiana, di invitare Obama a tenere il 17 maggio il discorso alla cerimonia di laurea, e di conferirgli anche una laurea «honoris causa». Troppo, dice Burke, considerato che nelle ultime settimane (ad esempio concedendo fondi federali ad organizzazioni che consentono l´aborto) la nuova amministrazione «ha danneggiato la fondamentale società rappresentata dalla famiglia».
Obama è molto attento a non urtare i sentimenti religiosi di una nazione ancora fondamentalmente cristiana (nelle sue varie chiese e forme), ma è altrettanto attento alle altre religioni (molto apprezzato è stato il seder per la Pasqua ebraica alla Casa Bianca) e anche ai non credenti. Del resto, l´ondata evangelica è in pieno riflusso e sui temi sociali la Casa Bianca è inevitabilmente destinata a scontrarsi nel prossimo futuro con la destra religiosa. Nel caso Obama scegliesse come giudice della Corte Suprema una donna gay (due le possibili candidate) la campagna di Fox, Limbaugh e delle varie organizzazioni di destra sarebbe durissima. E anche il Gop, partito in piena crisi, sarebbe costretto a prendere posizione.