martedì 28 aprile 2009

"L'arroganza della politica è una brutta malattia"

Int. a Ignazio Marino, Antonio Guglielmino, Adriana Turriziani e Maurizio Marceca*: "L'arroganza della politica è una brutta malattia"

L’Unità del 28 aprile 2009, pag. 28/31

Federica Fantozzi e Marzia Zegarelli

I rapporti tra una politica considerata troppo invasiva e i temi etici resi cruciali dalla velocità del progresso scientifico. Le difficoltà della professione sanitaria oggi in una società multirazziale, piena di paure, che una parte della politica cavalca per imporre nuove figure. Come il medico-spia, obbligato a denunciare i clandestini, o addirittura il "medico- assassino", colui che, varato il ddl Calabrò, deciderà di staccare il sondino a un malato terminale. La scarsità, la disomogeneità territoriale e l`assenza di fondi per gli hospice in un Paese come l`Italia che pure punta a protrarre artificialmente la vita finché possibile. All`Unità ne abbiamo discusso con Ignazio Marino, senatore del Pd e chirurgo; Antonino Guglielmino, ginecologo esperto in riproduzione assistita; Adriana Turriziani, radioterapista oncologa ed esponente della Società Cure Palliatine; Maurizio Marceca, medico epidemiologo e della Sanità pubblica.

L`analisi di quattro tematiche - il biotestamento, la Legge 40, l`obbligo di denuncia dei clandestini per i medici, lo stato delle cure palliative - evidenzia un rapporto difficile tra politica e medicina. È davvero così?

MARINO, «Esiste, ma non è un problema solo italiano. È oggettivo, legato allo sviluppo della scienza più rapido che nei secoli passati. Abbiamo impiegato centinaia di anni per definire la morte come cessazione del respiro, altri secoli per stabilire che invece è lo stop del battito cardiaco. Adesso si è morti con la cessazione irreversibile delle attività cerebrali. Ma è un dato molto recente, acquisito nel 1968. Il punto è che l`articolo 32 della Costituzione, che vieta trattamenti sanitari obbligatori, è stato scritto nel 1947 quando per il legislatore era scontato che le persone potessero a voce accettare o rifiutare una terapia. Basta considerare che il primo respiratore artificiale è arrivato solo nel `52 e i primi esperimenti sulla nutrizione artificiale sono degli anni `60. La velocità del progresso scientifico è superiore a quella di adeguamento del Parlamento e, forse, della società».

MARCECA: «Il tema dell`immigrazione è importante perché diventa cartina tornasole di come il sistema sanitario reagisce ai mutamenti sociali e si configura in grado di reagire ai bisogni diffusi. L`approccio della politica è enfatico, allarmistico, parcellizzato. Per i cittadini è difficile agire sul processo decisionale influenzato dalle lobby. Ancor più lo è per la comunità di immigrati, che in realtà ne comprende diverse centinaia. A mio avviso la politica guarda alla salute come a uno spazio di potere, un mercato. I temi nascono dal nulla e scompaiono nel nulla. Adesso c`è l`allarme per la febbre suina che durerà qualche giorno, mentre dimentichiamo la scarsità di organi per i trapianti, la carenza di emoderivati, l`assistenza domiciliare negata da molte regioni. Da epidemiologo mi preoccupo di comunicare i problemi della salute secondo il loro peso specifico.

L`Italia nel modo in cui affronta questi temi può essere considerata un`anomalia?

MARINO: «Certi Paesi come l`Italia sono più lenti. Negli Usa il testamento biologico è stato affrontato in tempi diversi. La California ha scritto la prima normativa nel 1976, un terzo di secolo fa. Da noi non è così. Uno strumento come il respiratore artificiale è positivo perché può consentire a chi ha un trauma cranico di essere operato e tornare al- la vita di prima. A volte però il paziente finisce in un limbo senza possibilità di recupero e la legge non sa come intervenire. I medici lo saprebbero ma non possono perché un magistrato sarebbe obbligato a indagarli per omicidio volontario.

GUGLIELMINO: «In questi ultimi anni le bio-tecnologie hanno fatto enormi passi in avanti, velocemente: in Italia l`approccio che la politica ha nei confronti delle tematiche legate al progresso scientifico è di grande invadenza. Il nostro paese è arrivato al dibattito - che prima era re- legato alla sfera privata degli individui e che ora ha assunto contorni di carattere pubblico - in modo non adeguato. Non è un caso che in questi ultimi anni il tema della laicità dello Stato - che non è certo di oggi - sia tornato di attualità. Il punto è che non c`è un approccio laico».

Qual è il paese che da questo punto di vista è più attento quando si tratta di legiferare sui temi di inizio e fine vita?

MARCECA : «È un paradosso che si debba guardare ad altri paesi. Alla fine degli anni Novanta è stata proprio l`Italia, con la legge Turco-Napolitano sull`immigrazione, ad essere un punto di riferimento per gli altri, equiparando gli stranieri residenti nel nostro Paese agli italiani.

TURRIZIANI: «L`Inghilterra e gli Stati Uniti hanno avuto una grande intuizione: investire nella formazione. Qui da noi ancora oggi tutto il personale impiegato negli hospice ha come unica formazione quella che deriva dal proprio curriculum personale. Non esistono corsi ad hoc e non c`è una distribuzione uniforme su tutto il territorio rendendo così effettiva una diseguaglianza».

MARINO: «Basta un esempio. Gli hospice sono 120: 103 sono al Nord, 17 al Sud. In Lombardia ce ne sono 50, in Sicilia, con una popolazione di 5 milioni di persone, ce ne sono 5. Il diritto alla salute sancito dalla Costituzione è evidentemente violato».

Come deve orientarsi il legislatore quando scrive una legge sui temi cosiddetti "eticamente sensibili"?

GUGLIELMINO: «Sulla legge 40 come sul testamento biologico la politica dovrebbe avere un approccio "leggero", dettare linee generali, non scrivere leggi ideologiche. Il testo sulla fecondazione assistita, che prevede l`obbligo di trattamento sanitario, è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale. E evidente che il punto di partenza era sbagliato.

MARINO: «Credo sia giusto emanare leggi con poche norme chiare, ma dobbiamo tener presente che oggi, mentre parliamo, i reparti di terapia intensiva dei nostri ospedali sono pieni di pazienti non più in grado di decidere se continuare o meno le terapie. E già in questo momento un medico che decide di staccare il respiratore o interrompere l`alimentazione e l`idratazione artificiale ad un paziente in fin di vita, con metastasi diffuse in tutto il corpo, sedato per non farlo soffrire troppo, infrange la legge. Invece la legge dovrebbe dare la possibilità ad ognuno di noi di decidere cosa fare della propria vita in casi simili. Una normativa giusta deve permettere a chiunque quando è nel pieno delle proprie facoltà intellettive di potersi esprimere sul fine vita avendo la certezza che le sue volontà saranno rispettate».

Spesso si dice "fare all`italiana": vale a dire interrompere l`alimentazione artificiale senza pubblicizzarlo. Quello che, in sostanza, è stato rimproverato al padre di Eluana Englaro: "perché non se l`è portata a casa invece di creare questo putiferio?". Succede così anche negli hospice? Si fa ma non si dice?

TURRIZIANI: «Bisogna capire che chi arriva negli hospice è un paziente la cui evoluzione della malattia non possiamo contrastare. La morte arriverà: si tratta di mettere in campo un team in grado di attuare le scelte condivise tra medico e famiglia. La nutrizione viene adeguata e graduata rispetto al decorso della malattia. L`idratazione non viene sospesa anche per veicolare i farmaci. Il problema per noi è che la politica non ci offre luoghi di formazione: non esiste un esame universitario per le cure palliative, non ci sono infermieri specializzati».

È corretto dire che la desistenza terapeutica configura omicidio volontario?

MARINO, «Il punto è che bisognerebbe avere un Parlamento che lavora in parallelo con il progresso della scienza. Il vero salto è stato quando con le tecnologie si è potuta protrarre l`esistenza in modo artificiale. Sospendere le terapie non è uccidere ma lasciare che il processo di morte naturale riprenda il suo corso. Sono decisioni da assumere in una vera alleanza con il paziente e, se non può esprimersi, con la famiglia. Non si può procedere come accade oggi nell`illegalità o facendo, appunto, le cose all`italiana».

TURRIZIANI: «Per noi una cartella clinica ben redatta è uno strumento di bordo. Ed è multidisciplinare. Io ci scrivo tutto quello che è utile per quel paziente».

MARINO: «Se il disegno di legge Calabrò verrà approvato, però, o la desistenza terapeutica non viene scritta in cartella o si verrà indagati per omicidio. Non colposo, volontario: come se si sparasse in testa a un cittadino».

GUGLIELMINO: «La vera stranezza del ddl Calabrò è che né il medico né il paziente potranno più intervenire su alcune aree. C`è un aspetto che va chiarito: nutrizione e idratazione artificiali sono terapie o no? Se lo sono non si possono somministrare contro la volontà del destinatario perché si viola la Costituzione. E a mio avviso lo sono: non si può pensare che un buco nello stomaco, praticato da un chirurgo per inserire un sondino, necessario per sopravvivere, non sia una forma di cura».

Arriviamo ai medici "spia": non c`è una contraddizione tra la paura di non riuscire a individuare malattie contagiose e, dall`altra parte, una norma che spinge alla clandestinità sanitaria?

MARCECA: «La norma che impone la denuncia dei clandestini mostra come si mette in discussione il ruolo degli operatori della salute. Ai medici si chiede di denunciare persone che, dall`oggi al domani, diventano criminali. E assurdo creare dei "clandestini sanitari". Solo l`effetto annuncio ha già prodotto ansia, paura, allontanamento dai servizi. Nessuno dice che in 13 anni questo sistema ha funzionato benissimo, e neppure la Bossi-Fini ha toccato norme che rispondono a esigenze di sanità pubblica. Anche se mi preoccupa l`approccio "dagli all`untore". Le malattie non conoscono confini: riguardano la mobilità umana, non degli immigrati. Ricordo le sofferenze della comunità cinese ai tempi dell`aviaria: la nazionalità diventava elemento di discriminazione per persone che non tornavano in Oriente da anni. Temo che l`enfasi mediatica non aiuti il ragionamento bensì lo complichi».

È in Parlamento la legge sulle cure palliative e la regolamentazione degli hospice a livello nazionale. C`è un`attenzione reale della politica in un paese dove l`obiettivo sembra essere l`allungamento della vita ad ogni costo?

TURRIZIANI: «Sarebbe auspicabile ascoltare chi ogni giorno piega la schiena sui pazienti. L`hospice non deve essere ultimo a livello di preparazione e formazione. Seguire malati terminali richiede grande competenza. Ed è enorme il significato sociale di queste strutture che assistono intere famiglie. Si va a morire, è vero, ma si vive fino alla fine. Bisogna promuovere un clima positivo, sostenerli culturalmente, evitare che diventino solo dei letti. Mi auguro che il lavoro svolto in questi anni negli hospice attraverso l`ascolto dei pazienti e dei familiari, venga tenuto nella debita considerazione dal legislatore che dovrà scrivere delle norme al riguardo».

MARINO: «La competenza è cruciale. E stato un errore smembrare in due tronconi gli hospice e il biotestamento che per formazione e ricerca dovrebbero stare insieme. Poi, la Commissione Sanità non ha neppure audito gli oncologi».

La politica riuscirà a dialogare e trovare un punto di sintesi che rappresenti la società civile sul testamento biologico? E il Partito Democratico raggiungerà infine una posizione chiara sui temi etici?».

MARINO: «Credo che serva un passo indietro rispetto all`arroganza attuale con cui si affrontano questi temi. Quanto al Pd: se non riesce a risolvere queste questioni con spirito maggioritario, discutendo al suo interno e votando sulla posizione da prendere, non avrà speranze. Scomparirà, fallirà: non può non dare risposte sui temi che scuotono le coscienze. Purtroppo oggi c`è una classe dirigente che fa riferimento ai due maggiori partiti che c`erano prima, che ragiona per quote e sta sempre a contarsi. Delle due l`una: o tutti costoro verranno spazzati via e si formerà un partito riformista, moderno, oppure sarà il Pd stesso ad essere spazzato via».

In Senato, durante il dibattito sul testamento biologico, il Pdl ha applaudito Marcello Pera, intervenuto contro la legge. Poi, però, ha votato compatto per il si, malgrado dai sondaggi risulti che l`opinione pubblica vuole un testamento biologico vincolante. Perché la politica pensa di non dover rispondere di ciò che fa?

MARINO: «Questo è il problema centrale: ormai si viene eletti per indicazione del leader e non per le proprie convinzioni. Il 25 febbraio del 2009 la Commissione Giustizia del Senato ha inviato un parere alla Commissione Sanità in cui affermava che il testamento biologico deve essere giuridicamente vincolante. La Commissione Sanità ha dovuto prenderne atto, ma in aula è cambiato tutto. Gli stessi membri della Commissione hanno votato contro il valore vincolante del testamento. Di fatto non hanno espresso un convincimento personale ma hanno risposto ad un ordine di partito. Siamo di fronte alla corruzione della politica, messa sotto ricatto da chi decide le candidature dei singoli».

Alla luce di queste nuove leggi, la professione del medico sta diventando un mestiere pericoloso nel nostro Paese? Sta nascendo la figura del "medico disobbediente"?

MARCECA: «Il nostro è da sempre un mestiere complesso, ma nel caso della denuncia degli immigrati si sono scatenati degli anticorpi che sembravano sopiti. La Federazione degli Ordini dei medici, gli psicologi e gli infermieri hanno reagito compatti per far cambiare una norma che va contro tutti i nostri principi deontologici. Credo sia necessario, però, che si crei una forte alleanza tra medico e società e che i medici ricomincino a rendere conto di quello che fanno in modo trasparente perché ormai la sanità sembra preda di una deriva economicistica».

GUGLIELMINO: «Quella del medico disobbediente è una posizione scomoda. I medici non possono essere costretti a compiere ogni giorno atti di "microcriminalità" perché la legge impedisce loro di fare il proprio mestiere secondo scienza e coscienza. È fondamentale alleggerire le norme garantendo la possibilità di fare questo mestiere senza essere costretti a scegliere tra il codice deontologico e la legge dello Stato».

NOTE

*rispettivamente senatore Pd e chirurgo, ginecologo esperto in riproduzione assistita, radioterapista oncologa ed esponente della Società Cure Palliative, medico epidemiologo

lunedì 27 aprile 2009

Il cardinale. Il tedesco Walter Kasper. «Città profana e secolarizzata Così si nega una libertà»

Corriere della Sera 27.4.09
Il cardinale. Il tedesco Walter Kasper. «Città profana e secolarizzata Così si nega una libertà»
di Gian Guido Vecchi

Poche illusioni. Ho sperato che il referendum passasse, ma senza farmi illusioni: conosco la capitale tedesca ed ero realista... Non è la Germania del Sud, la mia Svevia, la Baviera...
Dibattito. Una cosa positiva c’è: per settimane la città ha discusso in pubblico e sui giornali di religione, un tema di solito ignorato.

CITTÀ DEL VATICANO — «È tri­ste, lo dobbiamo accettare ma mi sento molto triste: non si voleva imporre nulla, la possibilità di scelta è un segno di libertà ed è questa che alla fine hanno nega­to ». Il cardinale Walter Kasper, presidente del pontificio Consi­glio per la promozione dell’unità dei cristiani, è un teologo di fama che si è formato a Tubinga e a Mo­naco. La voce, comunque, è sere­na. Triste sì, ma non particolar­mente stupito: «Ho sperato che il referendum passasse, ma senza farmi illusioni: conosco Berlino e sono rimasto realista...».
Certo che è una situazione strana, eminenza: il suo è un Pa­ese da sempre all’avanguardia negli studi biblici e teologici, il dottorato in Germania è l’eccel­lenza in materia, e ora nella capi­tale si boccia la possibilità di ave­re l’ora di religione a scuola...
«Vede, Berlino rappresenta un caso straordinario, non è la Ger­mania. E certo non è la Germania del Sud, la mia Svevia, la Bavie­ra... In Germania è un po’ come in Italia, c’è differenza tra Nord e Sud. Ma Berlino, in particolare, è una città profana e secolarizzata, nella quale i cristiani sono sem­pre stati una minoranza, fin da prima della guerra, dagli anni del nazismo al comunismo. È la capi­tale dell’ateismo!».
Ma in fondo qui si trattava di poter scegliere la religione anzi­ché l’ora di etica. Come si spiega il rifiuto?
«L’argomento, dall’altra parte, era che nella città vivono tanti im­migrati, in particolare musulma­ni, e c’è bisogno di un’etica che coinvolga e unisca tutti. Ora, a parte che un’etica senza Dio è as­sai debole e che per la maggioran­za dei ragazzi è anche noiosa per­ché non ha fondamento nella vi­ta, il problema è questo pregiudi­zio: si pensa che la religione sia un fattore di divisione. Tra l’altro, c’è una cosa interessante...».
Cosa?
«Ho saputo che gli ebrei e an­che i musulmani erano favorevoli al referendum, alcuni lo hanno so­stenuto. Loro stessi, del resto, so­no interessati al tema e vorrebbe­ro che fosse dato un insegnamen­to della loro religione».
Il caso Berlino è un problema anche per il resto d’Europa?
«Beh, certo, la secolarizzazione purtroppo è diffusa anche altro­ve. Pensi solo al Belgio, dove il Parlamento è arrivato a votare contro il Papa».
Benedetto XVI non sarà contento, per il voto di Berli­no...
«Ah, questo è sicu­ro. E non posso esse­re contento nean­ch’io. Nessuno lo è. Però una cosa positi­va, in tutto questo, c’è».
E quale, eminenza?
«Per settimane a Berlino si è di­scusso in pubblico e sui giornali di religione, un tema di solito ignorato. Evviva! Vista la situazio­ne, già questo è un passo in avan­ti. La cosa peggiore è quando non se ne parla proprio».
Ma ora non teme che la cam­pagna per il referendum si ritor­ca contro chi l’ha promossa, il classico effetto boomerang?
«Questo no, non lo credo asso­lutamente. I cristiani, cattolici e protestanti, si sono risvegliati. Hanno mostrato di voler lottare per la loro fede».

domenica 26 aprile 2009

Ora di etica o religione, Berlino al voto

l’Unità 26.4.09
Ora di etica o religione, Berlino al voto
Merkel si schiera con i cattolici
di Gherardo Ugolini

Oggi nella capitale tedesca il referendum voluto dall’associazione di fedeli cattolici «Pro Reli». Obiettivo: cancellare l’obbligo di insegnamento dell’etica nelle scuole introdotto dalla maggioranza Spd-Linke.
La crociata divide la capitale: i quartieri orientali per il no, quelli occidentali per il sì
Socialdemocratici difendono la novità dell’insegnamento civico introdotto nel 2006
Per vincere la battaglia i referendari dovranno avere almeno il 25%

Etica o religione? La metropoli più laica e secolarizzata d’Europa (il 60% degli abitanti si dichiara non credente), tradizionalmente moderna e trasgressiva, fiera delle sue «diversità» a partire dal sindaco gay Klaus Wowereit, è diventata nelle ultime settimane il teatro di una guerra di religione in cui gli opposti schieramenti si combattono con slogan e parole d’ordine da guerra fredda che nessuno avrebbe immaginato vent’anni dopo la caduta del Muro.
L’associazione di fedeli
La crociata è partita mesi fa con la nascita dell’iniziativa civica denominata Pro Reli, cioè «per la religione»: un’associazione di fedeli cattolici e protestanti, sostenuta dalla Cdu, che si batte perché venga cambiato il sistema d’insegnamento della religione in vigore nelle scuole di Berlino. Attualmente gli scolari delle medie e superiori a partire dai tredici anni frequentano obbligatoriamente lezioni di etica, mentre l’insegnamento della religione è facoltativo. Questo dispositivo, che costituisce un eccezione rispetto al modello praticato negli altri Länder tedeschi, è stato introdotto nel 2006 dalla maggioranza Spd-Linke al governo della città, in quanto ritenuto il più idoneo per una comunità in cui sono rappresentate decine di etnie e di confessioni religiose. L’insegnamento di etica è concepito come una forma di educazione civica che trasmette i valori fondamentali della costituzione tedesca ed educa alla convivenza pacifica tra cittadini di vario orientamento e provenienza.
I fautori di «Pro Reli» si sono mobilitati contro questo meccanismo che giudicano penalizzante per la fede cristiana e hanno raccolto oltre 250mila firme tra i cittadini per introdurre l’obbligo di scegliere o religione o etica. È precisamente questa la materia del contendere, su cui oggi si svolge un referendum al quale sono invitati a partecipare oltre 2,4 milioni di berlinesi.
E la polemica si è fatta inevitabilmente rovente. «Votare sì è una questione di libertà», «La fede sposta le montagne», «Libertà di scelta»: chi gira per le strade della capitale tedesca non può evitare di imbattersi in megacartelloni con queste frasi scritte a carattere cubitali. La campagna pubblicitaria di Pro Reli, che ha fatto proseliti anche tra alcuni gruppi musulmani, è tutta giocata sul concetto di «libertà»: la libertà di scelta che la sinistra al governo di Berlino avrebbe conculcato imponendo i corsi di etica a tutti. Dall’altra parte i cartelloni della Spd ribattono con lo slogan «Etica o religione? Noi le pratichiamo entrambe».
Alla vigilia del referendum ha pensato bene di scendere in campo anche Angela Merkel proclamando il suo voto a favore di Pro Reli. «Spero che il maggior numero possibile di cittadini si dichiari a favore dell’insegnamento della religione» ha esortato la cancelliera.
L’opinione pubblica appare divisa sull’argomento, con una prevalenza del no nei quartieri orientali (ex Ddr) e del sì in quelli occidentali.
Ma il vero pericolo per i referendari è che succeda come lo scorso anno in occasione della consultazione sulla chiusura dell’aeroporto di Tempelhof, allorquando i promotori del referendum, pur ottenendo la netta maggioranza dei voti, non raggiunsero il quorum e di conseguenza il risultato fu dichiarato nullo.
La sfida
Qui sta il punto: ai sostenitori di Pro Reli non sarà sufficiente ottenere più consensi degli altri. Per farcela davvero bisognerà che per la loro iniziativa votino almeno 612mila cittadini, pari al 25% dei berlinesi aventi diritto. Altrimenti tutto resterà come prima.

martedì 7 aprile 2009

L'uso di Dio in politica. è finita la modernità?

Liberazione 2.4.09
Da oggi a sabato un convegno a Torino, "Soggetto e norme. Individuo, religioni, spazio pubblico"
L'uso di Dio in politica. è finita la modernità?
di Tonino Bucci

Le religioni sono diventate una presenza nella politica. La vecchia distinzione sulla quale si è retta la modernità - che assegnava alla religione la sfera privata del credente e allo Stato quella pubblica - è saltata. Ma questo provoca un cortocircuito della democrazia laica. Si può davvero conciliare la libertà dell'individuo con l'aspirazione delle religioni di adeguare la società contemporanea al proprio modello assoluto? E qual è il ruolo delle religioni nel mondo globalizzato dove i fondamentalismi si trovano a rappresentare nella percezione pubblica le uniche visioni antagoniste al potere del denaro? Saranno questi i temi al centro del convegno "Soggetto e norme. Individuo, religioni, spazio pubblico" che si apre a Torino, da oggi fino a sabato (al circolo dei lettori di via Bogino 9, sabato a Villa Gualino, viale Settimio Severo 63). Ne parleranno filosofi, teologi e politici, da Salvatore Natoli a Rosy Bindi, Da Stefano Rodotà a Piero Coda.
Il primo intervento sarà quello di Ugo Perone, presidente dell'associazione italiana per gli studi di filosofia e teologia (Aisfet), oltre che membro del comitato di direzione della rivista Filosofia e teologia - i due enti promotori del convegno. Si è rotta la convivenza delle religioni con la modernità, intesa come progressiva conquista di autonomia da parte dell'individuo? «Questa divaricazione tra modernità e religione non può essere composta, nel senso che non si può fare come se con la secolarizzazione non fosse successo niente oppure sperare in una riconciliazione in sé e per sé tra modernità e religione. Questo però non vuol dire che ci debba essere una lotta senza confini tra le due o che una debba prevalere sull'altra. La mia impressione, a dirla tutta, è che stiano tramontando l'uno e l'altro modello sociale: sia il modello premoderno delle religioni che volevano essere orientamento di tutta la società, sia il modello della modernità che mette al centro la pura individualità e la sua autonomia». Ma può la convivenza sociale fare a meno del principio di autodeterminazione della coscienza? «In effetti sul piano della modernità non è possibile abbandonare il riferimento alla coscienza, all'individualità e all'autonomia. Va salvaguardato in ogni caso. Ma ciò non significa che da questo principio si possano far discendere tutti gli altri principi. E' il problema del rapporto tra soggetto e norma . L'autonomia e la libertà del soggetto vanno protette, ma è vero anche che le norme fondamentali non possono mai essere oggetto di una normazione puramente giuridica. Ci sono degli assoluti che si sottraggono alla nostra disponibilità come si sottrae alla nostra disponibilità il principio di coscienza. Bisognerebbe andare oltre la modernità e oltre la religione teocratica».
Il principio dell'autodeterminazione del soggetto è stata la rivoluzione filosofica che ha fondato la modernità. Almeno da Kant in poi la filosofia non ha più concepito che si potessero fondare i principi ultimi per via metafisica o trascendente. Tutto doveva passare al vaglio di una coscienza capace autonomamente di dare a se stessa le leggi della conoscenza e della morale. Oggi però rischia di accendersi di nuovo il conflitto. Quale margine di autonomia resta alla coscienza se prevale la tendenza delle religioni a imporre a tutte/i norme assolute che per definizione non ammettono negoziazioni e mediazioni? «Non si può retrocedere dal principio dell'autodeterminazione. E' un fatto culturale da cui ormai non possiamo prescindere. Se siamo diventati adulti non possiamo ritornare bambini. Però l'essere tutti adulti, tutti autodeterminati, tutti dotati di libertà di coscienza ci obbliga a costruire una società nella quale convivere tutti assieme. E' un percorso difficile perché ognuno rivendica a sé il diritto ad essere l'arbitro ultimo». Come si fa a imporre l'osservanza a norme assolute, non negoziabili, a una società nella quale gli individui fanno riferimento a modelli culturali tra loro diversi? Non è forse questo il conflitto insanabile che si crea quando la Chiesa cattolica interviene nello spazio pubblico e spinge perché lo Stato legiferi sulle questioni bioetiche - sulla vita, sulla morte, sul testamento biologico, sulla riproduzione - in accordo con i propri principi? «Attenzione, la vita va considerata un valore indisponibile ma non sempre l'interpretazione che ne danno le gerarchie cattoliche corrisponde a quella di un valore assoluto. La vita non si riduce alla vita come mero biologismo. Altrimenti si genera questa contraddizione per cui l'assoluto della vita si manifesta nella sua biologicità pura e semplice». Un assoluto mondano, troppo mondano che rischia di indebolire, se non degradare, la stessa concezione del divino, piegandola alla politica e agli interessi delle gerarchie ecclesiastiche. Un vero cortocircuito dal punto di vista teologico. «E' un errore confondere il divino con la norma, con le leggi dello spazio pubblico», spiega Sergio Rostagno, già docente di teologia dogmatica alla facoltà valdese di teologia di Roma, ospite anche lui oggi alla prima giornata del convegno per coordinare la sessione "prospettive teologiche tra individualità e collettività". «Questa confusione agisce soprattutto in Italia dove c'è una situazione religiosa speciale. Forse anche nell'Islam. Ma non mi sembra che accada nel buddismo o nella religione giapponese o cinese».
Epperò è proprio questa "mondanità" la forza della Chiesa cattolica che le ha permesso di uscire dalla sfera privata e occupare lo spazio pubblico. Non sarà forse molto coerente dal punto di vista teologico, ma nella sfera politica la mondanità dà i suoi frutti, eccome. «Il problema - torniamo a Ugo Perone - è che abbiamo avuto della politica una visione proceduralistica. Abbiamo inteso lo spazio pubblico come una sorta di arena dove ciascuno cerca di far valere i propri interessi al momento della scrittura delle regole comuni». Lo Stato liberaldemocratico finisce per assomigliare all'amministrazione di un condominio che deve muoversi nel conflitto di interessi tra individui (proprietari). «Questa concezione laica di spazio pubblico presuppone che la disponibilità di ciascuno a partecipare all'amministrazione del condominio dipenda dalla misura in cui esso soddisfa i suoi interessi. In questo spazio è consentito a ognuno di coltivare il suo orticello, ma manca una visione del bene comune. Può garantire interessi minimi per i quali però non vale la pena di spendere la vita. Da questo è dipeso il disamoramento per la politica». La religione, qui, ha dimostrato d'essere meglio attrezzata, di muovere le passioni meglio di quanto non abbia saputo fare quella concezione condominiale della politica? «Se faccio la carità promuovo nel mondo il regno di Dio. In ciascuno dei miei gesti concreti vedo crescere l'anticipazione di ciò a cui, nella mia fede, tendo. La religione ha mostrato la capacità di dare un contenuto allo spazio pubblico, di non farne un condominio. Può essere uno stimolo a ripensare lo spazio pubblico della nostra convivenza. Non ci può essere nulla di buono per me che non sia contemporaneamente almeno un po' buono anche per tutti e viceversa. Questa è la sfida per la politica oggi. Trasformare la vita sociale in una convivenza, in un progetto comune. A condizione di non opprimere la libertà individuale, altrimenti l'assoluto, i grandi ideali, i progetti di liberazione dell'uomo si trasformano in dittature».
Religione e modernità non stanno invece in contraddizione necessaria secondo Sergio Rostagno.
«Democrazia e religione possono convivere. Non sempre però la convinzione religiosa deve essere vissuta in maniera dogmatica. Può benissimo andare d'accordo con una cultura democratica. Obama è un credente, ad esempio. Eppure non ci sono fondamentalismi nella sua politica. Ce lo spiegherà domani (oggi per chi legge, ndr) Olivier Abel, un filosofo che viene dalla facoltà teologica protestante di Parigi». C'è anche una lettura "religiosa" della globalizzazione nella quale le religioni diventano lo strumento critico del dominio dell'occidente. «Esiste anche questa contrapposizione tra i popoli occidentali pieni di illuminismo e di sussiego e gli altri popoli che non vogliono essere sudditi di nessuno e si servono per questo anche della religione.Come dargli torto»?
Ma perché nella Chiesa cattolica è mancato l'antidoto alla strumentalizzazione della religione nello spazio pubblico? «Per una mancanza di distinzione tra teologia ed etica, tra fede e comportamento. Ma non necessariamente la presenza religiosa è un'invasione. Anche i credenti hanno dato un contributo alle costituzioni democratiche». Ma qual è allora il confine oltre il quale l'impegno della religione nella sfera pubblica degrada il divino a strumento di lotta politica? Qual è il limite oltre il quale la pratica contraddice la fede? «E' quello che i valdesi contestano da sempre alla Chiesa cattolica. Ancora oggi sopravvive qualcosa della vecchia concezione del Papato che si riteneva depositario dell'unica verità e cercava d'imporla a tutti. Questo modo di agire ha come avversario lo Stato. Finché non si riesce a sottometterlo non si è contenti. Il cattolicesimo aveva superato questa idea, eppure risorge sempre». Sta qui, insomma, nella confusione tra potere temporale e potere spirituale l'eterno rischio per la religione cattolica: il degradamento dell'ideale stesso di Dio. «E questa è la vecchia idea di rendere immanente la fede, di concretizzarla in tutti i modi possibili. Magari chiedendo soldi allo Stato».

sabato 4 aprile 2009

Bocciata una logica punitiva e misogina

Bocciata una logica punitiva e misogina

Liberazione del 3 aprile 2009, pag. 6

Erminia Emprin

Recentemente, il Presidente del Consiglio è intervenuto nel dibattito sul percorso di fine vita di Eluana Englaro riconsegnando - "da padre"- l`identità di quel corpo femminile, il suo destino di sopravvivenza biologica surrogata nelle funzioni vitali, all`essere corpo capace di generare, incubatrice potenziale di un feto dotato di un autonomo diritto alla vita. Non che sia un argomento nuovo; se ne discetta dai tempi di Aristotele e attraversa tenacemente i secoli in forme e con modalità storicamente date, ma resta pervicacemente ancorato al riprodursi del dominio maschile sulla capacità riproduttiva del corpo femminile. Nuovo è il contesto, dato oggi dalle biotecnologie applicate alle pratiche sociali e culturali con cui si affrontano la morte, la vita, la malattia o la nascita: questioni, tutte, che richiedono percorsi e spazi pubblici di confronto tra pensieri, parole, esperienze esistenziali diverse, tali da consentire che emerga, cresca e si affermi una cultura politica condivisa e non precostituita da un legislatore-demiurgo. Al contrario, l`avvento delle biotecnologiche nel nostro paese prende senso nella dimensione pubblica dalla produzione di leggi emanate sotto il segno della reazione e della fretta, dello stato di emergenza costruito intorno alla spettacolarizzazione, generalizzazione e strumentalizzazione di casi e situazioni specifiche. Leggi improvvisate, che hanno come punto comune di caduta la riduzione ideologica del corpo femminile a funzione riproduttiva, l`annientamento delle soggettività e della presenza diffusa di relazioni sociali e culturali, di pratiche e di esperienze non disincarnate e non oggettivate, fatte di storie umane concrete di donne e di uomini, che si svolgono e prendono senso in tempi e luoghi dati e nella trasmissione della memoria. Ad esse si contrappone una costruzione di senso che trascende i soggetti e le biografie, di cui sono protagoniste le gerarchie vaticane che si riaccreditano con forza crescente come le sole depositarie della conoscenza sulla vita e sulla cosmogonia. Ma vi contribuisce anche una altrettanto crescente e autonoma vocazione del premier e del suo partito alla ridefinizione e semplificazione dei poteri, alla rimessa discussione della democrazia facendo leva su dubbi, timori, incertezze e contraddizioni aperti dall`avvento delle tecnologiche del corpo e dalla loro applicazione. Essi richiederebbero tempi e spazi di discussione e elaborazione di più ampio respiro di quelli di un dibattito parlamentare contingentato. Per questo è importante che la Consulta abbia riconosciuto l`incostituzionalità di alcuni dei passaggi più punitivi e misogini della legge sulla fecondazione assistita, superando alcune delle contraddizioni lasciate aperte dalla pronuncia con cui aveva respinto il referendum di abrogazione totale della legge. La Corte aveva infatti ritenuto che la sua cancellazione totale potesse comportare pregiudizio di principi e valori costituzionali, nonostante la dottrina e la giurisprudenza avessero già allora sollevato diversi elementi di incostituzionalità. Ma la stessa Corte aveva anche ritenuto che quella legge potesse essere sottoposta a un giudizio di legittimità, come è avvenuto con successo. Si tratta di un risultato importante, perché riafferma la democrazia come forma di distribuzione e reciproca autonomia tra i poteri. Incluso quello del ricorso popolare alle sedi giurisdizionali, quando la politica non sa dare risposte adeguate alla libera e piena espressione della persona sessuata e pensante.

venerdì 3 aprile 2009

La Corte costituzionale boccia la legge 40

La Corte costituzionale boccia la legge 40

Il Manifesto del 2 aprile 2009, pag. 9

di Iaia Vantaggiato

La Corte costituzionale boccia di fatto la legge 40 sulla fecondazione assistita dichiarandone illegittimo l`articolo 14, quello che prevede che ci sia "un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre" di embrioni. A fare ricorso alla Corte, con tre distinte ordinanze, sono stati il Tar del Lazio e il Tribunale di Firenze, ai quali si erano rivolti, rispettivamente, la World association reproductive medicine (Warm) e una coppia non fertile di Milano affetta da esostosi, una grave malattia genetica (con tasso di trasmissibilità superiore al 50%) che genera la crescita smisurata delle cartilagini delle ossa. Dire "no" al limite dei tre embrioni vuol dire, in realtà, minare sin dalle fondamenta l`intera struttura della legge il cui vero vulnus non riguarda tanto la produzione degli embrioni quanto l`obbligatorietà di un trattamento sanitario che costringe le donne - senza considerazione alcuna rispetto alle differenti condizioni di età o di salute - ad accettare un impianto (tre, non meno di tre, non più di tre) che può portare a gravidanze multiple o, viceversa, a nessuna gravidanza. Col rischio, in quest`ultimo caso, di vedersi costrette a ripetere pesantissimi trattamenti ovarici. "La legge 40 - spiega Carlo Flamigni - non tiene conto della differenza tra giovani e meno giovani, tra le diversità di risposta ovarica agli stimoli così che le ragazze più giovani possono andare incontro a gravidanze trigemini e le meno giovani incorrere nel rischio di non avere neanche un bambino". E tuttavia, continua Flamigni, "l`impianto della legge si modifica completamente con la dichiarazione di illegittimità di quel limite. Il problema è capire ora come la legge 40 si riassesta perché niente di nuovo, almeno al momento, mi pare venga detto a proposito delle indagini genetiche preimpianto né - tantomeno - mi pare ci siano novità rispetto alla fecondazione eterologa". Ma il vero problema, visto che da ieri è caduto per incostituzionalità il limite dei tre embrioni, è capire che fine fanno quelli prodotti in eccesso. Lo stesso articolo 14 della legge 40 ne vieta infatti la crioconservazione, cioè il congelamento, ma la Corte su questo non si è pronunciata "La questione - afferma Maria Luisa Boccia è proprio quello della conservazione degli embrioni. Di quelli, per intenderci, che la donna non accetta o che comunque sono in sovrannumero. Secondo l`etica cattolica non andrebbero conservati. Ma allora che ne facciamo? Non sarebbe giusto pensare di conservarli per eventuali nuovi impianti o per la ricerca?". Una legge folle e insensata, la legge 40, che alle donne impone la maternità, ai laboratori di produrre un numero prestabilito di embrioni e ai medici di impiantarli tutti per evitare il fantasma della "conservazione". La sentenza di ieri smaschera, in parte, questa insensatezza perché nel momento in cui definisce incostituzionale l`impianto obbligatorio dice altresì quanto sia per l`appunto folle e insensato stabilire per legge il numero degli embrioni da produrre e di conseguenza da impiantare. "La legge sulla fecondazione assistita - continua Maria Luisa Boccia - è una legge contro la salute della donne e contro la dignità della persona. Contro il buon senso, la ragionevolezza e contro la Costituzione". E` una legge che ignora quanto sia più importante - rispetto al desiderio di maternità o comunque di genitorialità - una pratica medica viva e attenta piuttosto che un algido e rigido codice. E la cronaca degli ultimi giorni ci impone accostamenti che solo al `apparenza sembrerebbero impropri: la legge sulla fecondazione assistita è stata costruita nello stesso modo in cui è stata costruita la legge sul testamento biologico. In entrambi i casi paradigmi rigidi e assoluti che non tengono conto delle diverse situazioni. E, in entrambi i casi, trattamenti sanitari obbligatori. Che si tratti di tre embrioni o di un sondino. Tra le prime a reazioni alla sentenza della Corte costituzionale quella di Eugenia Roccella, sottosegretaria al Welfare con delega alla bioetica. Di fatto colei che della legge sulla fecondazione assistita dovrà, tra breve, occuparsi: "Sono molto dubbi gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale sulle pratiche che devono essere adottate nei centri». Un modo come un altro per annunciare l`imminente emanazione di «nuove linee guida».

mercoledì 1 aprile 2009

L´emendamento cerca un compromesso su nutrizione e idratazione

La Repubblica 1.4.09
Biotestamento, prove d´intesa Pd-Pdl La Cei a Fini: "Lo Stato etico è un´altra cosa"
L´emendamento cerca un compromesso su nutrizione e idratazione
di Giovanna Casadio

Il testo, che modifica quello del Senato, visionato dal presidente della Camera. Bocchino: il ddl cambierà. Tempi lunghi per l´approvazione

ROMA - Non ci stanno. I vescovi bacchettano Gianfranco Fini sul biotestamento. Al congresso del Pdl, smarcandosi da Berlusconi e dalla maggioranza, il presidente della Camera aveva parlato di una legge - quella appena approvata al Senato - «da Stato etico», augurandosi perciò che alla Camera, dove le norme sul fine-vita stanno per arrivare, si cambi registro e lo Stato laico batta un colpo. Ma la Cei dà l´alt: «Lo Stato etico è decisamente un´altra cosa e la Chiesa cattolica non l´ha mai avuto in simpatia. Lo Stato etico c´è quando ci sono delle costrizioni e non mi sembra che ci si trovi in queste condizioni», biasima il segretario della Conferenza episcopale, monsignor Mariano Crociata. Per i vescovi la legge va definitivamente approvata, e in fretta. Benché sia inutile, dal momento che la volontà del malato espressa nel biotestamento, non è più vincolante e spetterà al medico l´ultima parola.
I laici del centrodestra hanno fatto già sapere che queste norme finiranno in cantina e ci resteranno per un bel po´. Insomma, prima delle elezioni europee è escluso che il biotestamento approdi nell´aula di Montecitorio. Slittamento in vista fino all´autunno? «Non lo so, e non credo. Però posso dire al cento per cento che ci saranno modifiche», ammette Italo Bocchino, vice capogruppo Pdl, amico personale di Fini. Alcuni deputati del Pdl hanno intanto firmato tre emendamenti preparati dai parlamentari Pd, Eugenio Mazzarella, Sandra Zampa e Paolo Corsini. Una proposta bipartisan e ragionevole, la definiscono, sull´alimentazione e l´idratazione artificiale, che è poi il punto più controverso e che ha scosso l´opinione pubblica nel caso di Eluana Englaro. Mazzarella, che è un filosofo, ne spiega l´obiettivo, di tradurre cioè «il diritto mite in buonsenso», di puntare a «un´etica della situazione». In concreto, resta il principio che idratazione e nutrizione artificiale sono sostegno vitale. Inoltre, il rifiuto espresso nel biotestamento resta vincolante per il fiduciario, una sorta di continuità della sua libertà. Però il fiduciario dovrà concordare le decisioni con il medico curante e con i familiari e qui si riconosce che il testamento non sia obbligante, se si valuti che ci sia un beneficio terapeutico per il paziente. Tra i primi firmatari del centrodestra ci sono Fabio Granata, Stefano Caldoro e Francesco Pionati.
Un emendamento che anche Fini ha avuto occasione di leggere. Del resto, ricalca quello che a Palazzo Madama aveva presentato la cattolica Albertina Soliani e che la radicale Emma Bonino aveva votato giudicandolo una mediazione intelligente. Di modifiche possibili parla anche Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati Pdl. «È indispensabile cambiare la legge uscita dal Senato che è inutile e anzi dannosa», rassicura il capogruppo del Pd, Antonello Soro. E Livia Turco rincara: «La Camera non ratifica un bel nulla, si ricomincia daccapo».